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Giorno: 15 Gennaio 2022

PRESTO DI MATTINA
la gioia nell’unità

«Gaudium unitate»: la gioia nell’unità, dove il sostantivo unitas è declinato all’ablativo unitate, anziché al genitivo unitatis onde sottolineare, non già una determinazione della gioia che la specifica, la gioia dell’unione, ma per evidenziare ciò che ne è la causa, uno stato in luogo figurato, là dove essa si origina, l’ambito in cui se ne fa esperienza al vivo.

Frutto di quel ‘convenire insieme per vedere, valutare, ed agire insieme’, affinché la gioia del Signore – che è là dove due o tre sono riuniti nel suo nome – sia forza per tutti, gioia di entrare tutti per la stessa soglia, quando si celebra e quando si riflette e si vive insieme.

Ho pensato così che l’espressione In unitate gaudium potrebbe essere un buon titolo di una esortazione di papa Francesco ai cristiani in sinodo, al fine di focalizzare il rapporto fondamentale tra sinodalità e liturgia.

L’invocazione dello spirito nella storia e nella celebrazione liturgica fa si che la celebrazione eucaristica, come lo è la liturgia per l’agire della chiesa, sia fonte e culmine pure del processo sinodale, punto di arrivo, origine e meta del cammino dei cristiani.

La sinodalità non è infatti un metodo, una strategia pastorale come pensano alcuni, ma «l’ordine sinodale è un modo di esprimere il primato dell’amore a livello stesso della Chiesa» (Ghislain Lafont [Qui]), primato dello Spirito di amore così come viene celebrato e vissuto nell’assemblea liturgica che poi deve traboccare nella storia e nelle relazioni tra le persone.

La celebrazione eucaristica costituisce così il paradigma fondamentale dell’evento e del processo sinodale. Come l’eucaristia deve continuare nella vita, così la sinodalità è esercizio permanente, affinché non si abitino solo i luoghi ma le relazioni, non si vivano gli eventi ma i processi.

È lo Spirito Santo che invocato sul pane e sul vino rende presente il Signore Gesù nell’assemblea domenicale, ed è lo stesso Spirito poi che abita le nostre relazioni, suscitando nell’atto del convenire processi che maturano verso il consenso e stili di vita e forme istituzionali più evangelici.

«È il primo attore del sinodo – ricordava il papa al Sinodo amazzonico – per favore, non lo scacciamo; dobbiamo consentire allo Spirito di esprimersi». La sinodalità è così ascolto dello Spirito che parla alle chiese e ai singoli battezzati per attuare convergenze: «Dove lo Spirito è presente, c’è sempre un movimento verso l’unità, ma mai verso l’uniformità», (Ritorniamo a sognare, 75).

In questa prospettiva l’eucaristia diviene atto educativo e performativo: una mistagogia, iniziazione ad un tempo al mistero pasquale e al camminare insieme; essa introduce nel mistero del pane spezzato lungo il cammino condiviso.

Come nella liturgia eucaristica così nel processo sinodale si compie la stessa «dinamica evangelica di un Dio che si avvicina, ascolta, vede e risponde. L’obiettivo di un processo sinodale è annunciare il Vangelo in un dato contesto per andare incontro alle particolari sfide delle persone che vivono in quel luogo. La sinodalità permette alla Chiesa di incarnare ciò che proclama», (Mario Grech [Qui], nuovo segretario generale del Sinodo dei vescovi).

L’ultimo scritto dello storico Giuseppe Alberigo (1926-2007) [Qui], che fu segretario e anima dell’Istituto per le scienze religiose di Bologna (Fscire) fondato nel 1953 da Giuseppe Dossetti [Qui], è come il suo lascito testamentario alla Chiesa italiana e ai suoi collaboratori. Egli diresse e coordinò l’équipe prevalentemente internazionale dalla quale sono usciti i cinque volumi della Storia del concilio Vaticano II.

«Sinodo come liturgia» è il titolo del suo testo pubblicato su Regno-doc. 13, 2007, 443. L’invito e la consegna dell’allievo di Hubert Jedin e di Delio Cantimori è stato quello di proseguire la ricerca sul rapporto tra momento eucaristico-sacramentale dell’assemblea liturgica e il momento sinodale della vita ecclesiale, al fine di arrivare a dare un autentico carattere assembleare alla chiesa come pure alla celebrazione dell’eucaristia.

Così Alberigo scriveva nell’articolo: «A quasi mezzo secolo dalla conclusione del Vaticano II, occorre riconoscere che la conciliarità ha ottenuto maggiori consensi a livello dottrinale che istituzionale e, tanto meno, ha inciso sulla vita delle comunità. Infatti quasi tutte le forme di organizzazione delle Chiese cristiane provano difficoltà e resistenze a darsi istanze stabili di comunione e di partecipazione generalizzata, alle quali sia riconosciuta anche un’effettiva, operante autorità decisionale.

La tenace resistenza dell’egemonia “clericale”, concentrata nelle rivendicazioni romane, costituisce un ostacolo verso un rinnovamento conciliare, altrettanto quanto la – simmetrica – radicata passività del popolo credente.

È diffusa la convinzione che sia necessario ripensare la concezione della Chiesa a partire dai dati certi ed elementari della fede oggi e che si debba ridisegnare un’ecclesiologia istituzionale coerente. Sembra opportuno un ripensamento tanto fedele alla Tradizione, quanto libero e creativo.

Insistere a ritenere adeguato per la comprensione della Chiesa lo schema centro/periferia pone ormai al di fuori della realtà e costituisce un ostacolo alla realizzazione della comunione. Troppo frequentemente l’esasperazione di un’ecclesiologia insensibile sia alla centralità della comunità eucaristica, sia alle identità culturali delle diverse aree, insiste a esaltare il modello del “capo”.

Ne è frequentemente conseguito l’azzeramento – o quasi – dello spazio e del riferimento all’azione dello Spirito Santo, nonché la marginalizzazione del popolo fedele. Sembra necessario riconoscere che la ricerca – pure legittima – della certezza e della stabilità nelle strutture della Chiesa e nella sua vita concreta esige di essere composta con delicato discernimento col riconoscimento dell’imprevedibile soffio dello Spirito e con la correlativa dinamica dei carismi e, pertanto, richiede nuovi paradigmi» (ivi, 443-444).

«Non soltanto comunità, ma comunità assembleare, comunità tutta gravitante verso il suo porsi in atto e manifestarsi nell’assemblea, in un atto assembleare organico», così concludeva Alberigo ed è questo il cammino che papa Francesco ripropone anche oggi alla Chiesa.

Per la settimana mariana, lo scorso ottobre in diocesi, le riflessioni alle messe infrasettimanali tenute dai celebranti hanno inteso fare memoria e ridestare alla coscienza delle persone provenienti delle parrocchie cittadine l’operosità che le nostre comunità hanno mostrato nell’ultimo Sinodo (1985-1992) promosso e guidato dal vescovo Luigi Maverna.

A me era stato affidato il tema: “Eucarestia pane per il cammino”. Si trattava di mediare la riflessione attraverso le letture bibliche del giorno: Giona 4,1-11; e il Padre nostro in Lc 11,1-4.

Pane in cammino è la parola profetica. Essa cammina innanzi, battistrada che apre la strada verso gli altri; è portatrice di perdono, perché animata dallo Spirito, colui che è la remissione stessa dei peccati, parola generatrice di inclusione e di condivisione senza misura: questo ci dice la parabola di Giona profeta.

Egli non fa che tracciare confini, marcare la differenza, attestare la diversità tra lui e i pagani, rifiutarsi di seguire la Parola, escludersi per escludere e invece i marinai nella nave in tempesta fanno di tutto per riconoscere la sua diversità anche religiosa e accettarla, anziché buttarlo a mare per calmare la tempesta.

La parola di Dio tutte le volte lo riporta sulla strada verso l’inclusione; essa rimane aperta in attesa della sua conversione, anche quando lui resta chiuso in se stesso. Pane in cammino è la parola di Dio, non solo per i destinatari di questa parola, gli abitanti di Ninive, ma anche per colui che la porta. Anche per Giona, anche per la chiesa, la parola di Dio, è pane in cammino, pane di conversione che reimmette sulle strade di Dio.

Pane del cammino è la preghiera del Padre nostro. Si chiede il pane quotidiano, per arrivare a nutrirsi del pane della Parola e imparare che non si vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

«Ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore», (Dt 8, 3-4).

Il Padre nostro è viatico, pane per il viaggio, nel nostro esodo verso il Padre, che nutre la nostra fraternità in Cristo. Proprio perché posto nel cuore della celebrazione liturgica, il Pater noster pone nel cuore di ogni preghiera il mistero pasquale e diventa così pane per una chiesa in cammino sinodale.

Pane del camminare insieme è allora l’eucaristia. La chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia apre sempre di nuovo il cammino della chiesa. Nel segno del pane condiviso l’eucaristia diventa pane sinodale, per nutrire i fedeli nel consenso della fede e nell’impegno a perseguire la comunione.

La descrizione della Didaché dell’assemblea cristiana convocata alla mensa domenicale può allora essere presa come immagine della sinodalità: «Nel modo in cui questo pane spezzato era dapprima grano sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli», (9, 4).

La gioia nell’unità è simile alla ‘nostalgia del mare’, propria dell’uomo che solca i mari, lontano dalla patria, o di chi migrante rafforza in lui l’istinto di vita, e la nostalgia diventa lotta per il futuro. Chi l’ha sperimentata una volta è sempre pronto a prendere il largo e ripartire.

Soledad-Saudade dicono i brasiliani, un ardente desiderio che è nostalgia di una presenza che spezzi la solitudine, di un incontro che riaccenda la gioia del ritrovarsi insieme; uno stato d’animo non passeggero e non futilmente sentimentale, caratterizzato da ricordo che infonde speranza; un sentire congenito alla solitudine in cerca di solidarietà.

Antoine de Saint-Exupéry [Qui] ci ricorda: «Se vuoi costruire una barca (e la Chiesa è una barca), preoccupati sì di avere il legname, i carpentieri, i fuochisti e i mozzi di bordo, ma più ancora, se vuoi costruire una barca, preoccupati di dare a tutti la nostalgia del mare infinito”: Gaudium unitate.

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