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Giorno: 20 Ottobre 2021

L’Ultimo Rosso, la festa della poesia a Ferrara

 

Alla Rotonda Foschini due poeti leggono a chi passa le loro poesie e quelle degli autori da loro amati. Hanno un nastrino rosso legato al polso. Un nastro rosso come filo conduttore della poesia popolare e libera che venerdì scorso, 15 ottobre, ha collegato tra loro altri punti della città.

In Piazzetta Savonarola oltre al nastrino rosso chi legge porta anche un cappello dello stesso colore; accanto alla Biblioteca Bassani e in Piazza Trento Trieste si può vedere una sciarpa rossa, una borsetta rossa in Via Savonarola.

Qui, sopra la postazione dei due poeti, che hanno aperto il loro leggio e avviato un piccolo amplificatore della voce si può vedere una signora affacciata che sorride, si gira verso l’interno della casa per dire al figlio di venire a sentire. Poi guarda in giù e dice che è orgogliosa di avere i poeti sotto casa.

Ha visto subito crescere la propria pianta questo seme lasciato da Ultimo Rosso [Qui], il primo Festival di poesia itinerante organizzato da ferraraitalia in questo 2021 del risveglio dal sonno pandemico.

Per una poesia libera di muoversi nella città, che interrompe il quotidiano e spiazza i passanti e li chiama ad ascoltare e a interagire. Una poesia senza palchi e senza etichette, che si propone come lingua intima e universale.

Così è stata concepita e proposta dal giornale: “Ultimo Rosso è volutamente eccentrico, può richiamare la passione, la rivoluzione, la distanza dal convenzionale, la sorpresa, il mattone rosso di Ferrara”. E così è diventata evento politico.

Altri semi sono stati lasciati in Piazzetta Carbone, all’ingresso del Parco Massari, in Via Krasnodar, davanti alle librerie del centro e così via: altre coppie di poeti tra le 18 e le 19 del fresco crepuscolo di ottobre hanno letto un testo iniziale comune a tutti, un testo di Wislawa Szymborska [Qui] che nei versi finali pone la domanda:

“La poesia
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so,
non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.”

Al corrimano dei pensieri e delle emozioni pensate si sono aggrappati i poeti nelle strade e nelle piazze, leggendo i testi amati di autori antichi e nuovi, famosi e meno famosi. Da Saffo a Giorgio Caproni, da Eugenio Montale a Paolo Agrati, da Alda Merini a Massimo Scrignoli, solo per citarne alcuni.

I poeti hanno poi letto i propri testi, testi d’amore e di bellezza, di lettura della propria interiorità nel rapporto col mondo, di impegno sociale. La poesia non si sottrare a leggere il mondo, anzi è un tentativo di decifrarne i gangli vitali; la poesia arriva nella stanza dei bottoni della lingua e svela gli abusi della comunicazione quotidiana sulla forma e sul senso delle parole.

La poesia può ripristinare la mappa dei valori che fondano la polis, la comunità di cui siamo parte. E’ poesia civile. Forse questo è un primo tentativo di risposta alla domanda di Szymborska, una risposta di metodo su cosa fa la poesia, su quali traguardi può toccare. La poesia fa sintesi, la sintesi sempre provvisoria sulla vita pensata che abbiamo tra le mani.

Questo hanno fatto gli adolescenti, sabato mattina. Dalle 10 alle 12 si è svolto il reading di Ultimo Rosso nel giardino della Biblioteca Ariostea, con la partecipazione dei 20 poeti, ferraresi e non, intervenuti venerdì e con altri che si sono aggiunti ad ascoltare le poesie e a leggerne liberamente di proprie.

Tra questi un gruppo numeroso di studenti dell’Istituto Einaudi, che hanno letto i loro testi ispirati a Possibilità della Szymborska; ognuno di loro ha scelto di mettere in lista come oggetti del verbo Preferisco i propri gusti, le passioni, la leggerezza dei sedici anni accanto alle cicatrici interiori che qualcuno di loro porta già come uno stigma.

La leggerezza: “Preferisco stare con gli amici”, oppure “Preferisco divertirmi” e “Preferisco il colore blu”. Lo stigma: “Preferisco soffrire piuttosto che essere vuoto”, “Preferisco che la parola cancro indichi solo un segno zodiacale”.

Quando è così la poesia vola. Vola in basso a sondare le profondità, vola intorno in ricognizione sul mosaico della realtà e poi prende slancio e va in alto, dove tutti possono vedere e vedersi.

Si è percepito con chiarezza il senso di condivisione, proprio nella formula libera data alla lettura: un avvicendarsi di voci poetiche varie e diverse, in un flusso libero e liberatorio che ha permesso di conoscersi e di confrontarsi. Di mettere in comune. Di comunicare.

Ancora un tentativo di risposta che afferisce alla funzione della poesia – la poesia unisce – non a cosa essa esattamente sia. Certo, però, che se consideriamo la coesione a cui ha portato noi di Ultimo Rosso e la voglia che ci ha lasciato di continuare con nuove edizioni del festival, di leggerla per tutti nella città, di spargere denunce, domande e dubbi, di seminare scintille di sincerità e di bellezza, vuole dire che ci stiamo avvicinando a perimetrarne il senso.

La bella poesia che Cristiano Mazzoni ha composto dopo le due giornate del Festival ne esprime così il valore e il significato:

“Poesia sulle strade,
sui marciapiedi sgarrupati,
di fronte al grande
accusatore,
contro i muri di mattoni
granata.
Parole sospinte dal vento,
in un angolo del convento,
sospiri e groppi in gola,
acqua asciutta ai lati degli
occhi.
Poetesse innamorate
dell’amore,
i ragazzi ci urlano in faccia il
loro disagio,
poesia civile, voglia di rivolta,
il rosso e il nero del
ferroviere.
Con voce di tuono,
con un sussurro d’angoscia
la rivoluzione non si perde e
non si vince,
la si combatte.
Forse un seme è stato
gettato,
forse un soffio è cominciato,
la città delle cento
meraviglie
racconta i sogni da fogli
bagnati.
Ci sarà un perché,
ci sarà un domani,
ci sarà un futuro
nel nostro passato.”

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari della rubrica di Roberta Barbieri clicca [Qui]

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Vulgar display of Powell

È finalmente iniziata una nuova settimana, una settimana che – si spera – fornirà maggiore varietà alla nostra fame di notizie.
Qualcosa, forse, si muove già.
Come ogni buon sincero democratico però, ammetto di essere molto rattristato dalla scomparsa del mitico Colin Powell.
Colin Powell è un uomo che ha segnato la mia infanzia e la mia adolescenza e (purtroppo) pure quella di tanti altri.
Ad ogni modo: è stato un grande sognatore.
La sua idea utopistica di democrazia da asporto lo lancia dritto dritto nell’Olimpo dei più grandi visionari di sempre.
La sua performance con le fialette poi lo immortala per sempre come un uomo in grado di dare alla realtà la propria forma e immagine, una specie di mutazione psichedelica di quella vecchia réclame: scolpisci i tuoi capelli come vuoi tu.
Colin Powell però non aveva tempo di pensare ai capelli, era troppo occupato a cambiare il mondo.
Possiamo certamente dire che il sig. Powell non ha sprecato il proprio tempo: lo abbiamo visto anche quest’estate in Afghanistan.
La democrazia in fondo è così, va e viene, funziona e non funziona, import/export nei secoli dei secoli e per l’eternità.
Eternità in cui anche Colin Powell resterà per sempre ammantato in un caldissimo abbraccio, caldo e aureo come la sabbia dell’Iraq che probabilmente era all’interno di quella fialetta quella volta.
Buona settimana a tutti.

Eyes of a dreamer (Charles Manson, 1970)