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Giorno: 28 Giugno 2021

Il MEIS presenta il nuovo sito web nel segno del dialogo tra le comunità

 

Da perseguitata, la comunità ebraica è stata in Italia un esempio di integrazione nella società nel corso dei secoli. Il Museo vuole raccontare la storia e il patrimonio artistico dell’ebraismo ma anche essere un luogo di accoglienza delle altre culture

Nuovo look per il sito web del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoahdi Ferrara [Vedi qui] che si inserisce in un più ampio intervento di rinnovamento dell’architettura esterna e degli ambienti interni.
“Gli spazi del Museo sorgono all’interno delle ex carceri di via Piangipane: si tratta di un luogo simbolico, poiché le celle, da stanze di reclusione di persone e idee, si integrano con edifici nuovi, aprendosi idealmente al dialogo con le altre culture, come un ponte tra il vecchio e il nuovo – spiega Amedeo Spagnoletto, direttore del MEIS – Il filo conduttore del nuovo sito, che si arricchisce di nuovi contenuti tutti da scoprire e che, con il tempo, diventeranno sempre più vari e numerosi, è quello di rendere ancora più accoglienti le nostre strutture, fisiche e digitali, per rendere evidente la nostra volontà di aprirci al dialogo con tutti. Questo è da sempre l’obiettivo del MEIS, che si propone come un centro polivalente per raccontare ai visitatori oltre 2.000 anni di storia degli ebrei in Italia.”
Il restyling è stato curato dall’agenzia indipendente Imille, con headquarter a Milano, che si è concentrata su un obiettivo ben preciso, mettere il ‘visitatore tipo’ di un museo al centro e garantirgli un’esperienza di navigazione guidata, ma anche emozionante. “Il sito non è una mera trasposizione digitale delle informazioni, né pretende di sostituire la visita, ma diventa un continuum del museo fisico. Abbiamo usato il linguaggio comunicativo del digitale per rappresentare a pieno l’essenza del MEIS: accogliere l’identità di ognuno spiega Marta De Gennaro di Imille, che ha guidato il progetto – Abbiamo portato la narrazione del MEIS al livello dei grandi musei del mondo, come MoMa, TATE, Met Museum, Designmuseum Denmark, Harvard Art Museums, Goulburn Regional Art Gallery, che sono stati un esempio di come, attraverso una narrativa chiara e riconoscibile, si possa davvero creare una connessione emotiva con il pubblico”.

DDL Zan e ingerenze vaticane:
riflessioni dietro le quinte

 

Il 17 giugno scorso la Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana scrive una Nota verbale, che l’inglese mons. Paul Richard Gallagher (praticamente il ministro degli Esteri di papa Francesco), ha consegnato ‘informalmente’ all’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Pietro Sebastiani. [Qui]

Il dito è puntato al disegno di legge che porta il nome dell’on. Alessandro Zan del Pd, approvato alla Camera il 4 novembre 2020 e attualmente all’esame del Senato, recante Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.

Il motivo delle due pagine scarse è duplice.

  1. Alcuni contenuti, specie sulla ‘criminalizzazione’ delle condotte discriminatorie per motivi di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere, avrebbero l’effetto – testuale – di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario. Il motivo del rilievo è che Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, considerano la differenza sessuale secondo una prospettiva antropologica ritenuta non disponibile, perché derivata dalla stessa Rivelazione divina.
  2. In secondo luogo, la Nota cita i commi uno e tre dell’articolo due dell‘Accordo tra Santa Sede e Repubblica italiana di revisione del Concordato del 1929 [Qui], siglato il 18 febbraio 1984 dagli allora presidente del Consiglio dei ministri, Bettino Craxi e segretario di Stato, card. Agostino Casaroli. Commi nei quali si riconosce alla Chiesa cattolica piena libertà di svolgere la propria missione, magistero e ministero, nonché pari libertà ai cattolici (associazioni e organizzazioni) di riunione, pensiero, parola, scritto e ogni altra forma d’espressione.La Segreteria di Stato vaticana conclude auspicando una diversa modulazione del testo normativo.

Fin qui i fatti, su cui è bene fare una prima sosta perché già motivo di un ampio dibattito.

Si può parlare di un fatto senza precedenti, di un passo compiuto senza, o addirittura contro, il consenso del papa, o di ingerenza sullo Stato italiano?
Innanzitutto “non è un caso eccezionale – scrive il direttore de Il Regno, Gianfranco Brunelli (22 giugno) -, tantomeno è la prima volta”. Per quanto, scrive Avvenire (23 giugno), “è un passo diplomatico piuttosto raro”.

Sul punto, però, ci sono anche i dietro le quinte raccontati dai bene informati.

Massimo Franco (Corriere della Sera 21 giugno), scrive che da tempo, fra curia e gerarchia, sarebbero in atto forti pressioni per una presa di posizione netta e dura, rispetto a una linea giudicata di eccessiva timidezza dei vescovi e del suo presidente, card. Gualtiero Bassetti. “Esponenti come l’ex presidente della CEI Camillo Ruini – scrive Franco – hanno dato voce a chi voleva un atteggiamento di netta contrarietà”.

Lo stesso Brunelli allarga l’analisi con altri elementi di preoccupazione: “qualcuno maldestramente pensa di conseguire un qualche obiettivo o interesse nell’innescare uno scontro e non modificare il DDL”. “O qualcuno nel Pd, – conclude Brunelli – partito sempre più in crisi politica, pensa di trovare la propria identità facendo di questa materia una battaglia ideologica, invece di disinnescarla, conseguendo un obiettivo equilibrato; o qualcun altro ha immaginato di utilizzare la partita di uno scontro con la Chiesa per mettere ulteriormente in difficoltà il Pd”.
Se le cose stanno così, si delinea uno scenario – diremmo di stampo statunitense – in cui la polarizzazione degli opposti prevale sullo spazio delle soluzioni: “Lo scontro salirà – avverte Brunelli – e una cosa è certa: ci faremo male un po’ tutti”.

Pare fuori luogo, poi, pensare che la Nota sia stata scritta senza il consenso di papa Francesco o, peggio, che non ne fosse a conoscenza.
Sull’ingerenza, invece, la pensa così Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Nev.it): “Una vera e propria interferenza del Vaticano”.
Secondo Vincenzo Pacillo, ordinario di diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Modena e Reggio Emilia (Huffington Post 23 giugno), “è più che un’interferenza, perché perturba il dibattito pubblico e mina il principio della laicità dello Stato”.

Tema sul quale è intervenuto in Senato lo scorso 23 giugno il presidente del Consiglio, Mario Draghi, con parole che andrebbero imparate a memoria: “Laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, è tutela del pluralismo e delle diversità culturali”. Lo ha detto precisando di non voler entrare nel merito della discussione, che è prerogativa del Parlamento.Non sono sembrate solo parole di rispetto istituzionale.

In effetti, c’è stato chi – come la vaticanista Lucetta Scaraffia (QN 23 giugno), o Cesare Mirabelli, costituzionalista e oggi consigliere generale dello Stato della Città del Vaticano (Avvenire 23 giugno) – invece dell’ingerenza ha preferito porre un problema di libertà di pensiero e parola. Principio che non riguarda solo Chiesa e cattolici nel caso specifico.

E qui il problema si complica, a causa di almeno due ordini di considerazioni.
Ammesso che ci sia ancora spazio per una serena discussione (visto lo scenario di scontro che sembra delinearsi), l’obiezione vaticana sul DDL Zan, a quanto pare, non è solo questione di difendere posizioni all’insegna del conservatorismo o, peggio, di un oscurantismo anacronistico.

  1. Il costituzionalista Emanuele Rossi (Il Regno 10/2021) ha sollevato dubbi su alcuni passaggi chiave del testo normativo in discussione. Rispetto all’articolo 604 bis del Codice penale (che punisce reati di discriminazione e violenza per motivi razziali, etnici e religiosi), il DDL Zan allarga le fattispecie criminose a chi istiga o commette atti di discriminazione anche per motivi legati al sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità, oltre a coloro che promuovono, dirigono, partecipano o prestano assistenza a organizzazioni che, analogamente, incitano alla discriminazione o violenza per gli stessi motivi.
    Rispetto al 604 bis, non risulta ampliato il reato di propaganda, ma solo quello di istigazione e qui si porrebbe il problema di rimettere al giudice il compito di definire se un atto sia configurabile come propaganda (non punibile) o istigazione (punibile).
  2. Un secondo dubbio giuridico sarebbe l’aggiunta, per la qualificazione della particolare vulnerabilità della persona offesa, della categoria di odio fondato sulla sfera sessuale. Anche in questo caso il compito di stabilire se si è in presenza di fatti compiuti con intento discriminatorio o con odio, verrebbe affidato al giudice.

Siccome l’articolo 25 della Costituzione dice che le fattispecie di reato devono essere tassative e determinate, se le circostanze in cui si commetta violenza in ambito sessuale sono sufficientemente chiare, così non parrebbe per la fattispecie dell’istigazione.
“Mi pare – commenta l’esperto – che in questo modo si crei una sorta di labirinto nel quale dovrà muoversi il giudice chiamato a risolvere casi concreti: con qualche dubbio sulla tassatività e determinatezza – costituzionalmente necessarie – della fattispecie incriminatoria”.

Con l’aggravante che, visto il clima italico, se anche una denuncia non dovesse approdare a una condanna, “l’effetto mediatico – conclude Rossi – potrà consentire di raggiungere l’obiettivo di condanna sociale”. Tema noto nel dibattito giuridico come: “uso simbolico-espressivo del diritto penale”.

C’è poi un secondo ordine di considerazioni in ambito ecclesiale, da mettere su uno dei piatti di questa complicata bilancia.

Il riferimento è al caso scoppiato lo scorso 15 marzo, con la pubblicazione del Responsum che la Congregazione per la dottrina della fede ha dato a un dubium sulla benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso.

Sorvolando sulle critiche al documento vaticano (come ha fatto l’arcivescovo di Vienna, card. Christoph Schönborn, con il suo “non essere contento” per la risposta negativa partorita dalle Sacre Stanze), il teologo Andrea Grillo (Il Regno 8/2021), ha messo in fila alcuni temi che dentro la Chiesa toccano un nervo scoperto. Fra questi, è sempre meno sostenibile continuare a considerare il tema dell’omosessualità con sole argomentazioni teologiche, prescindendo dalle acquisizioni del mondo scientifico.
In secondo luogo, è ormai forte nel dibattito ecclesiale il bisogno di mettere mano, ad esempio, al numero 2357 del Catechismo (gli atti di omosessualità sono intrinsecamene disordinati e contrari alla legge naturale): la scienza moderna esclude che sia una malattia.

Per tornare alla Nota vaticana, l’affermazione di “una prospettiva antropologica non disponibile” in realtà da tempo è messa in discussione dalla teologia, perché progressivamente ne comprende i condizionamenti storici oltre al fondamento sulla Rivelazione divina.

Come si vede, ci sarebbe molto lavoro da fare sul tema in tutti i fronti, se solo prevalesse la volontà di cercare soluzioni, rispetto all’irrigidimento ideologico delle posizioni, ciascuno in nome della propria verità.

Cover: foto da nexquotidiano.it (licenza Wikimedia Commons)

Sconcerto per l’ennesimo malfunzionamento della conca di Pontelagoscuro:
la navigabilità delle nostre acque è compromessa

 

La Rete per la Giustizia Climatica attraverso due suoi gruppi di lavoro, il Gruppo Blu e il Gruppo Mobilità, esprime sconcerto e preoccupazione per l’ennesimo malfunzionamento della conca di Pontelagoscuro, nuovamente interrotta. L’Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile – Servizio Area Reno e Po di Volano, l’ente regionale che ne gestisce il  servizio, ha infatti comunicato che tale struttura  resterà  chiusa per motivi di sicurezza fino a data da destinarsi. La nostra città, che è stata definita “idropolitana” poiché circondata da corsi d’acqua, patrimonio dell’Unesco anche per il suo legame con il Delta del Po, paradossalmente si trova più isolata che mai dal punto di vista della navigabilità.

Una fotografia della situazione attuale restituisce un’immagine impietosa: la Darsena di San Paolo, futuro ma sempre più chimerico hub di turismo fluviale di diporto verso il Po il Grande o verso il mare – dove fino a dieci anni fa insistevano ottanta posti barca… è tristemente vuota, se non fosse per la Nena e il Lupo, ormeggiate nei pressi degli ex magazzini Savonuzzi. Lo sbocco fluviale verso il Po Grande dal canale Boicelli (canale pieno di scarichi e dalle acque non certo cristalline) è bloccato da una conca mal progettata che dal 2003 continua ad avere problemi di funzionamento e manutenzione. Il Canale Burana verso ovest, sulla cui riva destra insiste la più bella pista ciclabile di Ferrara, pur essendo stato oggetto recentemente di una lodevole iniziativa di cicloturismo fluviale e mobilità dolce con approdo all’attracco di Vigarano Pieve, non ha il permesso di navigabilità. Andando dalla darsena di San Paolo verso est, le cose non migliorano; infatti la chiusa di Valle Lepri è ancora inagibile, dal febbraio 2013, e rende impossibile proseguire verso il mare dove, a Comacchio, a parte lo sperpero di fondi pubblici per il raddoppio del Porto Canale poi richiuso, persiste un’altra perla della mobilità e navigabilità della provincia di Ferrara, il Ponte mobile di San Pietro che mobile non è perché non si apre e impedisce il passaggio alle imbarcazioni. Se poi si decidesse di navigare più verso sud, imboccando il Po di Primaro, si rischierebbero spiacevoli incontri con tronchi galleggianti e insabbiamenti sul fondo da dragare. Come da dragare sarebbe anche la stessa Darsena di San Paolo che vive nella vana attesa di navi commerciali porta container  di categoria A, lunghe anche 70 metri, che non arriveranno mai, poiché anche il più sprovveduto degli ingegneri idraulici è pienamente consapevole che l’ostacolo del ponte della ferrovia, ai fini della navigabilità, è insormontabile.

La navigabilità delle nostre acque vive il più brutto momento della sua storia e non è difficile ipotizzare che anche il deflusso minimo vitale, in queste condizioni, ne risenta. Eppure, nel recente convegno svoltosi a Gaiba (RO) il 28 maggio scorso, Barbara Lori (Assessora alla programmazione e pianificazione territoriale della Regione Emilia-Romagna), il suo omologo veneto Cristiano Corazzari, e anche il sindaco di Ferrara hanno lodato le prospettive della “Valorizzazione del cicloturismo fluviale del fiume Po per un turismo sostenibile”, che cozzano contro una realtà di improvvisazione e malagestione delle nostre vie d’acqua, incluso il Po Grande, dove anni fa, in seguito all’arenarsi su un banco di sabbia della nave da crociera “River Cloud”  l’armatore olandese decise di spostare tre delle quattro navi della flotta costruita appositamente per il fiume Po su altri fiumi europei.

Quindi, nonostante la promessa dei fondi necessari per un intervento all’Idrovia Ferrarese, stando alle parole dello scorso anno dell’assessore regionale Irene Priolo, (4,5 milioni di euro) e nonostante l’arrivo di 300 mila euro per la sistemazione della conca di Pontelagoscuro (saranno mai sufficienti?) e di altri fondi per l’adeguamento del nodo idraulico di Valle Lepri (Ostellato), ci permettiamo di esternare un timido scetticismo, visto la realtà dei fatti.

La Rete della Giustizia Climatica, che si propone fra i suoi obiettivi anche la tutela e la valorizzazione delle nostre vie d’acqua, sia dal punto di vista della qualità dell’acqua che per quanto riguarda lo scorrimento del deflusso minimo vitale e di una fruibilità delle vie navigabili lenta, dolce e sostenibile, invita l’attuale giunta e la Regione ad intervenire, facendo pressione sulle autorità competenti, affinché la nostra città possa avere le vie d’acqua che merita e che il contesto idrogeologico e geografico potrebbero consentire.

Rete per la Giustizia Climatica – Ferrara
www.giustiziaclimaticaferrara.it [Vedi qui]

In copertina:  Il battello fluviale Nena nei pressi della Conca di Navigazione di Pontelagoscuro 

Il Sindaco, Naomo e il cavallo di Caligola

 

Una delle vicende di folklore che accompagnano la storia degli imperatori romani riguarda Caligola, che fu ad un passo dal nominare console il suo cavallo prediletto, Incitatus. Si narra che Incitatus fosse nutrito a frutti di mare e pollo, coperto di porpora e pietre preziose e che dei servi si dedicassero esclusivamente a lui; che vivesse in stalle di marmo con mangiatoie d’avorio. Che mangiasse spesso alla stessa tavola dell’imperatore e, quando Caligola brindava in suo onore, il resto dei commensali dovesse fare lo stesso se non voleva essere ucciso.

Del vice sindaco di Ferrara avevo scritto una volta sola su Ferraraitalia [Vedi qui]
Mi ero ripromesso di non farlo più, per non alimentare nel mio piccolo l’amplificatore mediatico di vaccate che ha condotto la fama di costui fino alle pagine della cronaca anglosassone e transalpina. Una trappola, un cortocircuito dell’informazione nel quale sono caduti tutti, ognuno conferendo il proprio mattoncino nella costruzione del personaggio di Naomo, in una ingenua, dissennata e collettiva eterogenesi dei fini.

Ho cambiato idea. Il potere consegnatogli a Ferrara non ha solo a che fare con una (abile) strategia di comunicazione, basata sullo spregiudicato sfruttamento del potenziale dei social media, evoluzione trash ma poderosa della “società dello spettacolo” di Guy Debord. Ero convinto di questo, fino a quando l’imbarazzante sequela di fatti che lo coinvolgono non è diventata direttamente proporzionale all’accumulo crescente di cariche e deleghe amministrative nelle sue mani. Anzi, più aumentano le magagne che lo vedono protagonista, più aumenta il credito ed il potere che il Sindaco stesso gli concede. E’ per questo che, rispetto a un anno fa, la mia visione è cambiata: fino a un anno fa, potevo pensare che le mille preferenze ricevute per la sua cafona ma efficace strategia comunicativa fossero un credito politico che Alan Fabbri dovesse saldare; che saldarlo facendolo diventare vice sindaco fosse anche una mossa astuta, secondo la regola per cui, se dai una carica importante al clown del paese, negli spettacoli farà ridere per te: se lo tieni fuori, negli spettacoli potrebbe far ridere contro di te.

Invece mi sbagliavo. Non è solo questo, non può essere solo questo. Il curriculum del soggetto in questione, notorio al punto da renderne stucchevole la ripetizione, si è arricchito di due nuove recenti tacche. La prima: ha minacciato di togliere ad una storica cooperativa di servizi alla persona la possibilità di continuare a lavorare con il Comune di Ferrara, se la Coop stessa non si fosse liberata di un suo dipendente, reo di avere pubblicamente criticato la figura di Lodi. La seconda tacca è sulla bocca di tutti da alcuni giorni: le lettere anonime di minaccia arrivate a Lodi erano scritte in casa, fabbricate e spedite nientemeno che dalla sua fedelissima Rossella Arquà, (ex) responsabile organizzativa della Lega provinciale, alla quale, dopo la scoperta (divenuta immediatamente una ammissione perchè le indagini della Digos, evidentemente, mostravano già l’inequivocabile), un solerte presidente del Consiglio Comunale, tal Poltronieri, fa firmare delle precipitose dimissioni da consigliera comunale “in itinere”, lungo la strada, vicino ai bidoni della spazzatura di via Spadari.

A questo punto ci sono diversi derivati giudiziari del filone principale di indagine, compresa la liceità di dimissioni carpite in tale modo. E possiamo stare certi che sul fronte giudiziario ne vedremo delle belle, visto che la Arquà ha appena nominato come suo avvocato Fabio Anselmo, legale anche dell’altra ex consigliera della Lega Anna Ferraresi, la prima ad essere imbrattata dalla macchina del fango leghista in salsa ferrarese. Peraltro, Arquà stessa ha affermato: “Finché il vicesindaco Naomo Lodi continuerà a mantenere il suo ruolo istituzionale, non vedo il motivo per cui io debba lasciare il Consiglio comunale”, frase che non ha bisogno di essere interpretata.

Dell’aggiornamento dei casellari si occuperanno il Tribunale, gli avvocati ed i cronisti di giudiziaria. Un cittadino ha invece il diritto di occuparsi del rapporto tra il Sindaco e il suo vice, quando rileva che l’anomalia supera il livello di guardia. Sul sito del Comune [Vedi qui] è possibile leggere quante e quali sono le deleghe conferite a Lodi, di professione barbiere: Sicurezza, Protezione Civile, Frazioni, Mobilità, Urbanistica, Edilizia, Rigenerazione Urbana, Palio. All’atto del conferimento delle due ultime deleghe all’edilizia e all’urbanistica, il Sindaco Alan Fabbri ha spiegato: “poiché Lodi è già incaricato per la mobilità e le frazioni, potrà aggiungere a queste due settori coerenti, che gli consentiranno di avere una visione di insieme sugli aspetti riguardanti la progettazione ‘logistica’ dell’intero territorio”. Il Sindaco di Ferrara ha fatto questo nella città di Biagio Rossetti: sarebbe come se la municipalità di Barcellona affidasse la manutenzione delle opere di Gaudì ad un venditore di tapas.

Nemmeno per se stesso Alan Fabbri ha riservato deleghe di tal numero e rilievo: ha infatti Sanità, Agricoltura, Affari Generali, Affari Legali, Relazioni Istituzionali, Comunicazione. Nemmeno Vittorio Sgarbi, assessore alla cultura di fatto, presidente di Ferrara Arte, l’uomo al quale, piaccia o non piaccia, si deve la attuale politica culturale di Ferrara, ha in mano tanto potere quanto Nicola Naomo Lodi. La domanda sorge spontanea: perchè?

Alan Fabbri aveva una sua reputazione. La sua figura di amministratore, assoggettabile a critiche come quella di chiunque faccia quel mestiere, era però ben distinta da quella del suo vice sindaco, un’altra categoria in termini di capacità amministrativa e decoro della funzione. Le elezioni sono ormai abbastanza lontane per considerare assolto un debito di gratitudine nei confronti del (piccolo) accumulatore di preferenze Lodi, il cui modo di interpretare il ruolo sta travolgendo la reputazione di Alan Fabbri. Eppure lo stesso Fabbri non solo non se ne cura, non solo non ne prende le distanze, ma addirittura continua ad assommare poteri in capo al suo vice, oltre a mostrare un palese nervosismo nei rapporti con la stampa (non riesco a definire in maniera più eufemistica la condotta di un sindaco che, parole del direttore di estense.com Zavagli, gli telefona di notte per insultarlo).

Alan Fabbri non sembra libero. Ormai lui e il suo vice sono accomunati dalla medesima reputazione istituzionale, ma lui non fa nulla per liberarsi del fantasma che lo sovrasta, e che sta trasfigurando anche la sua immagine. Credo che i cittadini ferraresi abbiano il diritto di sapere come stanno le cose. Non c’è bisogno di arrivare al commissariamento di un Comune per fare strame del decoro di un’istituzione, e questo purtroppo sta già avvenendo. Ci auguriamo che Fabbri non voglia essere ricordato, come successe a Caligola, per l’idolatria verso il suo cavallo.

Cover: elaborazione di Carlo Tassi

L’importante è che vinca lo sport

Come al solito, con il ritorno di questa stagione orribile, ecco che – porca merda – ritorna l’orribile caldo.
Per questa settimana si dovrebbe finalmente sfondare il muro dei 40 gradi, per la gioia di grandi e piccini ma soprattutto dei: fan dell’estate.
Io sarò anche di parte e – forse proprio per questo – non ho mai capito chi si gasa così tanto per questa stagione in cui ogni atto rischia di diventare una fatica d’Ercole.
Persino il semplice pensare davanti a un computer può diventare qualcosa di macchinoso, sfuocato e a volte non meritevole di più di un tentativo.
Forse è proprio questo che a tanti piace dell’estate: un mix di pigrizia mentale regolamentata dalla natura e quindi in un certo senso di fatto legalizzata.
Fortunatamente, in questi giorni ci sono comunque ancora gli Europei di calcio, ottima base per esercitare questa pigrizia mentale (per chi ne va matto) e un’alternanza fra pigrizia mentale e sforzi intellettuali più o meno minimi che a volte possono portare a qualche buona idea o addirittura a risse verbali ma anche fisiche degne dei gloriosi anni del “Processo di Biscardi”.
L’importante è che però vinca lo sport.
Buona settimana e soprattutto buona sopravvivenza con questo pezzo che abbassa un po’ la temperatura.

Diamorphoses (Iannis Xenakis, 1997)

LA VIGNETTA
I geni della mascherina

illustrazione di Carlo Tassi
(tutti i diritti riservati)

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Un’altra genialata del governo! Prima l’obbligo della mascherina all’aperto non c’era e andava messa solo in caso di prossimità o assembramento… Oggi annunciano che l’obbligo della mascherina all’aperto è stato tolto e si deve indossare solo in caso di prossimità o assembramento! E c’è pure gente che tutta contenta esclama: “Finalmente, era ora!” E’ ormai evidente che questa pandemia ci ha fatto diventare davvero tutti imbecilli (almeno è quello che credono al governo… parrebbe)!