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Giorno: 6 Gennaio 2022

Perché cooperare con i russi farebbe bene agli europei

 

 

Alcuni giorni fa Claudio Pisapia, su questo giornale [Vedi qui]ha sollevato una questione che molti intellettuali e la stampa mainstream evitano di affrontare: per quale motivo l’Europa deve avere come nemica la Russia, quando in realtà una collaborazione ci farebbe più autonomi e potenti rispetto ai veri due leader mondiali che contrastano il nostro sviluppo e che sono Usa e Cina?
Il motivo è che facendo parte della Nato, i paesi europei e l’Europa devono seguire gli interessi geopolitici dell’alleato americano che confliggono con Russia e Cina.

Ma se la Cina è per gli europei una vera minaccia (in termini tecnologici e di competizione economica), la Russia non lo è e neppure dal punto di vista militare. La Russia non ha mai invaso alcun paese (se non la Cecoslovacchia e Ungheria ai tempi del comunismo), ma non ha una alcuna tradizione in tal senso ed è sempre stata attaccata proprio dagli Europei. In ogni caso, non ha alcun interesse oggi.
L’annessione della Crimea è avvenuta perché la penisola è da sempre russa, non a caso i cittadini interpellati con un referendum hanno votato per il 90% per stare in Russia. E le recenti manovre sul Donbass sono dovute alla decisione Usa/Nato di armare l’area immediatamente al suo confine.

La Russia ha enormi interessi commerciali con l’Europa e viceversa, basti pensare al gasdotto Stream 2 che è stato realizzato per fornire di gas direttamente la Germania e l’Europa, senza passare per le forche caudine dell’Ucraina che ruba il gas russo.
Non a caso Putin ha dichiarato che sarebbe possibile già oggi abbassare il prezzo del gas all’Europa se solo verrà aperto Stream 2,  e non ha alcuna intenzione di strangolare l’Ucraina, ma solo di farle pagare il giusto prezzo per il suo gas.

Ma c’è una ragione più di fondo: i Russi hanno da sempre un’anima profonda, anche spirituale, che darebbe un contributo enorme al pensiero occidentale europeo e a cittadini sempre più materialisti.

E’ vero che Putin è un dittatore, che la democrazia in Russia è debole, ma è questo un buon motivo per negare una collaborazione che come Europa diamo a pieno titolo a paesi come Polonia o Ungheria, addirittura integrati nella UE? Non si è sempre detto (anche coi paesi dell’Est Europa, che pure tanti problemi ci danno) che la cooperazione è la via migliore per diventare amici?

Infine c’è una ragione geopolitica: l’alleanza con la Russia rafforzerebbe enormemente la capacità contrattuale verso la Cina e anche verso gli Usa…se solo l’Europa diventasse autonoma dagli Usa.
Ovviamente ciò non significa rompere gli antichi legami di amicizia con gli americani, ma ben sapendo che gli interessi degli Usa non coincidono quasi mai con quelli dell’Europa e che siamo spesso ‘usati’ dagli americani per loro strategie geo-politiche, dove a pagarne le conseguenze sono i cittadini europei (e a volte russi).

E’ soprattutto una strategia americana quella di evitare che il ‘polo europeo’ si rafforzi nel mondo: per questo che non si vuole una alleanza con la Russia.

In questi ultimi 20 anni è successo che – diversamente dai primi 30 anni del Dopoguerra – le condizioni dell’80% degli europei sono peggiorate, cosa mai successa negli ultimi 200 anni. Ciò è tanto più grave in quanto è avvenuto in presenza di un aumento di ricchezza e di saccheggio del pianeta senza precedenti in termini di impronta ecologica.

In sostanza, nonostante un ulteriore gigantesco livello di sfruttamento di risorse del pianeta, l’aumento di ricchezza è andato a circa 50 milionari al mondo (2/3 anglosassoni) e ad altri 100 milioni abbienti, mentre 400 milioni di europei e 200 milioni di americani sono rimasti a bocca asciutta in termini di redditi e salari.

Non parliamo poi della riduzione del welfare, dell’aumento a livello esponenziale delle disamenities (inquinamento, disuguaglianza, solitudine, disgregazione sociale, distruzione dei centri storici, violenze e disservizi nelle periferie). Ora con la pandemia c’é un ulteriore impoverimento, con distanziamento, solitudine, sfacelo delle comunità e un ulteriore spinta verso digitale e farmaci. Tutto questo, con gaudio magno delle borse e dei fondi speculativi finanziari che dirigono la musica’ da quando nel 1999 gli Usa hanno abolito lo Steagall Act (introdotto da Roosvelt nel 1933) che separava le banche d’affari da quelle commerciali, avviando l’intero pianeta a seguire le scelte della finanza speculativa.

Se l’Europa fosse più autonoma ci sarebbero vantaggi per l’80% degli europei, per i russi ma, paradossalmente anche per l’80% degli americani… ma non per l’establishment attuale. Questo, in fondo, è il vero grande problema.

Cover: Vladimir Putin e Ursula von der Leyen alla Conferenza sulla Libia (Wikimedia Commons)

TERZO TEMPO
L’umanizzazione degli eroi

Sulla scia dell’attivismo di alcuni influencer, un numero sempre più cospicuo di atleti e atlete sta prendendo posizione su singoli temi, indirizzando così il dibattito pubblico. È un trend, questo, che in un modo o nell’altro contraddistingue l’attualità socio-politica: non c’è battaglia o argomento di interesse generale che non passi attraverso il megafono di personaggi della musica, dello spettacolo e dello sport.

Se per l’appunto diamo un’occhiata allo sport professionistico, e in particolare alle questioni sollevate negli ultimi dodici mesi, è difficile non associare il 2021 alla progressiva normalizzazione dei problemi di salute mentale. L’elenco, infatti, è piuttosto lungo: dai ritiri della tennista Naomi Osaka e della ginnasta Simone Biles alle testimonianze di tre noti giocatori di football americano (Calvin Ridley, A.J. Brown e Lane Johnson), passando per il lavoro di sensibilizzazione svolto dal cestista Kevin Love, che dal 2018 scrive e parla apertamente dei suoi disturbi mentali. Una lista più dettagliata di storie o esperienze simili a quella di Love l’ha stilata ESPN in un articolo pubblicato a metà maggio [Qui].

Tuttavia, le prese di posizione più chiacchierate di quest’ultimo anno sono quelle delle già citate Naomi Osaka e Simone Biles: i loro ritiri da competizioni quali Roland Garros e Olimpiadi di Tokyo hanno messo a nudo un tic piuttosto comune, ossia la narrazione fin troppo eroica degli atleti e delle atlete di successo. Difatti, siamo stati abituati a descrivere i personaggi dello sport come dei performer apparentemente inscalfibili, e il solo fatto di associare il loro nome a disturbi quali ansia o depressione ci è parso una novità.

Osservandolo da più lontano, quello di Osaka e Biles è un messaggio che va al di là dello sport professionistico, e ci suggerisce di non identificare le persone con il loro lavoro, il loro talento o il loro successo. Ci può essere dell’altro oltre al bisogno di eccellere e di essere produttivi. Deve esserci dell’altro.

Celati forever (2):
Solo di tenebre posso dar lezione, la chiarezza la lascio a chi è più matto.

 

Le avventure di Guizzardi

C’era un tempo in cui ammiravo la signorina Frizzi instancabilmente come chi abbia riconosciuto i meriti di una persona e non intende poi pentirsene mai. E lei naturalmente essendo insegnante di lingue estere non mi voleva smentire di questo fatto. Per ore dunque curava il ripasso delle mie cognizioni grammaticali entrambi comodamente seduti in un giardino forse non più adesso esistente della mia città. Io potevo anche dirle enormi strafalcionerie senza che lei si prendesse di impazienza o gridasse per la grande comprensione del suo spirito.  

Né passava giorno o due che non giungessi io al luogo dove sapevo trovarla ossia giardino pubblico ma non troppo frequentato recandole tra le mani un mazzo di fiori. Vuoi primule con reseda vuoi rose con altri contorni significanti cioè rispettivamente gioventù con dolcezza e beltà con altri pregi. E lei replicava a me spesso con offerte d’edera significante amicizia quando non con mammole significanti ma per scherzo s’intende pudore di modestia.   

E poi più avanti mi trascinavo a radi passi verso luoghi che non saprei mai dire.   

Io devo cercare la signorina Frizzi.  

Gianni Celati, Le avventure di Guizzardi. Storia d’un senza famiglia, Einaudi, Torino 1972 (poi Feltrinelli, Milano 1994, pp. 9, 44, 116)

Sonetti del Badalucco  

3
Di cosa è marcia questa patria trista? Scritto ad Angri, in casa di Enrico De Vivo, dopo una discussione sul marcio dell’Italia odierna

È marcia per mancanza di vergogna.  
Qui è sempre in cattedra l’imbroglio fino,  
qui vince sempre il cavalier furbino,  
e il perdente si gratta la sua rogna.  

Qui una faccia di bronzo apre il cammino  
guidando il branco al suon d’una menzogna: 
scroscia l’applauso in piazza ed è una gogna  
che azzittisce il modesto cittadino.  

Ah, se ancora di notte lui si sogna  
la fratellanza umana, il poverino,  
dovrà aprire gli occhi sulla sua scalogna:  
muto tra furbi, tra usurai tapino.  

Che patria è questa, che vita in quintessenza?  
Mi sembra il Terzo Reich dell’insolenza.  

6
Prima lezione di tenebre

Solo di tenebre posso dar lezione,
la chiarezza la lascio a chi è più matto;  
non l’ebbi da mio padre in dotazione,  
che assai poco mi lasciò di fatto.  

Il padre affetto da un male al polmone,  
cosa lasciò in eredità a Vecchiatto?  
La pioggia che lo bagna e decompone,  
il freddo che lo gela e rende sfatto,  

le ceneri d’una vaga ambizione  
di trovare chissà dove un riscatto 
dalla mortale umana condizione,  
mentre è nella greve gora attratto.  

Ma gli lasciò poi anche la tendenza  
a viver come tutti d’incoscienza.

Gianni Celati, Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna, Feltrinelli, Milano 2010, pp. 15, 23

Cover: Gianni Celati  (su licenza Creative Commons)

Parole a capo
Maria Cristina Buoso: “Acrobata” e altre poesie

“La poesia malinconica e sentimentale è un respiro dell’anima.”
(Giacomo Leopardi)

ACROBATA

Sospeso  nell’Aria
in equilibrio
sulle nuvole dei pensieri
cammina
sul filo della vita
senza rete
e
senza paura.

 

AUTUNNO

FINESTRE       Chiuse
FOGLIE            Secche
Spazzate  dal   Vento
Schiacciate    da   Passi   FreDTolosi
PERSI
nei   Colori    Caldi
che  Avvolgono
Pensieri……………..
………………Emozioni.
Abbracci,
Allegria,
CoCCole
Scordate   sulle   Panchine
FREDDE    della    Sera.

 

BUROCRAZIA

Ingranaggi
Senza   Denti

Che   Divorano
Cibo    Precotto

Con    Scadenza
Da      Destinarsi.

 

DELATORI

Angoli
Nascosti    dentro   Sfere   di   Cristallo
Occhi
Incatenati   ad   Orecchie   Sibilline
Bocca
Risucchiata   da   Parole   Prive  di  Suoni
Gente
con  Spigoli   Arrotolati   su   Numeri
Contati……..
Persone
Distese  su   Ortica     di     Merda.

 

Maria Cristina Buoso scrive le prime cose quando era giovanissima. La poesia “Aiutami” è stata inserita nell’Antologia multimediale “Una poesia per Telethon”, a scopo benefico (2004). La poesia “Pace in Guerra” nel concorso indetto da A.L.I.A.S.  (Melbourne – Australia), ha ricevuto la Menzione D’Onore. La poesia “Bugie” (Stones of Angles) è stata inserita nel Vol. 6 – In Our Own Words: A Generation Defining Itself – Edited by Marlow Perse Weaver U.S.A. (2005). Ha vinto il terzo premio nel Concorso Letterario “Joutes Alpines” della Associantion Rencontres Italie Annecy (Francia) per la Sez. Prosa (Italia) con il racconto “Il vecchio album” (1997). Ha pubblicato nel 2017 “Anime”. Nel 2021 “Schegge di parole”, “Delitto al condominio Magnolia” e “Vernissage”. Suoi siti social: https://mcbuoso.wordpress.com/  https://mariacristinabuoso.blogspot.com/ https://www.instagram.com/mcbmipiacescrivere/

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

 

DIARIO IN PUBBLICO
I doni della Befana

In onore della Befana, già in crisi di consensi a causa di Halloween e Black Friday, ripubblichiamo un Diario in Pubblico particolarmente gustoso del professor Gianni Venturi, uscito su Ferraraitalia più di 3 anni fa. Buona lettura. E buona Befana: almeno lei, come tutti gli esseri soprannaturali, del Covid sembra infischiarsene.
P.S.
E’ passata da voi stanotte?
(Effe Emme)

La farsa ‘regalizia’ si sta per concludere. Folle assatanate, me compreso, corrono (per fortuna) a comprare, con un sorriso apparentemente dolce e comprensivo sulle labbra mentre allungano 10 cent al ‘negro’ di guardia fuori dai supermercati o ai ragazzi che forsennatamente suonano per raccattare qualche soldo. Per fortuna le librerie traboccano di acquirenti, mentre vengono scaricati a ritmo continuo copie su copie de ‘L’amica geniale’ e io, quasi di nascosto, prendo un volume dalla pila intatta di ‘Tunnel’ di Yehoshua, anzi due, per regalarlo ad amici intelligenti. Alla tv m’imbatto fortunosamente in un film bellissimo ‘L’uomo che inventò il Natale’, dove si racconta la nascita di un capolavoro ‘A Christmas Carol’ di Dickens. Mai letto. Lo trovo in libreria e comincia così la mia lettura natalizia, mentre Scrooge popola i miei giorni nella rancorosa e ingrata ‘Ferara’.

Non riuscivo, fino a oggi, a capire uno dei temi fondamentali della poetica di Bassani: conoscere Ferrara lo puoi fare standotene fuori. Purtroppo per me ci sono tornato; così Ferrara ineluttabilmente si è trasformata in ‘Ferara’. E ne ho pagato le conseguenze. D’altronde nel continuo flusso del tempo, quando cerchi di afferrarli, per capirne il senso, le cose, le persone, i problemi cambiano. Di ora in ora. E tu rimani lì col dito sulla tastiera a battere una parola, un pensiero che nel flusso della scrittura ti si cambia, diventa un fantasma coì come nella notte fosca Scrooge vede transitare nel cielo i fantasmi di tutti i Marley col carico delle loro colpe.

A questo punto come sarà il tempo dell’attesa? Chi ringraziare? Chi evitare?
Probabilmente non basterà il computo dei giorni. Perciò è ora di tirare i remi in barca; di ammettere anche se non lo vorrei che ciò che ho fatto – se l’ho fatto – per questa città dura, come scrive Malherbe, l’“espace d’un matin”:
Mais elle était du monde où les plus belles choses
Ont le pire destin,
Et rose, elle a vécu ce que vivent les roses
L’espace d’un matin.

Ma lei era di quel mondo dove le più belle cose
Hanno il peggior destino,
E rosa, lei ha vissuto quel che vivono le rose
Lo spazio d’un mattino.

E’ certo che comunque, secondo la regola democratica, ogni movimento o scelta o condivisione debba passare sotto l’implacabile legge del controllo politico. Vale ancora questo principio? L’attuale situazione italiana sembra metterlo in dubbio e fortemente. Perfino quella parte a cui sempre mi sono rivolto vacilla ed emette ‘suspiria’ strani, incomprensibili. Specie in città.
Che fare allora?
Rinunciare a un ruolo pubblico, ammettere che le tue idee servono solo se vengono accettate dal sistema? E’ così che accade per l’economia, per l’accademia, per la società, così che il nostro lavoro di maestrini dalla penna rossa deve essere in qualche modo subordinato o perlomeno approvato. Potremo meritarci in tal modo la condanna e il titolo tra il dispregiativo e l’inutile di ‘intellettuali’.
Cercherò di rallentare gli interventi pubblici, di concentrarmi solo su eventi fondamentali, di ritirarmi nella mia arca di studioso. In attesa poi che un pollice verso che arriva dall’alto dei cieli politici tenti di rendere inutile anche ciò che mi pertiene.

Così tra poco arriva la Befana:
La befana vien di notte
Con le scarpe tutte rotte
Se ne compra un altro paio
Con la penna e il calamaio

Chissà se, diventato Befanone saprò comprarmi anch’io un paio di scarpe (culturali) con la penna e il calamaio?
A ‘Ferara’ l’ardua (si fa per dire) sentenza.

Banana Yoshimoto in 10 libri
Letture per il nuovo anno

Con il nuovo anno vorrei riproporvi una scrittrice forse un po’ malinconica ma dalla penna meravigliosa che amo molto e seguo da anni. La amo perché i personaggi sono profondi, descritti quasi come nei manga da cui si prende la leggerezza, le situazioni paradossali, i dialoghi spesso veloci e disinvolti, la forza espressiva, la nostalgia, i colori, il contatto con delicati particolari della cultura e della vita giapponese.

Banana Yoshimoto, pseudonimo di Mahoko Yoshimoto, nata a Tokio nel 1964, ha scritto molto, romanzi e collezioni di scritti che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, ma mi piace farvela conoscere nei suoi 10 libri a mio avviso meglio riusciti, nel suo incantato, riservato e affascinante Giappone. Liberi poi di scoprire tutti gli altri… Buona lettura.

Kitchen, Feltrinelli, 1991, 148 p.

Il primo romanzo (scritto nel 1988 ma pubblicato in Italia nel 1991, con oltre 60 ristampe nel solo Giappone), da cui è stato tratto anche un bellissimo e ormai introvabile film, è un vero excursus sulla solitudine giovanile. Le cucine nuove e vissute che riempiono i sogni della protagonista Mikage, giovane universitaria rimasta sola al mondo dopo la morte della nonna, rappresentano il calore di una famiglia sempre tanto desiderata.

Alla scomparsa della nonna, con la quale ha vissuto dopo la morte dei genitori da bambina, Mikage si ritrova sola e deve lasciare la casa in cui abitava e riorganizzare la propria vita. Ad aiutarla arriva Yuichi Tanabe, factotum part-time del fioraio dal quale si serviva abitualmente la nonna di Mikage, molto affezionato all’anziana signora. Yuichi invita Mikage a vivere da lui, il, tempo che le serve a riprendersi. Inizia così per Mikage la convivenza con il giovane e la bellissima transgender Eriko, prima padre e poi madre del ragazzo. Il tempo passa, Mikage lascia gli studi per fare del suo amore per la cucina una professione e diventa apprendista chef. Ha cambiato casa da tempo, quando Yuichi torna nella sua vita: ora è lui ad aver bisogno per vincere la solitudine e il vuoto creatisi dopo la scomparsa di Eriko, assassinata da un ammiratore sconvolto dalla scoperta della doppia natura sessuale della donna. Da questo incontro di solitudini nasce una timida e complicata storia d’amore… La grande illuminazione del libro è che la famiglia si possa, non solo scegliere, ma inventare. Così il padre del giovane amico della protagonista può diventare o rivelarsi madre e Mikage può eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguità e calore.

Sonno profondo, Feltrinelli, 1994, 139 p.

Una raccolta di tre racconti – “Sonno profondo”, “Viaggiatori nella notte” e “Un’esperienza” – con per protagoniste ragazze (Terako, Shibami e Fumi) che vivono una vita sospesa tra il sonno e la veglia, tra la vita e la morte. Filo conduttore la notte, quell’oscurità che fa confrontare con il dolore di un lutto, la paura della solitudine, la ricerca di una luce che apra una speranza. Accomunate da tale dimensione onirica, emergono temi tipici della narrazione di Yoshimoto: l’amore, il sesso, il suicidio, la famiglia, la malinconia, il sovrannaturale e, infine, la morte percepita come elemento assolutamente necessario.

Al centro del primo intenso racconto troviamo la giovane Terako, che trascorre le giornate in uno stato apatico di sonno profondo, da cui il titolo. A svegliarla sono solamente le telefonate notturne dell’amante, sposato con una donna che a causa di un incidente stradale è ridotta a uno stato vegetativo. Impotenza, fragilità e malinconia sono i sentimenti che invadono e pervadono le pagine. Solo nel sonno immobile si placa o svanisce il dolore, la coscienza dimentica, la tristezza vola via, la pace arriva.

Nel secondo racconto, Shibami e Marie brancolano nell’oscurità e nel silenzio di notti innevate, affrontando la perdita del fratello e del fidanzato segreto. Nel freddo inverno giapponese, ricordano, piangono, soffrono fino a trovare consolazione nell’affetto reciproco. Anche nella tristezza e nella perdita, c’è sempre spazio per gli altri.

Nel terzo racconto, in una notte di tempesta, un medium mette in contatto la giovane protagonista con la sua amica scomparsa da tempo.

Temi delicati ma, alla fine, resta, comunque, forte la sensazione che c’è sempre una speranza davanti a sé, anche quando tutto sembra cristallizzarsi in un tempo sospeso.

Tsugumi, Feltrinelli, 1994, 159 p.

Si tratta del quarto romanzo di Banana Yoshimoto, scritto nel 1989 ma edito in Italia solo nel 1994. Al centro, insieme al mare, Maria, l’io narrante, una ragazza candida, dolce e semplice, che ritorna al suo paese natìo da Tokyo. Durante il soggiorno estivo nella località marittima trascorre il suo tempo nell’albergo degli zii con le sue due cugine: Tsugumi e Yoko. Tsugumi, la vera protagonista, è, invece, una ragazza particolare, di salute cagionevole, dal carattere impossibile: appare cattiva e viziata, vendicativa e poco leale ma anche terribilmente intelligente. Eppure, sotto questo solido guscio di diffidenza, legata alla convivenza forzata con una malattia che la rende fragile nel quotidiano, batte un cuore, si nasconde un animo delicato e uno spirito libero. Maria è una delle poche persone che riesce a scalfire la sua scorza e ad arrivare al suo cuore e alla sua anima, che si rivela sensibile e forte. La crescita interiore di Tsugumi, che avviene anche grazie all’amore, culmina nell’aggravamento delle sue condizioni di salute che le fa indirizzare una lettera d’addio alla cugina Maria. Pur rassegnata, Tsugumi rivela un forte attaccamento alla vita e alla famiglia, ripercorrendo ricordi fatti di passeggiate e di nottate di chiacchiere. Inaspettatamente, però, le sue condizioni di salute migliorano e può tornare alla sua tranquilla esistenza. Il miracolo dell’amore e della vita, della magia dell’estate. Scritto, come sempre, con immensa delicatezza.

H/H, Feltrinelli, 2001, 95 p.

H/H, ovvero Hard Boiled e Hard Luck, tratta di uno dei temi a più cari alla scrittrice, quello della morte, la “fatale quiete”. Nel primo racconto, Hard-boiled, una giovane ragazza passeggia da sola, senza meta, in un bosco, all’arrivo della sera. Un albergo non distante l’attende ma la paura di quel posto lontano comincia ad assalirla. Tra presenze oscure e ricordi indelebili del passato, riemerge l’immagine di una donna, Chizuru, la sua ex. Un incontro-scontro con il proprio io, con cui fare i conti. Raggiunto l’hotel, dove può rilassarsi e farsi un bagno caldo, si accorge che al passato non si sfugge e proprio lì, alla ricerca di riposo e nel mezzo della notte più profonda e cupa, presagi e fantasmi le rifaranno vivere un passato doloroso, un amore non convenzionale finito male, perché non era forse riamata, una donna che non c’è più e di cui lei sente comunque la mancanza. Quel giorno è l’anniversario della sua scomparsa, lei lo ricorda come se fosse oggi. Forse la morte non è veramente una fine, forse capiremo dai nostri errori…

L’altro racconto di H/H è Hard luck. Qui Kuni, la sorella della giovane protagonista, è in coma a causa di un’emorragia celebrale: doveva sposarsi ma un incidente al lavoro l’ha condotta in ospedale, inerte. Il suo fidanzato si è prontamente dileguato e la sorella, con tutta la famiglia, aspetta che quella attesa tra la vita e la morte finisca. Sakai, il fratello del promesso sposo di Kuni, è rimasto per la protagonista: si è innamorato di lei e anche la ragazza inizia piano piano a conoscerlo e a provare qualcosa per lui. Ma un viaggio in Italia per studio programmato chiama la giovane: i due ragazzi non possono mettersi subito insieme ma si daranno appuntamento in Italia. La vita avrà un significato diverso dopo l’incidente della sorella e la catturerà in un’atmosfera mai conosciuta prima.

Due storie con protagoniste anonime, che trattano con serenità di un tema tanto difficile come la morte, dove la fine ma non sarà la fine ma solo un nuovo inizio.

L‘abito di piume, Feltrinelli, 2005, 132 p.

La ventiseienne Hotaru ritorna al paese natale, piccolo borgo tranquillo attraversato da un fiume, per dimenticare le sue infinite pene d’amore. Per otto anni, infatti, ha abitato a Tokyo, dove ha vissuto una burrascosa e clandestina relazione con un uomo sposato più anziano di lei che, inaspettatamente, l’abbandona per restare con la moglie. L’amore idealizzato era a senso unico, la delusione è cocente. Ferita, delusa, costernata e incredula, tornare al paese è un ritorno all’infanzia, è ritrovare pace e serenità nell’affetto degli amici e dell’amata nonna. La madre è morta e suo padre, noto psicologo, è in viaggio di lavoro in California. Hotaru trascorre le sue giornate aiutando la nonna nel suo caffè, intimo, caldo e familiare, sulla sponda del fiume lento. Si stabilisce nel magazzino di quel piccolo locale, vuole restare sola e non pensare. Rivede i luoghi e le persone del passato, rivive il profumo del ramen che cucinava suo padre, sfiora il fragore del fiume e, soprattutto, si riavvicina a Rumi, sensibile amica di un tempo, una quasi sorella. Il calore dell’amicizia ritrovata, quelle che erano, quelle che restano per sempre. Un bel giorno, dopo una lunga passeggiata immersa tra i ricordi, incontra un ragazzo, giovane istruttore di sci, Mitsuru, che le lascia un’insolita sensazione di déjà vu. L’ha già incontrato in passato? Dove? Quando? Il legame fra i due giovani matura, la madre del ragazzo è misteriosamente malata ma grazie a lei guarirà. Hotaru seguirà un percorso che le farà ritrovare la perduta serenità e, guarita dal folle dolore, potrà riappropriarsi della sua gioventù. Ritornata alla sua cittadina d’origine, Hotaru si sente avvolta dal lieve calore di un abito di piume, grazie all’appoggio dell’amica Rumi e alla sua nuova, nascente vita. Senza più inquietudine. Perché ogni guarigione origina e inizia in noi.

Il coperchio del mare, Feltrinelli, 2007, 140 p.

Terminati gli studi a Tokyo, Mari decide di tornare al suo paese natale, un posto in riva al mare circondato da montagne, oggi triste, in declino e in quasi totale abbandono. Qui l’inquinamento delle nuove fabbriche ha tolto ogni luce e rigogliosità, quella di un tempo che fu, fatto di turisti sorridenti e spensierati. Il mare non dà più i suoi frutti, sono tutti scappati. Il declino impera, la malinconia avvolge i pochi abitanti rimasti. Ma Mari decide di perseguire il suo sogno di sempre, quello di aprire un chiosco di granite. Le sue sono granite particolari: non ci sono i tradizionali gusti ricavati dagli sciroppi industriali e finti, ma sono preparate usando i frutti delicati e tipici del territorio. Mentre Mari prepara quelle specialità con precisione, delicatezza, cura e meticolosità fatta di lenti gesti quotidiani, sempre accanto al mare amico fedele, la madre decide di ospitare per l’estate Hajime, figlia di un’amica di famiglia, rimasta sfigurata in un incendio nel quale la nonna, pur di salvarla, ha tragicamente perso la vita. Periodo difficile per quella giovane vita. E così due mondi apparentemente opposti s’incontrano, quello di Mari, forte, decisa, tenace e combattiva, e quello di Hajime, gracile, debole e fragile ma sensibile. Il terzo personaggio a loro molto vicino è il mare, con la ricchezza dei pesci e dei coralli, ma anche il ricordo di un periodo di abbondanza passato; quel mare vivo, intimo, avvolgente, fedele e travolgente che, alimentando le loro aspettative e sedando le loro delusioni, dona alle due ragazze il sollievo necessario per ricominciare una nuova vita, in un legame di profonda e solida amicizia. Lasciando loro un immenso senso di pace, speranza e serenità. Bellissimo.

Un viaggio chiamato vita, Feltrinelli, 2010, 192 p.

In questo libro Yoshimoto, che si dichiara, nella postfazione dell’edizione italiana, non portata per i saggi, racconta le sue vicende personali, 47 brevi racconti riguardanti episodi di vita e di viaggio della scrittrice, divisi in tre sezioni. Un oggetto, un profumo, un dettaglio portano alla mente della scrittrice delle sensazioni e dei ricordi particolari della sua vita. La vita è un viaggio e, come tale fatta di ricordi.

La prima sezione raccoglie particolari dei viaggi in Asia, Italia, Egitto e Sudamerica, con una riflessione sulle differenze con il Giappone. Il profumo del rosmarino la porta in Sicilia, il freddo le ricorda l’inverno trascorso alle terme in Toscana. Da qui riflessioni sulla vita, sull’importanza dei ricordi e sul legame dell’uomo con l’uomo stesso, la natura e gli animali.

La seconda sezione è una raccolta di esperienze, persone, ricordi sparsi. La terza sezione si concentra sulla vita, sulle persone, sulla morte: un bar o un cibo ricordano un caro amico scomparso, la morte del cane o la nascita del figlio. Spesso si fa riferimento alla società moderna, così distante dall’adolescenza della scrittrice degli anni Settanta: si è perso il contatto umano, la quotidianità dei gesti è freddezza. Così come dei viaggi, tutto ciò che rimane della vita sono i ricordi, che col tempo diventano piacevoli anche se legati a dolori. Il tempo modifica e guarisce.

Moshi moshi, Feltrinelli, 2012, 206 p.

La protagonista di Moshi moshi (che, in giapponese, significa pronto di quando si risponde al telefono), è Yoshie, una ragazza che, dopo la morte del padre, che pare essersi suicidato con l’amante, decide di trasferirsi in un quartiere di Tokyo conosciuto per i suoi locali alternativi e il suo stile: Shimokitazawa, lontano dal caotico centro cittadino. Spera qui, in questa nuova e originale dimensione, di poter ritrovare serenità, lavorando in un ristorante dopo aver frequentato una scuola di cucina. La ricerca di questo tanto agognato equilibrio viene però interrotta e turbata dall’improvviso arrivo della madre, che, ancora scossa per la morte del marito (doppio suicidio-doppio tradimento…), decide di trasferirsi da lei. La vita torna a essere messa a soqquadro, ci sono da condividere spazi, momenti, oggetti e pensieri. Entrambe, insieme, dovranno cercare di superare una perdita da una parte e una nuova vita dall’altra. Una rinascita interiore, fatta di silenzi, pazienza, amore, dolcezza, delicatezza e profonda eleganza. La penna della Yoshimoto anche qui è magistrale.

Il giardino segreto, Feltrinelli, 2016, 138 p.

Quando una storia d’amore arriva al capolinea, lo si percepisce in un attimo che diventa eterno, in un momento secco e tranciante si tocca l’incertezza di non avere più punti fermi. Ciò che è destinato a fallire prima o poi finirà, anche se si finge di non capire, perché non si vuole ammettere un fallimento, magari l’ennesimo. E allora o si è comunque felici di avere avuto accanto una persona meravigliosa che rimarrà sempre una gemma della propria vita o non si riesce a farsene una ragione. E tutto crolla. Inutile dire che la prima soluzione, quella più difficile, è prerogativa di pochi forti. E mentre la giovane Shizukuishi cerca casa con il suo Shin’chiro, tutto finisce. Perché destinato a finire. È la fine di dolcezze e malinconie di un Giappone avvolgente, quello de “Il giardino segreto” di Banana Yoshimoto. Sullo sfondo, un misterioso serpente di giada, un ricordo dell’amore della nonna. Il tutto avvolto dal giardino d’infanzia dell’amico di Shin’chiro, il dolce Takahashi scomparso prematuramente per problemi di cuore e una malattia alle gambe che lo aveva costretto su una sedia a rotelle fin da piccolo. Quel giardino miracoloso e spettacolare avrebbe accompagnato sempre, come un’ombra imponente, la vita di Shin’chiro, insieme alla madre dell’amico. Una presenza del passato che rafforza il senso di precarietà della storia d’amore fra i due giovani. Questo giardino è però il centro di tutto il romanzo, la sua bellezza e la sua energia, il suo vero significato. Nonostante la disabilità, Takahashi lo aveva sempre seguito e curato con immensa passione e amore, un luogo che pare svelare la risposta a molte domande di Shizukuishi. Forse bisogna accontentarsi della natura, forse ci ostiniamo a riprodurla perché la si ritiene un frammento della già meravigliosa opera degli dei. Il mondo di quel giovane e abile giardiniere era fatato, il paradiso racchiuso nel cuore di ogni essere umano, l’espressione visibile dei suoi sogni, desideri, della sua esistenza.

Su un letto di fiori, Feltrinelli, 2021, 128 p.

L’ultimo romanzo da poco pubblicato in Italia, dedicato al padre, è un condensato della poetica della Yoshimoto, un inno alla vita semplice e infinita, quella di un quotidiano in cui riconoscere la bellezza. È la storia di Miki, abbandonata e trovata su un soffice letto di alghe wakame in riva al mare: da quel momento la sua vita è stata all’insegna dell’amore. Quello degli Ohira, soprattutto, la famiglia che l’ha adottata, composta da nonno, mamma e papà scultore, che gestisce un bed & breakfast in una cittadina a strapiombo sull’oceano. Miki è così felice da sembrare sciocca ma non le importa, perché ha tutto ciò che si può desiderare. La sua quiete è però turbata da alcuni inspiegabili episodi: una strana signora che si aggira intorno alla loro casa, dei sassi misteriosi comparsi nel vialetto sui quali inciampa spesso, dei mucchietti di ossa spuntati nel giardino della casa accanto. Insieme alla sua famiglia e al vecchio amico Nomura, Miki imparerà che la vita è più grande di quanto pensi, che il mondo è molto più ricco di misteri e meraviglie e scoprirà che l’amore, come l’odio, può essere il motore di tante storie inattese.