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Giorno: 20 Giugno 2021

DIARIO IN PUBBLICO
Scarpe e balene

 

Vorrei iniziare l’articolo titolandolo ‘Scarpe e balene’. Si tratta di configurare il ‘ritmo’ delle scarpe dei leaders che in Cornovaglia si apprestano alla foto di gruppo dei potenti del mondo e, accanto a questa indicazione visiva, l’incredibile vicenda della balena che a Cape Cod in Massachusetts ha ingoiato un pescatore e lo ha risputato, perché forse ritenuto da lei stessa indigesto.

Commenta La Repubblica: “IN BOCCA alla balena! La crasi fra due dei più celebrati esclamativi beneauguranti di cui tradizionalmente disponiamo, è riuscita a un americano che si chiama Michael Packard. Ha cinquantasei anni, vive al nord della East Cost, nei paraggi di Provincetown, (Massachusetts), sulla punta adunca della baia di Cape Cod, dove impiega il suo tempo nel settore aragoste. Più precisamente è considerato un espertissimo pescatore subacqueo, forse l’ultimo veterano di un mestiere attualmente considerato un po’ troppo duro e pericoloso.”[Qui]

Come Giona o Pinocchio – quando si dice che la ‘realtà’ inventata è più vera di quella cronachistica! – il pescatore viene espulso dalla bocca del cetaceo, che non gradisce l’intrusione di un umano nella sua bocca. Ho vissuto in quei luoghi e so quanto quel paesaggio riesca a trasformare la capacità cronachistica in utopia e letteratura.

Dunque. La più straordinaria immagine è quella dei capi di Stato che, con passo marziale, tenendo per mano le loro compagne, salvo la brava Merkel che cammina da sola, vengono ritratti in atteggiamento guerresco, come se dovessero affrontare chissà quale lotta per la sopravvivenza e si dirigono tutti verso la linea del mare. Importante è seguire la sequenza delle scarpe. La severità di quest’ultima è ribadita dal lucore delle scarpe degli uomini accompagnati dalle vezzose scarpette delle mogli e fidanzate. Una, da sola, avanza con qualità e stile: la Merkel.

Dove sta allora il riferimento simbolico dell’avanzata delle scarpe? Probabilmente dalla visibilità di un particolare fisico, che assume significato simbolico. L’idea che il potere possa esprimersi anche con la lucidità delle scarpe e con l’uso di ciò che i piedi sanno dire, attraverso il loro abbrancancarsi al suolo esprime il senso della radicamento al suolo.

Tutto questo è bene espresso da un articolo apparso sull’Espresso della settimana scorsa, in cui si rimarca che il piede rappresenta il momento di agganciamento al suolo e quindi in qualche modo esprime la possibilità di riuscire a dominarlo. Le scarpe dei leaders sono dunque l’immagine di un dominio che si esercita sulla terra.

L’altro momento è rappresentato dalla incredibile avventura del pescatore del Massachusetts ingoiato dalla balena. Qui l’immagine simbolica propone pena e salvezza per chi osa scontrarsi col mostro. I riferimenti a Moby Dick sono talmente evidenti da suscitare il sospetto di una colossale bufala. Non a caso i luoghi sono quelli dove si svolge l’immane lotta tra il mostro e l’uomo, ma evidentemente la realtà dell’immaginazione coincide con quella della cronaca.

Ecco allora penso quanto sia mediocre la cronaca cittadina che ci parla di lettere minatorie, di espressioni di amore, intellettuali o meno, che agitano il campo politico, così come ancor di più la violenta polemica che ha coinvolto il critico Vittorio Sgarbi, l’assessore Marco Gulinelli e alcune tra le associazioni culturali ferraresi. Queste ultime si erano offerte di aiutare a comprare i disegni di un pittore settecentesco, un tempo appartenuti alla Biblioteca Ariostea e poi scomparsi; contestavano al critico l’acquisto dei disegni, ora ricomprati dal presidente di Ferrara arte, che li collocherebbe all’interno del rinnovato Museo di Schifanoia. Tuttavia le infelici e mediocri dispute ci rendono purtroppo compartecipi di un clima assai poco credibile per il concetto stesso di una città, che è vissuta e dovrebbe vivere d’arte e di cultura.

Per leggere gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

Come nei film: ‘the day after’ pandemia.

 

Forse ci è sfuggito qualcosa nel marasma del fenomeno di una pandemia che eravamo abituati a vedere solo nei film catastrofici, quelli del ‘the day after’ adrenalinico, che accompagnavamo con popcorn, patatine e arachidi, comodamente seduti sui nostri divani di casa.

Anche là arriva l’esercito a organizzare, rassicurare, curare, sostenere con le divise che rappresentano solidità, concretezza, organizzazione, efficienza, accogliendo coloro che ce la fanno a raggiungerli. Hanno anche l’antidoto, nelle scene dei film, un prezioso farmaco risolutivo, quello che dovrebbe salvare l’umanità intera.

C’è sempre anche l’eroe solitario, un civile che si immola per il bene comune, anche a costo della vita, mettendo al primo posto i compagni. E i sopravvissuti: un’accozzaglia di persone di ogni estrazione, razza, appartenenza religiosa, che dovranno organizzarsi per una nuova vita, un nuovo assetto sociale, nuove forme di sopravvivenza, attorniati dalle macerie di una guerra nucleare, piuttosto che un virus letale che ha raggiunto ogni angolo di mondo. Ma ci sono anche le gang allo sbando, quelli che speculano sul momento esercitando la violenza: i branchi dei disperati prepotenti decisi ad accaparrarsi ad ogni costo ciò che rimane.

Abbiamo guardato questi film col fiato sospeso identificandoci, stigmatizzando, assolvendo, accusando, odiando ed amando, sicuri che non sarebbe mai toccata a noi, nemmeno nella più pessimistica delle ipotesi. L’evento pandemia è diventata la nostra realtà quotidiana, anche ora che entriamo nell’estate con il caldo, la voglia di vivere in libertà, i lidi aperti, la montagna in attesa.

C’è un turismo da rilanciare, ci sono aziende da riaprire e riportare a pieno regime, un’agricoltura che rappresenta un comparto da valorizzare appieno, aspettative e proiezioni piene di buone intenzioni. Ma forse ci è sfuggito qualcosa: scuola e salute, i due temi imprescindibili, irrinunciabili, strategici per poter ricominciare davvero.

C’è necessità di cultura, una vera cultura proiettata verso un futuro, che formi le nuove generazioni e rafforzi quelle meno giovani, forgiando, formando, preparando agli scenari del domani sugli strumenti necessari per vivere e vivere qualitativamente meglio.

C’è bisogno di investire nella scuola, nella formazione, nel sapere e nel conoscere perché rinunciando a questo, privilegiando altre priorità o pseudo tali, si rinuncia al domani. Lo dobbiamo ai giovani, a tutti coloro che dovranno farsi carico di ciò che sarà.

Altro tema focale è la salute, dovremmo averlo appreso forzatamente. In realtà stiamo vivendo nelle contraddizioni, affermazioni e smentite che generano incertezza e sfiducia, assistendo a un dibattito senza fine, che tiene impegnati i media, ma genera caos. La salute è il punto di partenza che meriterebbe la più profonda considerazione, attenzione e investimento. Riferimenti chiari, disposizioni uniformi e univoche, assunzione di responsabilità decisionale ed equilibrio tra emotività di massa e razionalità politica dovrebbero guidare su questo tema.

Non basteranno più letti in terapia intensiva, più strumenti diagnostici e terapeutici, big data condivisi, telemedicina, più capitale umano e prevenzione più puntuale: occorre una cultura della salute più consapevole e diffusa, affinchè la responsabilità parta dal singolo individuo attraverso nuovi stili di vita, informazione, conoscenza e consapevolezza individuale, prima ancora di arrivare alla responsabilità collettiva. Scuola e salute saranno necessariamente le due grandi sfide che ci attendono e chiederanno di non lesinare sforzi, risorse finanziarie e grande attenzione.

PER CERTI VERSI
Donare l’anima

DONARE L’ANIMA

La tua stella
Più piccola
È così vicina
Da stare nei nostri occhi
Non possiamo vederla
Nemmeno allo specchio
Dove svanisce
Non possiamo
Che guardare
Dentro
Nel buio
La radura
Della sua luce
E sentire una voce
Che dice
Che occhi che hai
Mi hai donato l’anima
Senza saperlo

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca
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Save the Children: negati i diritti fondamentali per 700.000 minori Rohingya

da: Save the Children

Abbandonati, apolidi, detenuti: un nuovo rapporto dell’Organizzazione rivela che, in cinque paesi dell’Asia, non sono garantite sicurezza, cittadinanza e istruzione a bambine, bambini e adolescenti Rohingya
Aumenta il rischio di abusi, lavoro minorile, matrimoni precoci, tratta e detenzione per migliaia di bambini

Più di 700.000 bambine, bambini e adolescenti Rohingya in tutta l’Asia subiscono gravi discriminazioni e violazioni dei diritti fondamentali, afferma Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro.

Secondo il nuovo rapporto “No safe haven – Nessun rifugio sicuro”, pubblicato in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, in Myanmar, Bangladesh, Malesia, Thailandia e Indonesia i bambini Rohingya non hanno accesso a istruzione di qualità e a protezione legale, rimanendo così esposti ad abusi, lavoro minorile, matrimoni precoci, tratta e detenzione.
Su un totale di almeno 700.000 bambini Rohingya in Asia, la maggior parte di loro vive fuori dal Myanmar, il loro paese d’origine. Gran parte è in Bangladesh, dove circa mezzo milione di bambini vive nei campi profughi, ma molti Rohingya si sono rifugiati anche in altri paesi vicini. La Malesia ospita più di 100.000 rifugiati Rohingya, circa un quarto dei quali si stima siano bambini. Tra i cinque paesi ospitanti, chi ne ospita meno sono Thailandia (3.000-15.000) e Indonesia (diverse centinaia), senza stime esatte sul numero di minori. Circa 234.000 bambini Rohingya sono nello Stato di Rakhine in Myanmar, di cui circa 69.000 confinati in squallidi campi e tutti sono soggetti a severe restrizioni di spostamento.

“Con tutte le atrocità che hanno dovuto affrontare, i bambini Rohingya sono tra i più perseguitati al mondo, dimenticati sia dai loro paesi d’origine sia da quelli in cui sono fuggiti. In Myanmar, in cui ingiustamente è stata negata loro la cittadinanza, subiscono discriminazioni ed emarginazioni. I loro diritti fondamentali sono violati: la possibilità di andare a scuola, di sentirsi al sicuro nelle proprie case e di vivere liberi da discriminazioni e pregiudizi” ha dichiarato Hassan Noor, Direttore Regionale di Save the Children in Asia.

“Le cause alla base di questa crisi nascono in Myanmar, dove devono finire la segregazione e le violenze che durano da decenni. Ma i governi di quest’area hanno la responsabilità e il potere di garantire i diritti, la sicurezza, la dignità e l’umanità dei Rohingya che vivono all’interno dei loro confini e di assicurare la sopravvivenza e la prosperità della loro comunità. Si deve immediatamente garantire sicurezza, rispetto e protezione dei Rohingya, concedendo loro la cittadinanza in Myanmar ma anche garantendo che i loro diritti di rifugiati siano rispettati in altri paesi, tra cui il diritto all’istruzione per i bambini. Senza tutto questo, un’intera generazione di minori Rohingya non potrà avere una vita migliore e contribuire allo sviluppo dei paesi in cui vivono” ha continuano Hassan Noor.

Il Myanmar non riconosce i Rohingya come cittadini, complicando il processo di richiesta di asilo all’estero e, secondo Save the Children, i minori sono ancora più esposti a varie forme di abuso in tutti e quattro i paesi tra cui:

• Apolidia e mancanza di status giuridico: il Myanmar nega la cittadinanza alla popolazione Rohingya, mentre nessuno degli altri quattro paesi concede la cittadinanza ai rifugiati minori Rohingya nati sulle loro coste, né sono ufficialmente riconosciuti come rifugiati. Ciò li espone a repressioni, deportazioni e arresti arbitrari, e molti di loro non riescono ad accedere all’assistenza sanitaria e ad altri servizi di base.

• Difficoltà di accesso all’istruzione, sia a causa di norme esplicitamente discriminatorie che li escludono dalla scuola, sia perché non vengono applicate politiche che dovrebbero consentire loro di frequentare la scuola. In Thailandia, ad esempio, tutti i minori hanno diritto all’istruzione di base indipendentemente dal loro status legale ma non sempre viene rispettato e i bambini Rohingya continuano a rimanere fuori dal sistema scolastico.

• Matrimoni e gravidanze precoci: le pressioni finanziarie e le usanze legate all’istruzione femminile fanno sì che le adolescenti Rohingya abbiano ancora meno possibilità di andare a scuola e più probabilità di matrimoni precoci.

• Arresti e confinamento in centri di detenzione per migranti e campi profughi.

• Atteggiamenti e discriminazioni contro i Rohingya, a volte diffusi online e nei media statali che minacciano la sicurezza dei bambini.

La comunità Rohingya in Myanmar ha vissuto decenni di persecuzioni e violenze perpetuate dallo stato e secondo il rapporto di Save the Children, i paesi vicini spesso non sono risultati luoghi sicuri poiché anche lì i rifugiati Rohingya continuano a essere demonizzati, discriminati, trattati come criminali, rinchiusi in centri di detenzione per migranti o lasciati morire su barche bloccate in mare per mesi. Inoltre, in Myanmar la situazione è sempre più instabile dopo il golpe militare del 1° febbraio, a seguito del quale migliaia di persone sono state arrestate e centinaia uccise, rendendo sempre più remota la prospettiva di un ritorno sicuro per le centinaia di migliaia di rifugiati Rohingya che vivono nei campi in Bangladesh.
Le bambine, i bambini e gli adolescenti Rohingya che vivono fuori dal Myanmar hanno detto a Save the Children che hanno paura di uscire poiché potrebbero essere arrestati ed espulsi per immigrazione illegale.
“[In Myanmar] io e la mia famiglia eravamo perseguitati ovunque. Non potevo lavorare ed ero discriminato. Venivamo importunati e quando ero piccolo mia madre e mia sorella sono state picchiate. Siamo Rohingya e per questo siamo discriminati. Se uscivamo la sera la polizia ci picchiava o ci arrestava; a volte portavano i giovani Rohingya alla stazione di polizia e li torturavano. Una volta arrivato qui, è iniziato il lockdown ed è diventato difficile sopravvivere. Pensavo che avrei trovato di un lavoro per aiutare mia madre e le mie sorelle, ma è difficile trovarlo [senza documenti]. Da quando sono arrivato, ho paura di essere arrestato e della polizia. Non posso uscire [con i miei amici] quando mi chiamano per giocare perché non ho i documenti” racconta Abul*, 16 anni, che a soli 15 anni ha lasciato la sua famiglia in Myanmar ed è fuggito in Malesia, dove vive da circa 18 mesi.

Hamid*, 15 anni, ha lasciato il Bangladesh con suo padre a marzo dello scorso anno per andare in Malesia. Sono rimasti in mare per sette mesi prima che la barca attraccasse a Aceh, in Indonesia. Poco prima di sbarcare, il padre di Hamid è morto lasciandolo senza nessuno che si prendesse cura di lui. Aveva solo 14 anni. Ha affrontato quindi un pericoloso viaggio in barca per raggiungere i suoi parenti in Malesia. “Quando mio padre è morto ho pianto moltissimo e quando sono arrivato in Indonesia ho pianto ogni giorno per tre mesi, mi mancava così tanto. Quando tutte le persone della nostra barca hanno deciso di andare in Malesia sono andato con loro. Una volta arrivati nelle acque malesi sono stato arrestato dalla polizia insieme agli altri Rohingya. Ero preoccupato… Avevo paura di rimanere in prigione per molto tempo ma dopo due settimane la polizia ci ha consegnato all’UNHCR” racconta.

La pandemia di Covid-19 ha peggiorato ancor di più la situazione per i rifugiati Rohingya, poiché i governi aumentano le restrizioni di circolazione e chiudono i confini nazionali rendendo ancora più pericolosi i viaggi dei migranti. In diversi paesi la pandemia è stata un pretesto per le autorità per respingere le barche con a bordo i rifugiati, arrestare e detenere migranti privi di documenti e imporre restrizioni agli aiuti. Inoltre, con la crisi economica e del settore lavorativo, le famiglie hanno avuto gravi difficoltà e i minori Rohingya sono stati più esposti al rischio di sfruttamento, lavoro minorile e tratta.

*nomi cambiati per proteggere l’identità

MEGLIO DI UN ROMANZO
Torna la call for papers di giornalismo narrativo

da: Ufficio stampa Festivaletteratura

Torna la call for papers di giornalismo narrativo che Festivaletteratura dedica ai ragazzi tra i 18 e i 30 anni [Vedi qui]
Tre i temi per il 2021: movimento, frontiera, spazio

I migliori progetti saranno presentati in occasione del festival.

Un progetto con cui la manifestazione sostiene il talento giovane, dando spazio a chi racconta storie vere, coniugando narrazione e approccio documentaristico

Mantova, 19 giugno 2021. Come facevano Truman Capote e Ryszard Kapuscinski, ancora oggi, nell’epoca della velocità e della sintesi estrema, è possibile raccontare le notizie come tracce di una storia, di mondi più ampi. Questo genere di giornalismo dalla lunga tradizione, oggi rinnovato grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia e dalla sensibilità dei giovani, è il protagonista di Meglio di un romanzo, una call for papers che dal 2014 Festivaletteratura propone a ragazzi di età compresa tra i 18 e i 30 anni che vogliano realizzare progetti di giornalismo narrativo.

In attesa della venticinquesima edizione del festival – dall’8 al 12 settembre 2021 – anche quest’anno la manifestazione con questa iniziativa da spazio a chi sente l’urgenza di raccontare storie vere con il respiro ampio della narrazione, e insieme sostiene una volta di più il talento dei giovani.
Tre i temi proposti quest’anno: movimento, frontiera, spazio. Per partecipare basta scegliere una storia contemporanea, piccola o grande, e presentare un progetto su come raccontarla e dove (carta stampata, un blog, un video o altro).

I migliori progetti saranno presentati in occasione di Festivaletteratura 2021 e discussi con Christian Elia, condirettore di Q Code Magazine e coordinatore del progetto, insieme ad alcuni dei più autorevoli professionisti del settore, attraverso la web radio della manifestazione, che ospiterà i pitching dei ragazzi selezionati. A uno degli aspiranti giornalisti selezionati verrà affidato il compito di realizzare un reportage narrativo per il sito festivaletteratura.it in preparazione dell’edizione 2022.

Si può partecipare a Meglio di un romanzo individualmente o in gruppi di massimo sei persone. Ogni progetto va corredato da un teaser, un’anteprima capace di stimolare l’interesse degli addetti ai lavori.

Le domande di partecipazione vanno presentate entro il 20 agosto 2021, l’esito della selezione sarà reso noto entro il 23 agosto 2021.

Il bando di Meglio di un romanzo e i moduli per presentare le domande sono scaricabili dal sito del festival. [Qui]