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Giorno: 19 Agosto 2021

DIARIO IN PUBBLICO
Il Calore

 

Mentre Lucifero impazza e produce laghi di umori salini, che rendono totalmente bagnate e degne di essere frequentemente cambiate canottiere e mutande; mentre asserragliato in casa produco falso benessere posizionando in dry il condizionatore, compulsivamente cerco contatti con chi, sprezzante del pericolo e dell’età, affronta spiagge e viaggi, confortandomi secondo la mia mai perduta malignità nel ‘frescolino’ che da Lipari a Viareggio, da Roma alla Puglia prova nella loro posizione privilegiata.

Per assicurarsi della veritad si spediscono foto di termometri che attestano il fresco. Addirittura, i felici liparoti narrano di bagni favolosi, di freschi anfratti, dove ripararsi dalle fiamme metaforiche e reali che Lucifero provoca nella sfortunata Sicilia; ma poi devo ricorrere alla connivente attestazione di verità di altri amici ferraresi-liparoti, che narrano di pozze di sudore che si formano ai piedi degli astanti, secondo la prassi da me stesso attuata decenni fa, quando, felice villeggiante, provai la stessa sensazione e condizione.

 

Così per mio diletto e in attesa delle novità che mi vengono recapitate ad horas dai parenti spiaggianti, chiuso nel mio fresco fortino adorno di meravigliose piante appena comprate con il mio straordinario scudiero-giardiniere, e sono gelsomini, fiori di vetro e begoniacee, tra un tripudio di oleandri e plumbago, (vedi foto al sinistra del testo) irrido alla mancanza totale di conoscenza di simili delizie dell’amica Anna che però spende fortune in Versilia per procurarsi apparecchi magici che la immunizzano dalle zanzare, mentre felice si dedica a Bassani e alla cottura di strepitose grigliate nel suo giardino viareggino.

E comincio con la declinazione del calore nelle lingue più conosciute: the Heat in inglese, la Chaleur in francese, die Hitze in tedesco, o Calor in portoghese, el Calor in spagnolo e addirittura Teas in irlandese.

Questa mattina, fidandomi dei sussurri che circolavano di casa in casa e che ci promettevano il ‘frescolino’, ci facciamo accompagnare al bar del bagno Onda blu in attesa del passaggio dei parenti che s’avventurano a percorrere le centinaia di metri che li separano da tende e ombrelloni. Nell’aria si spande odore di carne cotta prodotta dai valorosi giocatori, che tornano dalle loro esibizioni, mentre pettorute dame color cioccolata s’avanzano caracollando, cosparse di filtri e creme e gorgheggiando del freschino in riva al mar.

Sono le 13:00 e il termometro segna ‘percepiti’ 36°’. L’intrepido nipote, sprezzante di Lucifero, porta i figli ad una rapida gita fiorentina: non può entrare né in chiese o musei per le mostruose file prodotte dai gitanti. Gli resta la consolazione di mangiare una fiorentina gigante in un locale in Contrada della Passera. Un nome. Un programma. Temperatura percepita 35°.

Dal viale del Laido si scatena una musica assordante, mentre ieri sera metà del paese era privo di luce ed acqua. Termino la mia giornata ‘calda’ (mi raccomando la ‘elle’ palatale secondo le secolari regole della nostra pronuncia), pensando con nostalgia ai prati di Vipiteno, mentre atterra reduce di una gita a Dublino presso l’amato cugino, il caro Ludo che mi butta lì la frecciata finale: “di sera eravamo sui 12° nell’ora più calda 20°” e mi nasce una ribellione al calore.

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

Parole a capo
Carla Sautto Malfatto: “Il muro” e altre poesie

“In cuore abbiamo tutti un Cavaliere pieno di coraggio, pronto a rimettersi sempre in viaggio, e uno scudiero sonnolento, che ha paura dei mulini a vento.”
(Gianni Rodari)

Nel 2017 Carla Sautto fu investita da un’auto mentre attraversava a piedi le strisce pedonali: dopo due interventi chirurgici, ha ricominciato a camminare, ma con limitazioni permanenti. Dedica queste poesie alle vittime della strada, a chi non si arrende, a chi converte rabbia e dolore per comprendere e imparare, a chi si prende cura con amore delle persone sofferenti, a chi guida.

IL MURO

Non l’accetto. Non mi arrendo.
È la mia forza e la mia debolezza.

Un ariete contro un muro
incapace d’accontentarsi
dell’erba smunta su questo fronte.

Talvolta però la pietra schianta
e svela il miracolo,
l’impossibile.

Di più, è farsi bastare d’aver tentato
con le corna e l’orgoglio scheggiati
a sfrigolare nello stomaco.

Ma non potrei fare in altro modo:
pochi i soli lanciati da questa parte,
e nacqui ariete
né pecora
né farfalla.

IO, TU, IL MARE

C’è un’onda che mi chiama.
Se tu credi che oda solo il suo rollio, ti sbagli.
Ci ho pensato bene
sulla panchina, di fronte
a una landa di sabbia ostile che ci separa.
Tu, come un potente baio
tiri quattro ruote di un aratro;
io, salda, trattengo il vomere,
accompagno l’incedere.
Il cercatore di metalli
ci guarda come la più strana cosa
rinvenuta oggi, tra le dune.
Dai miei piccoli solchi già germoglia
l’ostinazione,
scricchiola l’odore aspro
della decomposizione a chiazze
tra conchiglie e alghe spezzate.
Eccomi. Naufraga del male. Seduta
sul deambulatore ad un passo
dal tuo passo bagnato.
Non ti sentivo bene da laggiù.
Ora parla: ti ascolto.
Non siamo mai stati così simili,
anche tu, rinchiuso tra cielo e terra
con tutta la tua rabbia
con tutta la tua potenza
ritenerti d’essere qualcosa di più,
in fondo,
di un sommovimento di liquidi e carne.
Calmati. Parla in moto lento.
Facciamo finta che siamo soli, io e te,
mentre lui ci guarda.

(poesia premiata)

PRIMI PASSI NELLA MIA GOLENA

Sul muschio di tappeto giovane
affondo il passo, le stampelle.
Il dolore è la lancetta del mio incedere.
Come un automa, un burattino,
un bradipo: questo ora sono
tra ghiande e noci marce.
Sono venuta qui
per questo campo zuppo e silente,
tra ciuffi d’erba ardui come montagne,
miseri avvallamenti come baratri.
Un’eternità per toccare la recinzione
a ciglio della riva.
Nemmeno il fiume mi viene incontro,
ma svolge l’ansa, tuffa salici,
trattiene l’onda e il fiato.

PROFUMO DI MEDICO

Esco, con il profumo dell’ultimo medico
addosso
persistente a risalire le narici
al cervello e friggervi la sentenza.
Oggi lasciami toccare il fondo
e crogiolarmi un po’ di lacrime,
qualche sano urlo di autocommiserazione
il proposito di far male a qualcuno
una lista schiantata di improperi.
È una farsa anche questa
come assistermi sul palco di questo viale
grumoso e spaccato dopo l’ultima pioggia,
la tragedia che non si può fuggire
io, mattatore,
il mio nome cubitale sui manifesti.
Uno o due giorni, non di più, me li posso concedere;
gli altri, con il conforto facile, mi stiano all’orizzonte.
Per dovermene vergognare – si fa per dire –
ripassa domani.

ORA SAI

Poi ti accorgi di chi ti sta accanto,
quando non hai più nulla da dare
se non un corpo che sforma il letto
e occhi in cerca di consolazione.
Non bussano più alla tua porta.
Come segugi fiutarono il vento marcio.
Ben nascosti per non essere scovati,
hanno scuse pronte sui taccuini.
Te ne accorgi perché nello sfacelo
sai a quale sola mano aggrapparti,
dove volgere la bocca e il pensiero
a quale schiena addossare la tua soma.
Te ne accorgi e sono loro a fare cernita,
a dividersi con un taglio netto,
posizionarsi su sponde opposte,

nonostante le parole e gli orpelli
ora sai di che metallo hanno i denti
e il cuore.

© Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati

Carla Sautto Malfatto (Ferrara, 1954) ha ottenuto oltre centosettanta premi per la poesia, la narrativa, la pittura e la grafica in concorsi nazionali e internazionali, tra cui la Targa d’Argento della Presidenza della Camera dei Deputati, la Medaglia del Senato, il Premio Consiglio dei Ministri, il Premio Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Medaglia del Pontefice Francesco I, il Premio Unesco, Premi alla Cultura, della Critica, della Giuria; il Premio Terme di Salsomaggiore per la pittura 2002. Ha pubblicato Farfalle e Scorpioni (racconti) e Troppe nebbie (poesie), entrambi pluripremiati. Collabora a riviste di cultura; è membro di giuria in concorsi letterari e lo è stata in concorsi artistici; i suoi testi di poesia e narrativa sono pubblicati in prestigiose antologie; le sue opere d’arte fanno parte di raccolte pubbliche e private. Per molti anni ha compiuto volontariato fornendo materiale e insegnamento artistico in scuole, pediatria oncologica, corsi per disabili psichici.

La rubrica di poesia Parole a capo esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. 
Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

Succede a Ferrara…
Memento per un anziano fascista

 

Di recente, un politico ferrarese che rivendica le proprie radici fasciste (la coerenza non è sempre un valore) ha scritto di essere fermamente contrario all’intitolazione di un luogo cittadino alla memoria di Gino Strada, perché faceva parte di un famigerato servizio d’ordine studentesco che non disdegnava l’utilizzo di una chiave inglese come mezzo contundente da usare “…contro chiunque non fosse allineato con la loro farneticante ideologia marxista-leninista-maoista. Insomma, comunista”.
Per questa falsa accusa un ‘giornalista’, tal Moncalvo, è già stato condannato dalla magistratura per diffamazione, e ha dovuto risarcire Emergency con 150.000 euro. Incurante della datata calunnia, il politico locale aggiunge che Strada non ha mai “rinnegato quella sua violenza giovanile, mai chiesto scusa alle sue vittime, mai compiuto il più semplice atto riparatorio. Insomma, mai ha mostrato il minimo pentimento.”
Parrebbe (bontà sua) che abbia “rimediato a questa violenza facendo del bene”…, bene sul quale peraltro manifesta “qualche riserva”. In effetti “pare” che Gino Strada e la sua organizzazione in questi 30 anni abbiano, tra l’altro, operato decine di migliaia di bambini dilaniati e amputati dalle mine più bastarde, quelle a forma di pappagallo verde, tanto da sembrare un giocattolo. E non per “rimediare” a qualcosa, come insinua costui rinnovando la calunnia, ma per rispondere ad una chiamata della sua coscienza di medico chirurgo, chiamata cui ha dedicato la propria esistenza. E questo è un fatto, non un’opinione.
Non si chiedeva a questo politico altrettanta grandezza (difficile pretenderla da noi stessi, figuriamoci da lui). Non avrebbe nemmeno senso (essendo la risposta scontata) chiedergli perché, invece, riterrebbe indubbiamente meritoria un’intitolazione odonomastica al gerarca fascista Italo Balbo, e senza bisogno che costui rinnegasse nulla, anzi a celebrazione delle sue gesta di famigerato picchiatore.
E anche questo è un fatto, non un’opinione.

Potevamo però almeno sperare che tacesse. Ma non ha taciuto. Allora nemmeno noi. Visto che non è più uno sbarbatello fascista ma un uomo attempato, è tempo che si interroghi sull’ipotesi che il giovanile fanatismo, dal quale evidentemente non è guarito, gli stia restituendo una rappresentazione rovesciata dei fatti della vita, e del loro valore. Un quadro che non ha nulla di politico, ma qualcosa di patologico.

 

“Le statistiche sulla sanità dicono che un americano su quattro soffre di qualche forma di malattia mentale. Pensa ai tuoi tre migliori amici. Se stanno bene, vuol dire che sei tu”.

Rita Mae Brown