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Giorno: 2 Giugno 2021

FERRARA, IL TESORO DELLE BIBLIOTECHE:
rilanciare il servizio di Lettura e riprendere la Ricerca

 

Per vari impedimenti non ho potuto partecipare alla manifestazione che si è tenuta, nella mattinata del 22 scorso, per dare visivamente il senso e l’impegno di una parte dei cittadini per la difesa, lo sviluppo, il progetto e l’organizzazione di un rinnovato sistema bibliotecario, per il ruolo e il senso delle biblioteche decentrate.
Condivido le argomentazioni che il successivo documento ha raccolto e inviato alla Amministrazione Comunale. Non vi è bisogno che le ripeta.
Aggiungo un tema che non vorrei venisse sottovalutato e meno considerato; del quale poco si è parlato nel corso di questo dibattito. Non è apparso nemmeno fra gli oggetti della riunione della II commissione consigliare dell’11 maggio.
Credo non vada dimenticato che le biblioteche oltre ad essere luogo di incontro e occasione di socialità sono anche luoghi di studio e di ricerca. Questo vale non solo per la Biblioteca Ariostea ma anche per quelle decentrate. I due momenti non sono in contrapposizione ma debbono integrarsi e rendersi specifici a seconda del rapporto che le strutture hanno con la rete sociale di riferimento.
Le biblioteche decentrate dovranno saper essere anche momento di raccolta e conservazione degli avvenimenti, non solo del passato ma contemporanei, che avvengono nel territorio. Dovranno essere in grado di fornire gli strumenti di conoscenza per capire la contemporaneità e divenirne archivio.
Tutto questo non solo in collegamento con le istituzioni scolastiche ma con la realtà articolata e plurale del mondo associativo, con le varie comunità, con le espressioni della religiosità e le manifestazioni della vita quotidiana. Una occasione di integrazione nella società civile della quale la biblioteca può essere parte costruttrice, testimone e conservatrice per il futuro. Non ci si può limitare alla pure essenziale ‘pubblica lettura’.
Il ruolo della Biblioteca Ariostea non può essere solo quello di coordinamento e di indicazione. La Ariostea è anche una grande biblioteca di conservazione; raccoglie largamente testimonianze della vita passata della città, ne custodisce parte consistente della memoria: ha l’obbligo, complesso ed oneroso, della custodia e della tutela delle opere conservate ma ha anche quello di fornire strumenti per agevolare la ricerca, costruire progetti e realizzarli insieme con altri attori, in primo luogo con l’Università e l’associazionismo culturale: penso alla meritoria attività della associazione ‘Amici della Biblioteca Ariostea’ e della ‘Deputazione di Storia Patria’.

Faccio qualche esempio: guardando in SBN non si trova mai digitalizzato un volume della Ariostea; ancora molto modesto è il trasferimento delle schede Staderini; pochissime sono le scannerizzazioni. Tutto questo limita pesantemente la conoscenza del patrimonio librario conservato e l’accesso degli studiosi.
Fra i progetti credo molto interessante quello proposto da una funzionaria per il catalogo e la edizione dei Nuptialia: fornirebbe per il ‘600 e il ‘700 uno spaccato della società ferrarese che ancora manca. Importante sarebbe l’organizzazione di una collana per l’edizione di almeno parte dei manoscritti: penso ad esempio alle varie cronache, al catalogo degli Accademici Intrepidi, ai molti testi letterari e a quelli scientifici; al catalogo dei codici miniati; agli annali, libro in mano, degli editori ferraresi. E molto altro ancora si potrebbe indicare.

Egualmente si può per l’Archivio Storico Comunale principiando dalla Raccolta dei Bandi, dal Censimento del 1816 e dalle Carte Migliori.
Tutto questo in passato è avvenuto; basti ricordare la, ahimè troppo breve, presenza del Bollettino di notizie e ricerche da Archivi e Biblioteche, la pubblicazione del catalogo degli Statuti; i molti lavori che autonomamente i funzionari dell’istituto hanno fatto apparire e quelli di ricercatori che alla Ariostea fanno riferimento.
Bisogna augurarsi che la Amministrazione Comunale si renda conto del patrimonio, umano e di opere, che a lei fa riferimento, che lo riconosca con investimenti e impegno.
Questo intervento sarebbe manchevole se non ricordassi la competenza specifica e la professionalità dei funzionari della Biblioteca Ariostea; la cortesia e la pazienza di tutti gli addetti. Non posso non unirmi ai molti che auspicano l’integrazione dei ruoli attraverso una selezione che garantisca capacità e preparazione precisa: in biblioteconomia, come in ogni altra professione, non sono ammesse improvvisazioni.

FANTASMI
L’ACCIUFFASUONI

 

Ho sempre avuto una grande curiosità per i suoni.
La goccia che cade nel mezzo del lago di Braies ha una voce diversa se rimbalza sul tettuccio della mia roulotte bianco sporco. Addirittura la stessa goccia, che dal tettuccio scivolando lungo il vetro dell’oblò si tuffa al centro della corolla di quel tulipano, emette qui un piccolo gemito, breve, impercettibile. Ma io lo aspetto per ascoltarlo. E quando lo acciuffo sono brividi di gioia.
E il vento? Anche lui è affetto da disturbi della personalità. Quando soffia umido per i vicoli di Otranto bisbiglia all’orecchio, dolce, accompagnandoti nella tua passeggiata lenta, tenendoti sotto braccio, facendo le fusa frusciando i tuoi abiti leggeri. Poi prendendo la rincorsa si gonfia borioso entrando prepotente a Trieste con fiato secco e freddo. Ti ammonisce e fischia se provi ad aprire la porta. Non vuole che tu esca da casa.

“E l’allodola come fa?”
“Trilla” mi rispondeva nonno Giacomo.
“E il picchio verde come fa?”
“Ride”
E ridevo anche io da bambina fino alle lacrime scoprendo che il giaguaro brontola, le scimmie farfugliano, il furetto pot-potta, il gufo bubola, il cobra sibila e la zanzara zufola.

E poi iniziai a osservare lo zio Carlo quando veniva scarmigliato dai suoi lunghi giri all’estero a cena a casa nostra. Era pieno di penne nel taschino lo zio Carlo; le teneva lì al posto del fazzoletto. Ma le sue erano penne magiche che lo mantenevano in vita, mi diceva, poteva perdere tutto ma non le sue penne. Ci osservavamo in silenzio e incontrando i suoi occhi capii che avevamo una indole simile.
Fu con lui in segreto tra me e me che proseguii quel mio antico gioco.
“E lo zio Carlo come fa?” non lo rivelai mai a nessuno.

E così cominciai ad ascoltare ogni persona.
Ad esempio: perché a un certo punto tutti i giovani romani hanno iniziato a parlare con la zeppola in bocca?
Perché le ragazze orientali non camminano nel traffico metropolitano come tutti noi a singhiozzo sgraziati con momenti di arresto e ripresa, ma scivolano eleganti come se discendessero da una collina abbagliante di riso?

Il suono a seconda di come viene pronunciato modella i tuoi connotati, il tuo atteggiamento. E quel suono è territoriale. Quel suono, quegli accenti e quelle pause hanno bisogno di quel paesaggio, di quei colori, di quella temperatura per nutrirsi.

E fu così che non mi bastarono più i suoni della mia famiglia che avevo lungamente scandagliato, della mia città, della mia regione, della mia nazione. Iniziai a girovagare con la mia roulotte per acciuffarne di nuovi, per imitarli, immaginando come sarei stata ogni volta diversa indossandoli.

Mi trovai da grande a giocare proprio con una penna d’airone del Vecchio Mondo regalatami da mio zio. Provai a tradurre lingue lontane per renderle più familiari senza tradire lo spirito, il temperamento del personaggio creato dallo scrittore. Si trattava di compiere tripli salti mortali: individuare lo stile dell’autore, scoprire la voce di quel personaggio, immaginare la sua forma fisica, il suo modo di muovere le mani quando versa il vino per sé o per gli altri, insomma tutto quel che viene orchestrato dalla sua voce. Solo in questo modo puoi tradurlo in un’altra lingua. E’ un faticoso sondare solitario, affollata da tanti volti.

Più degli uomini i miei amici erano le creature galleggianti nei pensieri d’inchiostro di scrittrici e scrittori. E per ricambiar l’amicizia, a quei personaggi volevo restituir loro degne parole che non tradissero la loro anima.

“Si diverte tanto a tradurre signorina?”
Ingenuamente avevo detto di si; avevo risposto sinceramente a una persona reale in carne ed ossa che non si fece scrupoli, spazzandomi via, prosciugando la mia scintilla, derubando le mie impronte digitali, riducendomi ad ombra, impossessandosi dei miei pentagrammi di parole. Mi risucchiò fino a farmi scomparire. Imprimendo il suo nome a fuoco sui miei zampilli d’ingegno. Piantando la sua bandiera sulle mie proprietà, sul mio terreno dissodato dalla vanga del mio talento.

“E il negriero come fa?”

NOTE:
Questo racconto è stato liberamente ispirato alla grande traduttrice degli anni ’30 Lucia Morpurgo Rodocanachi. Un omaggio a Colei che definì Elio Vittorini “il negriero”. Indovinate perché.
In copertina:“Metamorphosis” di Tito Alacevich, 30 Maggio 2021

Racconto inedito, proprietà dell’autore.

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