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Giorno: 4 Aprile 2021

Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia Romagna: Pasqua 4 aprile 2021.

 

Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia-Romagna: su 19.778 tamponi effettuati, 1.700 nuovi positivi.1.954 guariti, calano i casi attivi (-289) e i ricoveri (-57). Vaccinazioni: 943mila dosi somministrate

Il 95,2% dei casi attivi è in isolamento a casa, senza sintomi o con sintomi lievi. L’età media nei nuovi positivi è di 41,7 anni. 35 i decessi. Prosegue nei giorni di festività pasquale la campagna vaccinale

Bologna – Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 342.915 casi di positività, 1.700 in più rispetto a ieri, su un totale di 19.778 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore. La percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti da ieri è dell’8,6%.

Continua intanto la campagna vaccinale anti-Covid, che in questa fase riguarda il personale della sanità e delle Cra, compresi i degenti delle residenze per anziani, in maggioranza già immunizzati, gli ultraottantenni in assistenza domiciliare e i loro coniugi, se di 80 o più anni, e le persone dai 75 anni in su; proseguono le vaccinazioni anche per il personale scolastico e le forze dell’ordine. Nessuna pausa ci sarà per le festività pasquali: gli operatori sono attivi oggi, domenica di Pasqua, e lo saranno anche domani, lunedì dell’Angelo.

Il conteggio progressivo delle somministrazioni effettuate si può seguire in tempo reale sul portale della Regione Emilia-Romagna dedicato all’argomento: https://salute.regione.emilia-romagna.it/vaccino-anti-covid, che indica anche quante sono le seconde dosi somministrate.

Alle ore 14 sono state somministrate complessivamente 943.588 dosi; sul totale, 306.779 sono seconde dosi, e cioè le persone che hanno completato il ciclo vaccinale.

Prosegue l’attività di controllo e prevenzione: dei nuovi contagiati, 674 sono asintomatici individuati nell’ambito delle attività di contact tracing e screening regionali. Complessivamente, tra i nuovi positivi 708 erano già in isolamento al momento dell’esecuzione del tampone, 753 sono stati individuati all’interno di focolai già noti.

L’età media dei nuovi positivi di oggi è 41,7 anni.

Sui 674 asintomatici486 sono stati individuati grazie all’attività di contact tracing44 attraverso i test per le categorie a rischio introdotti dalla Regione, 8 con gli screening sierologici,5 tramite i test pre-ricovero. Per 131 casi è ancora in corso l’indagine epidemiologica.

La situazione dei contagi nelle province vede Bologna con 403 nuovi casi e Modena (302); poi Reggio Emilia (181), Parma (166), Ravenna (156), quindi Ferrara (132)Cesena (109); seguono Rimini (107), Forlì (98), Piacenza (24) e, infine, il Circondario imolese (22).

Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati 10.603 tamponi molecolari, per un totale di 4.053.148. A questi si aggiungono anche 9.175 tamponi rapidi.

Per quanto riguarda le persone complessivamente guaritesono 1.954in più rispetto a ieri e raggiungono quota 258.614.

casi attivi, cioè i malati effettivi, a oggi sono 72.188 (-289 rispetto a ieri). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 68.711 (-220), il 95,2% del totale dei casi attivi.

Purtroppo, si registrano 35 nuovi decessi: 4 nella provincia di Parma (una donna di 75 anni e 3 uomini, di 64, 81 e 85 anni); 1 nella provincia di Reggio Emilia (una donna di 68); 6 nella provincia di Modena (due donne di 68 e 107 anni; 4 uomini, rispettivamente di 60, 69, 76 e 88 anni); 13 nella provincia di Bologna (4 donne: di 73, 78, 84 e 95 anni, e 9 uomini: di 40, 66, 70, 2 di 73, 74, 77, 90, 96, quest’ultimo deceduto a Imola); 1 nella provincia di Ferrara (una donna di 77 anni); 4 in provincia di Ravenna (una donna di 93 anni e tre uomini di 53, 75 e 78 anni); 6 in provincia di Forlì-Cesena (tre donne di 52, 57e 86 anni, e tre uomini di 64, 74 e 87 anni). Nessun decesso nelle province di Piacenza e Rimini.

In totale, dall’inizio dell’epidemia i decessi in regione sono stati 12.113.

I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 360 (-6 rispetto a ieri), 3.117 quelli negli altri reparti Covid (-63).

Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti: 9 a Piacenza (+1), 28 a Parma (-2), 31 a Reggio Emilia (+3), 67 a Modena (-2), 101 a Bologna (-4), 19 a Imola (-1 ), 40 Ferrara (numero invariato rispetto a ieri), 19 a Ravenna (-1), 11 a Forlì (invariato), 5 a Cesena (-1) e 30 a Rimini (+1).

Questi i casi di positività sul territorio dall’inizio dell’epidemia, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 21.926 a Piacenza (+24 rispetto a ieri, di cui 17 sintomatici), 23.888 a Parma (+166, di cui 119 sintomatici), 41.245 a Reggio Emilia (+181, di cui 113 sintomatici), 58.601 a Modena (+302, di cui 194 sintomatici), 73.939 a Bologna (+403, di cui 240 sintomatici), 11.724 casi a Imola (+22, di cui 11 sintomatici), 20.868 Ferrara (+132, di cui 38 sintomatici), 26.899 a Ravenna (+156, di cui 100 sintomatici), 14.224 a Forlì (+98, di cui 63 sintomatici), 17.054 a Cesena (+109, di cui 77 sintomatici) e 32.547 a Rimini (+107, di cui 54 sintomatici).

Rispetto a quanto comunicato nei giorni scorsi, sono stati eliminati 3 casi, di cui 2 positivi a test antigenico ma non confermati dal tampone molecolare e 1 caso risultato non Covid-19.

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Piovono pietre su Fornero e Jobs Act:
il lavoratore non è una merce

 

L’ultimo decennio ha segnato un arretramento secco sul fronte dei diritti dei lavoratori. Abbiamo assistito alla traduzione in leggi (prima la Fornero, nel 2012, poi il Jobs Act, nel 2015) di un’idea secondo la quale il lavoro è una pura merce, priva di un valore in sè che incorpori la realizzazione attraverso di esso dei valori di dignità e personalità umana. Una merce come tante altre, che si paga ad un prezzo di mercato: più quella merce è sostituibile, più il suo valore si deprezza. Più persone sono disposte a fornire la stessa merce, meno costa procedere alla sostituzione della singola persona, pura fornitrice di forza-lavoro.
Attenzione: l’obiezione secondo la quale i contratti di somministrazione, i negozi a termine, i finti contratti di collaborazione “autonoma” realizzavano già, in abbondanza, questa idea restituisce il clima di progressiva precarizzazione del lavoro incorporato nella pletora delle diverse forme contrattuali.
Ma le operazioni compiute con la Fornero e il Jobs Act hanno fatto compiere alla legislazione un salto di qualità negativo, rendendo in un certo senso precario ab origine anche il rapporto a tempo indeterminato. Non mi soffermo più di un attimo sull’inganno di senso costruito sul termine “flessibilità”, usato per conferire un velo di cosmesi al reale concetto sotteso, che è “precarietà”. Quando la precarietà diventa, come nella Fornero e nel Jobs Act, elemento costitutivo del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la derubricazione del lavoro a pura merce non è più una variazione sul tema giustificabile, di volta in volta, con le necessità di inserimento graduale nel mondo del lavoro o con le caratteristiche di impieghi che comunque non saranno svolti per tutta la vita. No: la precarietà diventa elemento ontologico del lavoro, deprivando di garanzie e sicurezze un intero percorso professionale, che diventa così soggetto, dall’inizio alla fine, al potere di ricatto della controparte datoriale.
Chi è assunto dal marzo 2015 con il cosiddetto “contratto a tutele crescenti” sa fin dall’inizio che potrà essere licenziato senza una giusta causa, e che il prezzo che potrà incassare se un giudice riconoscerà l’ingiustizia (e intanto bisogna andarci, da un giudice) sarà un puro indennizzo, sganciato del tutto dalla gravità dell’ingiustizia subita e commisurato solo alla sua anzianità di servizio: una specie di liquidazione impropria (e di importo modesto) per liberarsi di uno scomodo/a. Ciò implica che un datore di lavoro può calcolare in anticipo il prezzo del suo arbitrio, come un qualunque altro costo aziendale. Lo può mettere a budget.

La progressiva traslazione da “prestazione lavorativa” a “performance” è anch’essa un inganno, funzionale ad una sottrazione di tutele.
Se la prestazione sul lavoro di ognuno dei 24 milioni di individui (all’incirca la popolazione occupata in Italia) dovesse essere misurata come si misura una prestazione sportiva professionistica, allora tre quarti dei lavoratori italiani  meriterebbero il licenziamento, e tra essi ci saremmo anche noi. Sfortunatamente, questa riduzione a competizione parasportiva di ogni elemento attinente al lavoro finisce per inficiare anche quella parte di valutazione (e di extra-retribuzione) legata al raggiungimento di obiettivi, che si concentra esclusivamente sulla quantità di cose fatte o vendute: se sei un poliziotto, quanti arresti hai compiuto; se sei un assicuratore, quante polizze hai venduto; se sei un primario, quanti posti letto hai liberato.
Non importa realmente in quale modo è stato ottenuto questo risultato: il quanto è oggetto di premio, il come non lo è. Ricordo un solo esempio tra gli innumerevoli che si potrebbero fare: la caserma dei carabinieri Levante di Piacenza (che poi una procura scoprì essere una minicupola dedita allo spaccio e al ricatto) poco prima ricevette un encomio solenne dal comandante della Legione Emilia-Romagna per i risultati conseguiti nel contrasto allo spaccio di stupefacenti. Sapete perché? Per il numero di arresti compiuti. Peccato che molti di essi fossero arresti abusivi, funzionali alle minacce, ai pestaggi, alle torture.

Lo “scarso rendimento” che può giustificare addirittura un licenziamento esiste nel nostro ordinamento, ed è costruito dalla giurisprudenza di merito. Ma se non si considera come elemento costitutivo della nozione di “scarso rendimento” una responsabilità soggettiva del lavoratore, allora anche un lavoratore malato assente spesso a causa delle cure da sostenere, o una madre assente per gravidanza possono essere imputati di “scarso rendimento”, come dato oggettivo.
Per non parlare poi dei licenziamenti per “giustificato motivo oggettivo” legati alle condizioni economiche, o alle scelte organizzative dell’azienda, che comportano la soppressione di quel posto, o la esternalizzazione di quella funzione.

In tutti questi casi, la legge ordinaria in materia di lavoro degli ultimi vent’ anni, spiace dirlo, sembra scritta spesso da emissari delle aziende. Per questo, non saremo mai abbastanza grati ai padri costituenti per avere scritto la Costituzione e alla Corte Costituzionale per la capacità, tuttora integra, di censurare le nostre leggi quando non sono conformi ai principi costituzionali.
L’ultimo esempio è la sentenza 59 del 2021, con la quale la Corte ha decretato che l’art.18 Statuto lavoratori, così come modificato dalla legge Fornero nel 2012, è incostituzionale laddove, in caso di licenziamento per motivi economici di cui sia accertata la manifesta insussistenza della causa, preveda che il giudice può scegliere se indennizzare o reintegrare il lavoratore.
Il principio costituzionale violato è quello di uguaglianza (art.3): infatti, quando in un licenziamento per giusta causa il fatto posto a base del provvedimento è inesistente, la reintegra del licenziato è obbligatoria, non facoltativa. Dal momento che il presupposto dell’insussistenza del fatto ha meritato la tutela della reintegra, la Corte afferma che la stessa non può essere facoltativa quando l’insussistenza è legata ad un licenziamento dichiarato come economico. Fuori dai tecnicismi, significa questo: se vengo licenziato senza un motivo, il giudice deve disporre la mia reintegra.
Che poi il lavoratore (non il giudice) possa decidere di far convertire in denaro questo diritto, è quello che fa la differenza tra una somma a titolo di risarcimento (come quella che sostituisce una reintegra nel posto di lavoro) e un indennizzo (come quello del Jobs Act).
Nel primo caso (risarcimento), la cifra deve corrispondere alla ricompensa per un danno ingiusto subito.
Nel secondo (indennizzo), la cifra è un contentino a fronte di un atto che l’ordinamento non considera nemmeno antigiuridico.

Il che rende ancora più evidente (e odiosa) la disciplina puramente indennitaria del Jobs Act, che presuppone che un licenziamento ingiustificato non sia fonte di danno ingiusto verso il lavoratore. Danno sì, ma non ingiusto. Che questa bella impostazione sia stata propugnata non da Margaret Thatcher, ma dall’allora segretario del PD, trascinandosi dietro una buona fetta del partito, restituisce la misura dello smottamento che una parte della sinistra ha compiuto verso il più scellerato dei liberismi, se applicato bovinamente a quella che loro considerano la ‘merce’ lavoro.

La sentenza della Corte purtroppo non risolve automaticamente i problemi di coloro che sono stati assunti dopo il marzo 2015, con un contratto redatto ai sensi di un corpus normativo (Jobs Act) che, appunto, non considera nemmeno il licenziamento ingiustificato come un atto antigiuridico. Tuttavia è un grande passo nella direzione della riconquista del significato costituzionale del lavoro, come strumento di affermazione della personalità e dignità umana: perché una Repubblica che si dichiara “fondata sul lavoro” non può essere fondata su una merce.

PER CERTI VERSI
Per la Luna

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
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PER LA LUNA

La luna
non è mai nuda
Nessuno l’ha mai vista
Cosi cruda
Senza veli
Pudica si nasconde
Dietro il suo sorriso
Il viso altero
e le creste dei monti
Quando proprio
La sua luce logorata
Più non la veste
Dagli orizzonti
Si ritira in camerino
E la terra
s’annera
Come la peste