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Giorno: 16 Ottobre 2021

Slow Food: la biodiversità è il nostro futuro

 

Slow Food: «La perdita di biodiversità mette a repentaglio la sicurezza alimentare dell’intero genere umano»

Nella giornata di oggi giunge a conclusione la prima fase della Convenzione Onu sulla biodiversità, cominciata lo scorso 11 ottobre. Seguirà nell’aprile del 2022 la tornata conclusiva dei negoziati sul piano strategico post-2020 per la biodiversità globale, un ciclo di incontri faccia a faccia in programma a Kunming (Cina). La Convenzione prevede l’adozione di un piano strategico post-2020 per la biodiversità globale che articoli una prospettiva a lungo termine e introduca una tabella di marcia per la conservazione, la tutela, il reintegro e la gestione sostenibile della biodiversità e degli ecosistemi a livello globale nei dieci anni a venire.

Il sentito auspicio di Slow Food è che questa tabella di marcia prescriva dei traguardi intelligenti e misurabili, valorizzando il contributo delle persone che da sempre si prendono cura delle proprie risorse naturali. La prima bozza del piano strategico per la biodiversità globale precisa che, se vogliamo trasformare i modelli economici, sociali e finanziari in modo tale da stabilizzare entro il 2030 le tendenze che hanno esacerbato il degrado della biodiversità (e quindi favorire il reintegro degli ecosistemi naturali con miglioramenti tangibili all’orizzonte del 2050), occorre predisporre fin da ora misure tempestive su scala globale, regionale e nazionale.

«Slow Food ha preso parte alle consultazioni che hanno scandito la fase preparatoria della Convenzione Onu, facendosi portavoce di due importanti messaggi: la strategia globale per la biodiversità dovrà mettere al centro le persone e dovrà introdurre degli indicatori per quantificare la diversità alimentare» ha ricordato Marta Messa, direttrice di Slow Food Europa. Si tratta cioè di misurare elementi come la diversità dei pascoli, la presenza di banche dei semi, il numero di coltivatori che lavorano a partire dalla biodiversità locale ecc. «Quegli indicatori dovranno tenere conto anche dell’andamento delle pratiche sostenibili nel tempo, nel senso di una maggiore o minore diversità: sia per quanto riguarda la gestione dei terreni, sia tematiche come la pesca, la lavorazione degli alimenti e i prodotti alimentari lavorati (pane, formaggio, affettati ecc.). Fattori dai quali non si può prescindere se si vuole promuovere la produttività, la sostenibilità e la resilienza della biodiversità» ha aggiunto Messa.

Organizzata all’interno della Convenzione Onu sulla biodiversità, la Conferenza delle parti ha adottato la Dichiarazione di Kunming, che impegna gli aderenti a elaborare, adottare e implementare un efficace piano strategico globale post-2020 capace di avviare un ripristino della biodiversità entro il 2030. «Noi continuiamo a lavorare su una strategia globale per la biodiversità, ma questo è un primo passo importante» ha proseguito Messa. «Tra i presupposti di un intervento efficace, in prospettiva, la Dichiarazione prescrive una partecipazione concreta delle popolazioni indigene e delle comunità locali, e alcuni Paesi dell’Unione europea si sono impegnati a incrementare i fondi stanziati per la tutela della biodiversità. Slow Food sta seguendo molto da vicino l’implementazione della Dichiarazione per garantire che le voci delle comunità indigene e locali trovino ascolto».

Da oltre vent’anni Slow Food lavora sul tema della biodiversità sottesa alla produzione agricola e alimentare: specie e varietà vegetali, razze animali, insetti utili, microorganismi, ecosistemi, saperi e culture. «Oggi più che mai, se vogliamo garantire a tutti un cibo buono, pulito e giusto, è necessario ripartire dalla biodiversità e rovesciare un modello di produzione che continua a provocare disastri ambientali e sociali, minando le stesse basi della sicurezza alimentare, sia per le generazioni viventi che per quelle a venire» ha osservato Edie Mukiibi, vicepresidente di Slow Food. «Per noi biodiversità significa suolo, cibo, tradizioni, culture: tutelare queste risorse è anche un modo per lottare contro il cambiamento climatico, la malnutrizione, le pandemie e le crisi economiche»

Per maggiori informazioni, rimandiamo al documento di posizione Slow Food Se la biodiversità vive, vive il pianeta, che individua le grandi sfide planetarie del futuro e prospetta soluzioni concrete, a partire dall’adozione di pratiche agroecologiche.

Sabato 16 ottobre, il giorno dopo la chiusura dei lavori della Convenzione Onu sulla biodiversità, si celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione, seguita a distanza di qualche settimana dalla COP26. Sono tappe rilevanti nel dibattito che stiamo promuovendo per fare fronte alle diverse crisi in corso e, più in generale, nel nostro impegno in vista di un futuro migliore per tutti. Slow Food coglierà l’occasione per festeggiare la Giornata mondiale dell’alimentazione, il cui tema, quest’anno, è Le nostre azioni sono il nostro futuro. Uno slogan che, doverosamente, pone l’accento sul nesso tra il nostro cibo e il nostro pianeta, oltre che sulla necessità di tutelare l’uno e l’altro, come è stato ricordato anche nel quadro dei lavori della Convenzione Onu.

«Come noi di Slow Food non ci stanchiamo mai di sottolineare, il cibo è inseparabile da molti altri aspetti dell’esistenza, come la cultura, la politica, l’agricoltura e l’ambiente. Le nostre scelte in campo alimentare ci consentono di incidere tutti insieme sul modo in cui il cibo viene coltivato, prodotto e distribuito, e quindi di contribuire a cambiare il mondo. E noi popolazioni indigene lo stiamo dimostrando: stiamo proteggendo la biodiversità del pianeta vivendo in armonia con Madre natura e producendo il cibo che consumiamo secondo i metodi dei nostri antenati». A dirlo è Dalí Nolasco Cruz, del consiglio di indirizzo di Indigenous Terra Madre. Il 17 ottobre la rete Slow Food delle popolazioni indigene organizzerà un evento a Quito (in Ecuador) per dare il giusto risalto a un tema estremamente delicato: la migrazione di massa in corso nella parte meridionale del Paese, dovuta alla mancanza di opportunità economiche nelle aree rurali. I partecipanti si incontreranno per promuovere le tradizioni gastronomiche locali e cercare di individuare misure utili a sostenere le donne e creare opportunità nelle campagne. “La mancanza di opportunità, di tutele e di rispetto per i diritti umani e per quelli delle nostre popolazioni indigene (compreso il diritto alla terra) sta mettendo a repentaglio i nostri modi di vita, costringendo molti di noi a emigrare» ha aggiunto Dalí.

In concomitanza con la Giornata mondiale dell’alimentazione, l’associazione Slow Food Turtle Island di Slow Food USA parteciperà all’organizzazione del webinar Co-Producers Unite! (Coproduttori, unitevi!) con l’appoggio del programma American Indian Foods (“Cibi nativi americani”) del Consiglio intertribale per l’agricoltura e il patrocinio della FAO Nord America. L’evento metterà in comunicazione tra loro capi indigeni del Canada, degli Stati Uniti e del Messico, oltre che i produttori indigeni federati dal programma American Indian Foods. Gli uni e gli altri, affiancati da Yon Fernández de Larrinoa, responsabile dell’unità FAO Popolazioni Indigene, prepareranno dei piatti tradizionali mettendo in comune le proprie prospettive sul da farsi, celebrando l’importante contributo dei capi indigeni, dei produttori, delle comunità e dei leader di tutto il Nord America e mettendo a fuoco le priorità condivise da tutte le persone che lottano per promuovere cucine, attività economiche, modi di produzione e opportunità di formazione in linea con le loro culture di origine, per continuare a rafforzare i sistemi alimentari delle popolazioni autoctone su scala regionale e internazionale.

Per iscriversi al webinar:
https://fao.zoom.us/webinar/register/WN_JY9XQIoBSWe1J0WG3M1Kqg 

Comacchio, il turismo continua a crescere

 

Comacchio, nei primi otto mesi dell’anno, registra il miglior dato fra le 8 località turistiche più importanti della costa dell’Emilia Romagna. Confermati i risultati positivi della stagione estiva
Anche in agosto i dati statistici resi pubblici dalla Regione confermano il trend positivo del turismo nella città lagunare. Con un incremento dei turisti italiani dell’8,4% rispetto al 2019, anno precovid, Comacchio, nei primi otto mesi dell’anno, registra il miglior dato fra le 8 località turistiche più importanti della costa dell’Emilia Romagna ossia Rimini, Riccione, Cervia, Cesenatico, Ravenna, Cattolica e Bellaria – Igea Marina. Il dato complessivo del 2021 (italiani+stranieri) porta a ridurre al 10,9 % la flessione rispetto allo stesso periodo del 2019, con un +8,1% dei turisti italiani e un – 40,3% di quelli stranieri. Il risultato della città lagunare è seguito da quello di Cervia, con un -17,5%, di Cesenatico con un – 20,6% e Riccione -20,7.

In netta  ripresa i flussi dall’estero che in agosto, rispetto al 2019, si attestano ad un – 17,9%.Anche i dati del mercato tedesco, che rappresenta quasi il 50% di quello straniero,  evidenziano un’inversione di tendenza particolarmente significativa con una flessione annua contenuta al 26,8%. Incoraggiante è il dato complessivo delle presenze turistiche italiane ed estere del mese di agosto, che fa finalmente registrare un incoraggiante segno positivo pari al 1,6%.

“Con i dati di agosto – afferma l’assessore al turismo Emanuele Mari – Comacchio si conferma la località che meglio ha saputo tenere nel periodo pandemico. La serietà e la professionalità con la quali il sistema turistico locale, nel suo complesso, ha affrontato questa difficile congiuntura, alla fine hanno pagato. Così come fondamentale è apparsa la strategia promozionale, caratterizzata da azioni continue ed incisive, sia sul mercato domestico che su quello internazionale. Per tutta l’estate sono stati organizzati educational tour sul territorio rivolti alla stampa, a travel blogger ed influencer di settore ed è gia partito il piano promozionale per la stagione 2022. Per quanto riguarda gli eventi, archiviata con successo la Sagra dell’Anguilla, il prossimo appuntamento è l’atteso ritorno, il 30 e 31 ottobre, della festa di Halloween. Una due giorni che ci proietterà verso Natale e Capodanno, con un programma che sarà caratterizzato da molte novità, sempre ovviamente all’insegna del pieno rispetto delle norme di sicurezza sanitaria.”

Tresigallo, “Autunno da sfogliare” ed. 2021
Le biblioteche incontrano gli scrittori

“Autunno da sfogliare 2021” Riparte la rassegna dedicata agli incontri con gli scrittori nelle biblioteche di Tresigallo e Formignana, ospiti quest’anno non solo scrittori di romanzi ma anche autori di saggi sul benessere, sul turismo industriale e sull’infanzia.
Primo appuntamento venerdì 22 ottobre ore 18,00 alla Casa della Cultura di Tresigallo con Roberto Manfredini.
Roberto Manfredini è professore ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Ferrara e direttore dell’unità operativa complessa di Clinica Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Anna di Ferrara, è uno dei massimi esperti italiani di cronobiologia.
Il libro che presenta:  “Un tempo per ogni cosa. Vivere in sintonia con il proprio orologio biologico”, Piemme 2019. Dialoga con l’autore Anita Arlotti, bibliotecaria e responsabile della Casa della Cultura.

Durante l’incontro sarà possibile acquistare l’opera dello scrittore.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti,  obbligatori green pass e mascherina

TEATRO. Quel che le parole non dicono:
Paradiso XXXIII di Elio Germano al Comunale di Ferrara

Solo un attore come Elio Germano, protagonista di film concreti, attuali e travolgenti come “Romanzo criminale”, “Suburra”, “Mio fratello è figlio unico” poteva avere il coraggio di mettere in scena il più ostico dei testi letterari andandosi a cercarne la parte più difficile, aerea, mistica e attenendosi al linguaggio originale, poetico e arcaico da studi di lettere antiche.

Elio Germano in una scena di “Paradiso XXXIII” (foto Zani-Casadio)

Raccontare l’indicibile, mostrare l’inimmaginabile: è questo che uno dei giovani attori italiani più amati e credibili fa trasformando in spettacolo l’ultimo canto del Paradiso di Dante, il trentatreesimo, in scena ieri sera (venerdì 15 ottobre), stasera (sabato 16 ottobre, ore 20.30) e domani (domenica 17 ottobre, ore 16) al Teatro Comunale di Ferrara. Le terzine che concludono la Divina Commedia dantesca sono sceneggiatura della messa in scena di “Paradiso XXXIII” affidata all’interpretazione e alla drammaturgia di Germano insieme alla parte sonora appositamente pensata ed eseguita dal vivo da Teho Teardo con strumenti di vario tipo e svariate epoche e con una scenografia di luci strobiscopiche che incanalano l’ultima ed empirea tappa dantesca in suggestioni visive che evocano le trame delle incisioni di Gustavo Doré, le vibrazioni sonore, i palpito di un’ecografia neonatale, i videogiochi, l’iconografia sacra e l’attualità metropolitana.

Paradiso 33 al Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

Tante scene dantesche sono entrate nell’immaginario collettivo grazie alla capacità descrittiva così potente dell’Inferno: l’attrazione travolgente di Paolo e Francesca che ancora ci fa dire che un certo posto o lettura o incontro è stato “galeotto” come quel libro che aveva fatto stare così vicini i due giovani, fino a lasciarli sopraffatti dalla passione (e condannati a un’incessante fusione); il concetto di bolgia infernale che evochiamo davanti a situazioni di caotici assembramenti; la figura del traghettatore Caronte come trasportatore di anime in pena.

Paolo e Francesca tratteggiati da Manfredo Manfredini, artista in mostra in Municipio a Ferrara (foto ML)

Anche il Purgatorio dantesco ha lasciato in eredità immagini potenti: la figura angelicata di Beatrice così come il riferimento forte e dannato a “Sodoma e Gomorra” che viene fatto dalle schiere dei lussuriosi e che ancora echeggia in commenti attuali, titoli e persino nelle più recenti serie tv.

Teho Teardo ed Elio Germano in una scena di “Paradiso XXXIII” (foto ©Zani-Casadio)

Diverso, però, è l’immaginario legato al Paradiso dantesco. Lontane anni luce dalle citazioni comiche delle pubblicità ambientate sopra le nuvole, le rappresentazioni presenti nella terza delle tre Cantiche che compongono la Divina Commedia sono eteree, complesse e cerebrali. In Paradiso, la luce prevale e inonda figure e sensazioni sovraesponendole fino a rendere i loro contorni indefiniti, le sagome impercettibili, i tratti vaghi. L’effetto è quello che avviene, appunto, nelle immagini fotografiche inondate da eccessiva luminosità o al nostro sguardo dopo che si è posato sul sole o su una fonte di luce forte, che definiamo infatti accecante.

Proprio questa è la sfida dello spettacolo “Paradiso XXXIII”: mostrare l’invisibile, trasmettere non storie ma pensieri spiritual-filosofici, fare sentire l’ineffabilità, la carica emotiva e la forza poetica della visione paradisiaca.

Elio Germano interprete di Paradiso XXXIII (foto ©Zani-Casadio)

Poche ore prima che al Teatro Comunale di Ferrara andasse in scena lo spettacolo, nel pomeriggio di venerdì 15 ottobre in Biblioteca Ariostea lo stesso tema della narrazione paradisiaca in Dante lo ha affrontato Gianni Venturi, già docente di Letteratura italiana all’Università di Firenze nonché redattore di tanti interventi sagaci e brillanti sulle pagine di questo quotidiano online “Ferraraitalia”. Secondo Venturi nel terzo libro della Commedia “il supremo paradosso della ricerca dantesca è quello affidato a una memoria che per salti, barlumi, silenzi, si erge a raccontare l’indicibile e, quindi, a vederlo”. Venturi dice: “Figurare il Paradiso significa prendere atto della impotenza dell’impresa che tuttavia va affrontata attraverso un racconto metaforico che, mentre si rende conto dell’impotenza della parola poetica, si rinsalda proprio nella denuncia di questa impossibilità che la memoria affida allo strumento umbratile della poesia”.

La messa in scena dell’opera teatrale dedicata al 33.o canto del Paradiso (foto ©Zani-Casadio)

Elio Germano e Teho Teardo quest’impresa l’hanno compiuta, riuscendo a trasformare la poesia in uno spettacolo di prosa e di intrattenimento visivo-sensoriale. E dalla sala ovattata di corso Martiri della Libertà, a Ferrara, il pubblico è uscito sentendosi stordito e un po’ trasfigurato, alla maniera di quei personaggi che l’autore italiano più universalmente conosciuto ha tratteggiato settecento anni fa sulle pagine della sua “Comedia”.

PRESTO DI MATTINA
Francesco d’Assisi, l’uomo del mondo futuro

Francesco d’Assisi: l’uomo che veniva dal futuro, perché come tutti i mistici aveva attraversato la frontiera dell’alterità, transitando dall’io al tu, e da questo al noi, e dal noi al tutti: una fraternità universale.

Francesco «uomo del mondo futuro», così lo chiamavano i suoi contemporanei, perché varcando quella soglia ebbe parte al mistero di Dio e a quello dell’umanità, incontrando nel primo la grazia di un paternità e nell’altro, in ogni uomo e donna, in ogni più intima fibra del creato, il dono di una fratellanza-sorellanza globale, anzi cosmica, così intima e mistica da chiamare fratelli e sorelle, il sole, l’acqua, la luna e le stelle, “vento et aere, nubilo et sereno”, un lupo e perfino la morte.

Fratello universale” è stato chiamato un altro mistico di vita apostolica: padre Charles de Foucauld (1858-1916) [Qui]. Fu l’uomo silenzioso del Sahara, uomo di adorazione e di preghiera, che si è fatto “fratello universale”, nell’accoglienza di tutte le diversità, attraversando le frontiere esistenziali, etniche religiose. Si proponeva di «gridare il Vangelo sui tetti con tutta la mia vita»; aggiungendo di voler «abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani e ebrei e idolatri a guardarmi come loro fratello – il fratello universale».

La persistenza a tutt’oggi del fatto mistico ‒ che porta a sperimentare il mistero dell’Altro celato nell’umanità, quale dote di un patrimonio spirituale multiforme ed universale tanto dell’occidente quanto dell’oriente ‒ mi ha fatto ricordare ciò che scriveva Karl Rahner [Qui] nel 1966 a proposito del futuro del cristianesimo.

Questo gesuita teologo già preconizzava che il cristiano a venire non potrà che essere un mistico, uno che ha fatto l’esperienza di Gesù di Nazareth, crocifisso e risorto, nelle concrete realtà del quotidiano, oppure non sarà affatto un uomo religioso (Cfr.: Nuovi saggi II. Saggi di spiritualità, Roma 1968, 24-25).

Nel suo ultimo saggio l’amico Massimo Faggioli [Qui] scrive di papa Francesco: «Lo sguardo di Francesco sul mondo interconnesso di oggi non è un discorso per una cristianità comunitaria nostalgica della condizione premoderna, ma è consapevole delle sfide e delle opportunità per la fraternità e la solidarietà:

“Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio.

In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. (Evangelii Gaudium, 87)” Questa enfasi sulle periferie significa anche una ridefinizione dei confini e delle frontiere. Il confine è la linea lungo la quale due confini si toccano (in latino cum-finis, “che comprende la fine”). Il confine si distingue per l’unione, e stabilisce così una connessione.

Una volta determinato il confine, si stabilisce un contatto. Il confine non è mai solo limes (frontiera rigida) ma sempre anche limen (soglia). La liminalità del pontificato di Francesco sta nella sua reinterpretazione dei confini in quest’epoca di nuovi muri. Nessun confine può pretendere quindi di escludere “l’altro”, poiché il confine per definizione implica l’“altro”. Il confine, limitando, fa riferimento ad altro.

Qui troviamo il criterio per sfuggire al confronto manicheo che rappresenta una tentazione per la chiesa oggi. L’apertura e il rifiuto dell’apertura definiscono un rapporto che deve essere costantemente rinegoziato e riconquistato più volte… Nella tensione tra diversi poli e diverse forze di trazione, Francesco bilancia la dimensione istituzionale e spaziale della chiesa con una dimensione mistica e transfrontaliera.

Francesco continua sulla traiettoria del Vaticano II, che ha avviato il processo di dissociazione della cattolicità dalla sua comprensione geografica e geopolitica occidentale – un movimento verso il superamento dell’idea tridentina di cattolicità come spazio giuridico omogeneo» (Francesco, Papa di frontiera. Soglia di una cattolicità globale, Roma 2021, 89).

Questa prospettiva è inscritta nella stessa biografia di papa Bergoglio. Emigrato in Argentina, ha sperimentato più da vicino il trauma doloroso dei rifugiati, ed ha conosciuto la complessità e i problemi derivanti dal tentativo di conservare la propria identità declinandola però con le differenze dei luoghi in cui, da migranti, si è giunti.

Di qui un diverso sguardo anche sul modo di concepire l’identità religiosa, l’essere cristiani e cattolici nella complessità di un mondo globalizzato e insieme segnato da molteplici divisioni, muri geografici ed esistenziali che fanno resistenza alla creazione di spazi nuovi per una convivenza nella pluralità diversificata (Cf.: ivi, 84).

Francesco: «Vir alterius saeculi», di un mondo altro, “uomo del mondo futuro”, così lo chiama Tommaso da Celano [Qui] il suo primo biografo. Narra Tommaso che egli «passava per città e castelli annunciando il Regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito… Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo» (FF382-383).

L’espressione ritorna altre volte nelle Fonti francescane; alterius saeculi può essere compreso sia come un ressourcement, un ritorno alle fonti del vangelo, a Cristo stesso che ha rivelato l’uomo secondo Dio, ma anche come apertura in avanti, verso il Cristo veniente dal futuro di Dio. Così Francesco è divenuto l’uomo che ha anticipato nel ‘già’ del suo tempo il ‘non ancora’ degli ultimi tempi, l’umanità nuova e la nuova creazione in Cristo.

Agli occhi della gente ‒ racconta il Celano ‒ «la presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via della salvezza… Splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre; così in breve l’aspetto dell’intera regione si cambiò e, perdendo il suo orrore, divenne più ridente. È finita la lunga siccità, e nel campo già squallido cresce rigogliosa la messe. Anche la vigna incolta comincia a coprirsi di fiori profumati e a maturare, per grazia del Signore, i frutti soavi di bontà e di bene» (Ivi, 383-384).

Il riconoscimento di Francesco come novus homo si specificherà ulteriormente in chiave cristologica nell’espressione che indicava Francesco come alter Christus. Fu questo che avvertirono più o meno chiaramente i suoi contemporanei e anche quelli che verranno dopo di lui.

Lo storico Giovanni Miccoli sottolinea che tale consapevolezza della gente fu anche di Francesco stesso, quella di vivere un’esperienza singolare e nuova anche per la vita ecclesiale di allora: «La volontà e la consapevolezza di Francesco sono di vivere e proporre un’esperienza religiosa assolutamente originale nel contesto della tradizione religiosa ed ecclesiastica contemporanea.

Ma non si tratta solo di volontà e consapevolezza soggettive. Francesco – mi pare lo si possa dire – vive effettivamente un’esperienza religiosa che,vive effettivamente un’esperienza religiosa che per ciò che riguarda il suo nucleo profondo ed essenziale, non ha collegamenti e riferimenti nella tradizione ecclesiastica del suo tempo» (Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Einaudi, Torino 1991, 40).

Ancora dalle Fonti: «È impossibile comprendere umanamente la sua commozione, quando proferiva il tuo Nome, o Dio! Allora, travolto dalla gioia e traboccante di castissima allegrezza, sembrava veramente un uomo nuovo e di altro mondo.  A chi lo vedeva, sembrava un uomo dell’altro mondo: uno che, la mente e il volto sempre rivolti al cielo, si sforzava di attirare tutti verso l’alto» (FF 82: 1072; 1463).

Ma come conciliare questa via mistica, la vita contemplativa, sul monte di notte come Gesù orante, con la via apostolica e con la vita pastorale tra la gente? La questione era spesso ricorrente in Francesco prima e dopo l’approvazione della regola e discussa con i suoi frati della prima ora; ma si ripresentò anche dopo nell’ordine francescano, sotto la guida di san Buonaventura (come scegliere tra la vita apostolica o la vita contemplativa) al quale si pose un dilemma molto vivo anche oggi nei nostri cammini di fede.

Bonaventura da Bagnoregio [Qui] ribadì e rilanciò la soluzione trovata da Francesco. In lui, infatti, prevalse quella che fu la chiave di interpretazione di tutta la sua vita: l’esempio di Cristo, il quale dopo l’intimità orante con il Padre, al mattino discendeva dal monte nella pianura; la via allora era imitare lui anche in questo: “Cristo lasciò l’orazione per cercare gli uomini”, ma così facendo, stando tra i poveri, i malati si ritrovò ancora come presso il Padre perché scoprì che anche il Padre suo era sceso dal monte e lo aveva preceduto tra quella gente perché lui, il Figlio amato, lo rivelasse Padre nostro.

Con un racconto Buonaventura esplicita il percorso attraverso il quale Francesco giunse a tale interpretazione:

«A questo proposito, si trovò una volta fortemente angosciato da un dubbio, che per molti giorni espose ai frati suoi familiari, quando tornava dall’orazione, perché l’aiutassero a scioglierlo. “Fratelli domandava ‒ che cosa decidete? Che cosa vi sembra giusto? che io mi dia tutto all’orazione o che vada attorno a predicare?

Io, piccolino e semplice, inesperto nel parlare, ho ricevuto la grazia dell’orazione più che quella della predicazione. Nell’orazione, inoltre, o si acquistano o si accumulano le grazie; nella predicazione, invece, si distribuiscono i doni ricevuti dal cielo. Nell’orazione purifichiamo i nostri sentimenti e ci uniamo con l’unico, vero e sommo Bene e rinvigoriamo la virtù nella predicazione, invece, lo spirito si impolvera e si distrae in tante direzioni e la disciplina si rallenta.

Finalmente, nella orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli; nella predicazione, invece, dobbiamo scendere spesso verso gli uomini e, vivendo da uomini in mezzo agli uomini, pensare, vedere, dire e ascoltare al modo umano.

Però, a favore della predicazione, c’è una cosa, e sembra che da sola abbia, davanti a Dio, un peso maggiore di tutte le altre, ed è che l’Unigenito di Dio, sapienza infinita, per la salvezza delle anime è disceso dal seno del Padre, ha rinnovato il mondo col suo esempio, parlando agli uomini la Parola di salvezza e ha dato il suo sangue come prezzo per riscattarli, lavacro per purificarli, bevanda per fortificarli, nulla assolutamente riservando per se stesso, ma tutto dispensando generosamente per la nostra salvezza. Ora noi dobbiamo fare tutto, secondo il modello che vediamo risplendere in Lui, come su un monte eccelso.

Per molti giorni ruminò discorsi di questo genere con i frati; ma non riusciva ad intuire con sicurezza la strada da scegliere, quella veramente più gradita a Cristo… Incaricò, dunque, due frati di andare da frate Silvestro, a dirgli che cercasse di ottenere la risposta di Dio sulla tormentosa questione e che gliela facesse sapere.

Questa stessa missione affidò alla santa vergine Chiara: indagare la volontà di Dio su questo punto, sia pregando lei stessa con le altre sorelle. E furono meravigliosamente d’accordo nella risposta – poiché l’aveva rivelata lo Spirito Santo – il venerabile sacerdote e la vergine consacrata a Dio: il volere divino era che Francesco si facesse araldo di Cristo ed uscisse a predicare.

Ritornarono i frati, indicando qual era la volontà di Dio, secondo quanto avevano saputo; ed egli subito si alzò, si cinse le vesti, e, senza frapporre il minimo indugio, si mise in viaggio. Andava con tanto fervore ad eseguire il comando divino, correva tanto veloce, come se la mano del Signore, scendendo su di lui, lo avesse ricolmato di nuove energie» (FF 204).

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