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Giorno: 16 Gennaio 2022

Terapia cyberpunk della bassa autostima

 

Ci sono persone talmente piene di sè, o forse arrabbiate col mondo, da pensare di essere regolarmente circondate da incapaci o imbecilli, al punto da non porsi mai la domanda più semplice: se il resto del mondo considera me uno stronzo, non è che il problema potrei essere io?

Ci sono poi persone che risentono dell’opinione degli altri al punto da costruire su di essa la loro percezione di sè. Questo tipo di persone spesso hanno talenti enormi che non riescono a dispiegare, come fossero un saltatore in alto che prima di saltare si mette alle caviglie dei pesi di cinque chili.

Ci sono infine persone che un giorno si sentono in grado di spaccare il mondo e il giorno dopo perdono interesse, piacere ed energia per l’impresa che avevano limpidamente disegnata nella testa il giorno prima. Tu potresti essere una di queste.

A parte la prima categoria di persone, per la quale non ho una ricetta – se non quella di prenderli per il culo per poi arrivare al punto di ignorarli, perchè l’indifferenza è la massima forma di canzonatura – per gli altri (e per te) il suggerimento potrebbe essere quello di circoscrivere la propria idea di rapporto col mondo alle persone veramente importanti, che sono poche, e vanno scelte. Una di queste sei tu.

“Prima di diagnosticarti depressione o bassa autostima, assicurati di non essere semplicemente circondato da stronzi.”

William Gibson

 

 

 

 

DIARIO IN PUBBLICO
La fruizione dell’arte

Che succede nel mondo dell’arte? Scorro con preoccupazione le notizie che arrivano sull’uso e la fruizione dei beni artistici. Leggo con stupore che nella città ‘artistica’ per eccellenza, Firenze, si procede con disinvoltura alla gestione del patrimonio culturale.

Si veda la lettera di Tomaso Montanari [Qui] apparsa su Emergenze culturali del 13 gennaio e dal titolo assai indicativo: Uffizi, monarchia assoluta del sovrano Eike Schmidt: «Secondo lo Statuto, il Comitato scientifico degli Uffizi è riunito dal direttore del museo con “cadenza almeno semestrale”. Ma in tutto il 2021 il Comitato non è stato convocato nemmeno una volta: così che per l’anno appena finito non esiste “la relazione annuale di valutazione annuale delle Gallerie”, e nessuno ha verificato e approvato “le politiche di prestito e di pianificazione delle mostre”: alcuni dei compiti che spettano al Comitato stesso».

A rendere ancora più problematica la situazione ecco l’altra querelle sull’uso delle scritte ‘sparate’ sui monumenti col nome dello sponsor. Sembra ormai che la diffusione della cultura non possa prescindere dalle tecniche sempre più invadenti e l’esempio fiorentino è stato anticipato dai ferraresi con le immagini proiettate sul Castello, dopo la proibizione dell’incendio del monumento.

Frattanto la politica culturale della nostra città sembra affidarsi alle iniziative del “segretario” del Cavaliere, Vittorio Sgarbi, che accumula presidenze di Musei in ogni parte d’Italia, e un sorriso viene strappato dalla lettura di un servizio di Stefano Lolli, che analizza sul Carlino Ferrara le operazioni di ‘Sgarbiland’.[Qui]

Si leggano queste righe dell’ultimo intervento del giornalista dal titolo Capre e scoiattoli: «E Ferrara? È ovvio che in caso di elezione di Berlusconi presidente, la prima visita di stato sarebbe al Teatro Comunale, in occasione di uno spettacolo già in allestimento, e di cui l’assessore Gulinelli ha già spoilerato il titolo. ‘Hasta Victorio siempre’, bipartisan e parmisan come piovesse».

Sicuramente il disagio che personalmente condivido con tanti amici ormai ‘semimuti’ delle associazioni culturali è evidente. Mai si è assistito a una più problematica indicazione (per essere generosi) di un nome per la elezione del presidente della Repubblica. E quello proposto dalle destre mi sembra veramente improponibile. Esprimo in questo caso il mio personale giudizio.

La malinconia della forzata clausura passata tra svogliate letture e ricerca affannosa di qualche film degno di essere rivisto si acuisce osservando i costumi degli italioti. Possibile che nel mondo delle canzonette ci si vesta in quel modo spaventoso di cui starlettine e starlettini danno esempi visivi sempre più terrificanti?

E quella vecchietta dai capelli blu, che da labbra enormemente gonfiate esprime giudizi e nello stesso tempo non esita a rivelare gambotte vecchie senza pudore o stile? Oppure la triste teoria di gente qualsiasi, il cui unico scopo è imitare i cosiddetti famosi? Puro orrore.

Non parliamo poi della pubblicità, che un famoso calciatore elargisce giornalmente e dove l’unico elemento gradevole rimane il peloso che gli sta a fianco. O la protagonista di una fortunata serie televisiva, che si esibirà al Festival di Sanremo, la cui fortuna va attribuita almeno per la metà dalla presenza di una magnifica cagnolona.

In altre parole, meglio le bestie che gli umani. Ma questo si sapeva da sempre!

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

Perché togliere il bosco ai lupetti?
No al lockdown dei boschi della Liguria

 

Sono Genovese, ho quattro figli e tutti hanno fatto il percorso scout. La mia ultima è una lupetta. Ieri al mattino presto abbiamo ricevuto dai Capi Branco le indicazioni per la caccia di domenica 16 gennaio. Tutto programmato: i lupetti avrebbero fatto una gran bella gita sui nostri splendidi monti.
Dopo poco giunge un nuovo messaggio dai capi: “perdonateci siamo stati presi in contropiede dalla recente ordinanza che vieta di frequentare i boschi, pertanto gli avvisi appena inviati non sono più validi. Ci scusiamo e vi faremo avere il prima possibile notizie su cosa faremo domenica”.

La mia testa ha cominciato a macinare le parole “Vietato frequentare i boschi”. Sono rimasta li a ripetermele e ho sentito crescere dentro di me l’indignazione per questa ennesima decisione di un governo che tratta ormai da tempo le persone come fossero animali da allevamento. Non mi stupisce, nel piccolo e nel grande, lo sguardo antropologico va in questa direzione da molti anni nella inconsapevolezza dei più. Come madre di quattro figli il mio impegno è stato in particolare quello di lavorare per una città a misura di bambino, per la restituzioni di autonomie fondamentali ai più piccoli che le politiche, in nome della sicurezza (sine cura), hanno ridotto sempre di più impedendo ai nostri figli di fare quelle esperienze fondamentali per crescere e imparare a muoversi nell’ambiente che li circonda [leggi Qui] 

Alcuni anni or sono mi sono trovata a lottare contro un’ordinanza del nostro municipio che recintava, nei parchi, la zona giochi dei bambini per “difenderli dalle cacche dei cani”. Risultato: i bambini venivano recintati negli spazi con i giochi di plastica rigorosamente montati su pavimenti asfaltati, mentre ai cani e ai loro proprietari era permesso correre tra gli alberi e sui prati.

Non avrebbe dunque dovuto stupirmi che, in nome del bene supremo economico, da oggi noi tutti verremo recintati nelle nostre città. Non dovrebbe stupirmi che dopo due anni di pandemia, in cui gli umani sono stati catalogati in diverse specie di animali, ai quali, a seconda della loro buona condotta, valutata dai governanti come ne fossero i proprietari, cancellando di fatto i diritti naturali, è dato accesso a certi luoghi.

Non è accettabile impedire la fruizione degli spazi naturali dei boschi, spazio vitale per attività all’aria aperta a 360°. Tanto più che tale ordinanza non ha come scopo tutelare la nostra salute – la peste suina africana infatti non è trasmissibile all’uomo e come scritto nell’ordinanza “la peste suina africana può avere gravi ripercussioni sulla salute della popolazione animale interessata e sulla redditività del settore zootecnico suinicolo, incidendo in modo significativo sulla produttività del settore agricolo a causa di perdite sia dirette che indirette con possibili gravi ripercussioni economiche in relazione al blocco delle movimentazioni delle partite di suini vivi e dei prodotti derivati all’interno dell’Unione e nell’export;” [Qui].Queste le parole del nostro presidente della Regione Toti: “se si diffondesse danni incommensurabili rispetto a una mancata passeggiata nei boschi”.

La  buona salute è prioritaria e le istituzioni hanno il dovere e la responsabilità di salvaguardarla. Ma la credibilità delle istituzioni è ormai nulla. La vita a contatto con la natura è una medicina gratuita necessaria a tutte e tutti. A maggior ragione in questo periodo pandemico. A questo punto noi sappiamo bene quali sono gli stili di vita sani che vogliamo condurre. È necessario riconoscere che l’Occidente è affetto da una malattia ben più grave del Covid19, una malattia che uccide il senso stesso di essere umano e che questa malattia sta affettando i nostri piccoli, rendendoli dei piccoli robot ai quali dare ordini.

Ma c’è una speranza. Quella di non aspettare la risposta dall’alto, quella di saper fare scelte alternative, quella di avere il coraggio di disobbedire quando, quanto ci viene imposto, va contro la nostra ‘natura’. Forse oggi sempre più persone riescono a vedere e a metterlo in parole. E ciò che viene nominato esiste e cambia la realtà. Ognuno di noi ha un grande potere, ed è legato alla nostra capacità di fare delle scelte libere che ci corrispondono. Basta solo esercitarla questa libertà, costi quel che costi!

Qui sotto il testo di una mail che è stata inviata da moltissimi genovesi al Sindaco Bucci, al presidente Toti, al ministro Speranza e al Ministro Patuanelli pubblicata in questa pagina Facebook [Qui] 

NO AL LOCKDOWN DEI BOSCHI LIGURI

Come Cittadina/o ligure italiana/o voglio esprimere tutta la mia indignazione per le decisioni prese e calate dall’alto in materia di contenimento della peste suina che impongono di fatto un LOCKDOWN sui boschi dell’entroterra ligure. .

“Limitare il lavoro e il tempo libero di tutti cittadini italiani (poiché i nostri boschi rappresentano un territorio non frequentato solo dai liguri) e mettere in pericolo l’economia di interi comuni allo scopo di difendere gli allevamenti intensivi è una misura inaccettabile, senza alcuna logica e totalmente fallimentare.” (Paolo Rossi, fotografo di fauna selvatica, documentarista, collaboratore di guide ambientali) 

Infatti, siamo al corrente che cinghiali potenzialmente infetti sono già dispersi su tutto il territorio regionale e oltre, proprio a causa della caccia in battuta o braccata, attualmente in corso, che è la prima causa di rapida diffusione della peste. 

Sono norme che non garantiscono alcuna certezza se non quella di limitare il diritto al lavoro e al tempo libero di migliaia di persone.  

Se la preoccupazione è quella di tutelare gli allevamenti, i provvedimenti vanno presi nella direzione di messa in sicurezza degli stessi e non nella limitazione della fruizione degli spazi naturali dei boschi, spazio vitale per la  salute e il lavoro di tutte e tutti, che le istituzioni hanno il dovere e la responsabilità di salvaguardare, a maggior ragione in questo momento storico. 

Non si capisce di che cosa dovremmo avere paura, considerato che siamo costrette e costretti, da anni, a coabitare in città  con i cinghiali. Tutto questo  a causa della totale assenza  decennale di provvedimenti e azioni che favoriscano il rientro dei cinghiali nell’habitat naturale a vantaggio del loro e nostro equilibrio. 

Evidenzio inoltre che Piemonte e Liguria hanno due ordinanze diverse. In Liguria chiusura totale per 6 mesi, mentre in Piemonte  è vietata solo attività di  pesca, venatoria e addestramento.

Queste ordinanze inaccettabili nascono a supporto di stili di vita mortiferi voluti ormai  solo da poteri economici sostenuti dai governi. 

Dopo due anni di fallimentare gestione pandemica, noi sappiamo bene quali sono gli stili di vita sani che vogliamo condurre. 

Che non si pensi che questa volta staremo chiuse e chiusi in casa ad aspettare la fine dell’ordinanza.

 

Celati forever (7) :
E questo è il famoso sonno della giovinezza

Il mio disgraziato fratello…

I.

Il mio disgraziato fratello ha sempre avuto tante pretese nella vita, e da piccolo non mi lasciava mai in pace a volermi raccontare tutte le sue storie e sogni di ragazzo. Io non sapevo neanche di cosa parlasse, ma per calmarlo facevo quella funzione di ascoltare i suoi discorsi e di applaudirlo, in quanto ero il fratello minore. Erano bei discorsi ma un po’ lunghi, mettiamo sui transatlantici che attraversano l’equatore e gli viene il mal di mare, oppure sulle isole Molucche che un giorno gli casca addosso un monsone. Oppure sugli esploratori che vanno a esplorare i ghiacci del polo. Ma quello che gli piaceva di piú erano le avventure nei sette mari, con le giunche cinesi che vanno all’arrembaggio e poi un certo signor Jim che corre via su un’isola deserta piena di cannibali che lo vogliono fare arrosto. Il fratello la sua idea sarebbe stata di partire un bel giorno per Singapore e portarmi me come aiutante indigeno. Per questo dovevo obbedirlo e star zitto quando parla, perché mi diceva: tu non vai lontano senza di me. Mi reputava poco abile a sbrigarmela da solo casomai mi trovassi in un deserto di leoni o nella steppa accerchiato dai tartari.

Mi pronunciava certe arringhe sul polo nord e sud, per via dei libri di avventure scientifiche che si leggeva avidamente quando dal padre scacciato in soffitta, e intanto si tirava un manichetto. Forse dovevano nuocergli al cervello l’una e l’altra cosa? Credo di sí. Infatti gli è venuto il ticchio di spacciarsi per Michele Strogoff, come il Michele Strogoff corriere dello zar del celebre romanzo.

II.

Il cugino dalla testa rossa sapeva tante cose a me sconosciute, però alcune che sapevo io lui non le sa. Per esempio non aveva mai imparato a dire porcherie, e si stupiva felicissimo di quella scoperta a sentirne dire tante da me senza nessuno sforzo. A me i discorsi sporchi venivano in bocca spontaneamente, senza neanche pensarci su, e per chi amasse quella musica potevo farla durare per ore e ore […] Un altro divertimento che gli ho insegnato era questo. Andavamo in chiesa e nel confessionale dicevamo: padre voglio confessarmi. E quando il prete chiede i peccati, noi fabbricavamo una storia secondo il nostro stile preferito, ossia stile sporco lurido con tante avventure di mutande e cosce e giarrettiere che ci venivano in mente. Cosa che il padre sacerdote a sentirla, voleva da noi il massimo pentimento per non restare noi bacati per la vita. Erano solo invenzioni però, e quando ce ne inventavamo una bella allora correvamo in un’altra chiesa e gliela dicevamo a un altro prete, con piú particolari scabrosi aggiunti.  […]
Dopo due o tre chiese fatte in confessione, avevamo una storia lunga come un vero romanzo di avventure porche. E il cugino se lo stava a rimuginare nell’estasi per una settimana.

III.

Quando le due amiche non mi portavano piú con loro alla domenica io andavo ai comizi con lo zio d’Australia, che era anche piú divertente. Federico e la madre questo non dovevano saperlo, essendo contrari alla politica, ma noi lo tenevamo segreto. E andavo a mangiare dallo zio d’Australia e poi alla mattina o al pomeriggio a sentire un comizio o un discorso in piazza, che ce n’erano sempre. Quei discorsi non ci capivo niente, ma era divertente lo stesso. Perché se erano discorsi giusti, cioè di un vero comunista, allora tutti battevano le mani urlando dalla soddisfazione di sentire cose giuste e ben dette. Se erano invece discorsi sbagliati di qualche nemico servo del governo, allora il pubblico gli diceva certe battute spiritose all’oratore che c’era da crepar dal ridere, e poi non la smettevamo piú. Lo zio d’Australia si andava a mettere sotto il palco e voleva sempre interrompere un oratore del governo che sbaglia. Quando non sapeva cosa dire gli chiedeva: scusi potrebbe ripetere? Oppure delle volte intanto mettiamo che un oratore di nome Casarini stava parlando con grandi gesti per far propaganda al governo, come un governo ottimo che ama il popolo, lo zio si metteva a urlare di colpo: Casarini è chiamato al telefono.
Che quello restava confuso, doveva interrompere la propaganda. I seguaci dell’oratore cercavano di farlo tacere lo zio, ma lui non accetta ordini da nessuno, se è un servo dei padroni.

IV.

C’è anche il cugino dalla testa rossa da ricordare in questo periodo, perché anche lui era nello stesso periodo della giovinezza che ognuno comprenderà molto bene, avendolo attraversato. È un periodo di stravaganze, che vengono nella testa, e uno si preoccupa avendoci per esempio una faccia tutta storta con la bocca larga come un forno, perché si dice: come andrà a finire? E va a finire che si diventa lunghi mezzi scemi, sia per la tara di famiglia ereditata dal padre, sia per gli avvenimenti che succedono. E questo è il famoso sonno della giovinezza quando si fanno tanti sogni, e poi qualcuno riesce a svegliarsi e altri no.

Gianni Celati, La banda dei sospiri, Feltrinelli, Milano pp. 7, 79-80, 87-88, 126

Per leggere tutti i testi di Gianni Celati su questo quotidiano, clicca [Qui]

Puoi visitare l’esposizione NEL MIO DESTINO DI DISAVVENTURE PERPETUE: OMAGGIO A GIANNI CELATI presso la Biblioteca Bertoldi di Argenta fino al 31 gennaio 2022.

L’AMORE DI NINA
… un racconto

 

Il 28 gennaio del 1944 il cielo terso di Ferrara veniva improvvisamente attraversato dalle fusoliere degli aerei alleati. Si trattava del secondo bombardamento sulla città e il fischio dell’allarme anti aerea violentava così il silenzio delle vie del centro.
Alcune bombe arrivavano anche sulle case private radendole al suolo, altre rompevano solo i vetri delle finestre, come nell’abitazione di Nina.

– Vai tu Nina, io non riesco, devo prendere servizio tra venti minuti, ma ho la gamba immobilizzata, deve essere entrata una scheggia proprio lì sopra il ginocchio. Prendi le chiavi, sono tre grossi mazzi, le trovi dentro al mio comodino in camera da letto –
– Va bene papà, vado io, prendo la tua bicicletta. Tu stai qui, non ti preoccupare, ci penso io -.
Al papà di Nina, Giuseppe, per tutti Beppino, guardia carceraria scelta più anziana, in servizio presso la casa circondariale di via Piangipane a Ferrara, solo a lui, il direttore aveva demandato il compito di poter aprire le celle dei detenuti nel caso di un bombardamento, per evitare che i prigionieri rimanessero intrappolati come topi in gabbia e così poter trovare protezione nel rifugio sistemato dietro il cortile del penitenziario.

Nina, venti anni appena compiuti, si precipitò giù dalle scale, prese la sua bicicletta e in un battibaleno arrivò alle carceri. Una bomba aveva già colpito il portone principale.
Non c’era nessuno di guardia, e Nina entrò scavalcando il corpo senza vita di quattro persone riverse per terra. C’era polvere dappertutto mescolata alle grida dei detenuti che chiedevano di poter uscire subito da quell’inferno.
La ragazza iniziò ad aprire freneticamente una dopo l’altra tutte le venti porte delle celle ancora occupate, quando un altro boato fece tremare tutto l’edificio: una seconda bomba aveva colpito anche il braccio dei detenuti politici.

Una pioggia di calcinacci scese dall’alto e in breve tempo coprì ogni cosa.
Nina impietrita dal terrore rimase ferma sotto il volto di una porta, mentre i prigionieri cercavano di porsi in salvo scavalcando travi rotte e brandelli di muro.

Dopo alcuni minuti un silenzio irreale scese dappertutto.
Nina si guardò intorno e vide solo macerie e altri morti.
I prigionieri sopravvissuti si erano immediatamente dileguati.
Ne era rimasto uno solo e, seduto proprio di fronte a lei a braccia conserte, la stava guardando con occhi spauriti.

– Come mai non sei scappato anche tu? – chiese Nina con un filo di voce – Non hai paura delle bombe?-
– Non saprei proprio dove andare – disse il prigioniero con accento chiaramente non italiano.
– Ma non sei di Ferrara…-
– No, sono tedesco –
– E come mai sei qui? –
– Sono un traditore, non ho obbedito nel corso di una rappresaglia all’ordine del comandante del plotone di esecuzione di cui facevo parte; mi sono rifiutato di sparare su donne e bambini –

Nina stava per chiedere altre spiegazioni quando sentì che il soffitto sopra la loro testa stava per crollare e con tutta la voce che aveva in corpo gridò:
– Via, via fuori da qui, dai… usciamo! –
In un attimo si trovarono all’aperto.
Sopra le loro teste si sentiva distintamente il rumore di “Pippo”, cosi veniva chiamato il pilota degli aerei anglo-americani.
– Dobbiamo toglierci subito di qua – urlò Nina – Sai andare in bicicletta? –
– No! –
Con fare deciso Nina afferrò la bici del padre.
– Dai, monta qui sul cannone! Pedalerò io, tanto non sei sicuramente più pesante di mio fratello… ah, come ti chiami? –
– Mi chiamo Felix –
– Bene Felix, cerca di farti leggero, adesso dovremo fare alcuni chilometri messi così!
E poi invece di continuare a fissarmi le gambe, guarda avanti! E dimmi se ci sono buche, se foriamo siamo fottuti! –

Spingeva su quei pedali Nina con tutta la forza data dai suoi venti anni e dalla paura.
Le vie della città erano completamente buie, così come le case, solo a sprazzi illuminate dalla luce dell’esplosione delle bombe e dai fari della contraerei.
Così vicini su quella bicicletta, i suoi capelli sfioravano il viso di Felix e il suo petto ansimante spingeva sulla schiena del prigioniero.
Poteva sentire il suo odore.
Sapeva di buono.

– Adesso viene il difficile – disse Nina mentre si lasciavano alle spalle le ultime case della città – Dobbiamo arrivare ad un fienile appena fuori di qua. Ci abitavano i miei nonni, ma adesso non ci sono più, lì potrai stare per un po’, ma per arrivarci dobbiamo attraversare un tratto all’aperto, i cecchini non aspettano altro. La strada è fiancheggiata da una scolina, se sentiamo sparare o arrivare un aereo ci dobbiamo buttare dentro, anche se c’è l’acqua! Mi hai capito bene? –
– Si, ho capito – rispose Felix.

Certo era del tutto assurdo, ma in cuor suo le sembrava già di sentire qualcosa per quel ragazzo! Subito dopo però pensava che questa sensazione fosse piuttosto dettata dal desiderio fortissimo di risentire emozioni quasi del tutto dimenticate a causa della guerra.
La guerra uccideva il corpo ma soprattutto l’anima delle persone.
Nina però i suoi venti anni non voleva rassegnarsi a lasciarli ai fascisti, e nella sua mente spesso fantasticava sul momento in cui finita la guerra, avrebbe potuto andare il sabato pomeriggio in piazza con le amiche per farsi corteggiare dai ragazzi.
Continuava a curare il suo aspetto come dovesse incontrare da un momento all’altro qualcuno che la avrebbe portata via da quell’orrore. Bella era bella, ma soprattutto aveva dipinto sul suo viso una fierezza altera. Non aveva paura di nulla, neppure di rispondere per le rime ai diversi ragazzotti in camicia nera che usavano la propria arroganza per impressionare le ragazze, per provarci.

Stava Nina pensando a tutto questo quando sentì in lontananza l’avvicinarsi del sinistro rumore del motore di “Pippo”.
Fu un attimo e l’aereo era già sopra le loro teste.
– Buttati… buttati Felix… svelto! –
Felix balzò via con un salto e Nina si rovesciò dentro il fossato assieme alla sua bicicletta.
Per fortuna la scolina era senza acqua.
Si ritrovarono uno accanto all’altro vicini in quella scura notte di bombardamenti.
Nina cercò nel buio gli occhi di Felix e vide in un attimo in quegli occhi così buoni tutto quello che la guerra le aveva tolto.
Si avvicinò e senza dire una parola lo baciò.

*******

– Facciamo piano – sussurrò Nina spingendo il portone del fienile – Vieni su, vedi quel baule là in fondo? Sotto c’è una botola; aprila e vedrai una scaletta che porta ad una stanza; c’è anche un letto. Mentre penso a cosa fare di te, potrai stare qui. Tu però non devi uscire per nessun motivo. Ci sono spie dappertutto. Ti porterò io da mangiare ogni tre giorni. Dal carcere avranno già segnalato la tua assenza. Se ti trovano sei morto! –
– Non so cosa dire – balbettò Felix – non mi conosci neppure…-
– Sst! non mi interessa, mi basta sapere cosa hai fatto, e quando eravamo ancora nel carcere non sei scappato… poi i tuoi occhi, occhi sinceri… no, non mi sbaglio su di te… sei l’unico regalo di questa terribile guerra! –
Nina lo strinse forte a sé, come si fa con le persone care quando è tanto tempo che non ci si incontra o non si è sicuri di poterle rivedere l’indomani e uscì dal fienile.

******

Fuori faceva un freddo cane, ma Nina quasi non lo avvertiva.
Prese la sua bicicletta e per la prima volta dall’inizio della guerra si sentiva felice.
Felice!
Una parola che non avrebbe mai immaginato di poter solo anche lontanamente pensare in mezzo a tutto quel fango.
Adesso spingeva ancora più forte su quei pedali e quasi morsicandosi le labbra per provare a se stessa che era tutto vero, a voce alta si ripeteva continuamente:
– Nina testa sulle spalle! Nina piedi per terra! Non può essere, non può…-
Ma dentro il suo cuore sentiva che, nonostante tutto, forse era arrivato quello che fino a quel giorno aveva solo immaginato.
E quella notte buia senza stelle adesso le sembrava meno scura.
Anche se la vita fosse finita qui, pensava Nina, dopo quel bacio era la guerra ad aver perso con lei la sua battaglia decisiva.

Nina per più di un anno una volta alla settimana con la sua bicicletta andò a trovare
Felix, portandogli cibo e vestiti puliti.
Rimaneva là con lui l’intera notte.
Quel rifugio era tutto il loro mondo, separato dal resto, sembrava quasi a star là sotto che la guerra non ci fosse mai stata.
Dopo aver fatto l’amore, parlavano per ore su come sarebbe stato bello vivere in un paese libero, sognavano un futuro insieme, in una casa tutta loro.
Poi, poco prima dell’alba, Nina prendeva la via del ritorno in sella alla sua bicicletta.
Radio Londra da settimane oramai dava per certa la liberazione del nord Italia prima della fine di aprile.

La mattina, del 23 aprile del ‘45, Nina si alzò presto per andare a prendere il pane.
– Ha sentito? I tedeschi si stanno ritirando, oltre il Po, setacciano una ad una le case di campagna in cerca di cibo, e non solo… quei bastardi! – le disse a voce alta la moglie del panettiere.
A sentir tale frase Nina trasalì, prese in fretta la sporta del pane sul bancone, inforcò la sua bici e si diresse più velocemente possibile verso il fienile.
Mancava ancora un po’ quando le parve di scorgere un gruppo di persone proprio fuori la corte del fienile, tutte intente a fare non si capiva bene che cosa.

Con il cuore in gola aumentò il più possibile l’andatura.

Purtroppo appena arrivò, poté constatare la fondatezza dei suoi timori. Vide Felix con le mani legate dietro la schiena attorniato da una decina di militari tedeschi, e due fascisti che, con sua grande sorpresa, stavano discutendo animatamente con suo padre!

– Perché non lo avete consegnato subito! Dovreste sapere chi è… avete idea vero che cosa avete fatto o no? Avete protetto un traditore della patria! –
Urlava con gli occhi fuori dalla testa, il più vecchio dei due fascisti, agitando contro il padre di Nina il suo manganello.

– Ma io non ne sapevo nulla, dovete credermi signore! – rispose con tono quasi supplichevole Giuseppe evitando di incrociare lo sguardo di Nina che esterrefatta, quasi paralizzata dal terrore, ascoltava incredula le parole di suo padre.

– Ah si, allora ci credete dei coglioni… non è vostro il fienile? e cosa ci fa vostra figlia qui?
Per fortuna a questo mondo c’è anche della brava gente… il vostro vicino per esempio ci ha chiaramente detto che da mesi vostra figlia passava allegramente le notti con questo maiale! Allora non avete nulla da dire adesso? –
– Le giuro che ero all’oscuro di tutto! Io ho sempre goduto della totale fiducia dei miei superiori, se lo avessi saputo io stesso lo avrei riportato in galera! Diglielo anche tu Duccio! – disse il padre di Nina al più giovane dei due repubblichini figlio di un suo collega di lavoro.
Nina, quasi paralizzata dal terrore, non riusciva a spiccicare una sola parola.

Gli occhi pieni di lacrime impedivano per sua fortuna di vedere bene l’espressione dei visi intorno a lei e in particolare quello di suo papà.
Il suo sguardo passava velocemente dall’immagine di Felix legato, a quella di suo padre in combutta coi fascisti, e non sapeva quale delle due scene le stesse arrecando maggior dolore.
Quello che dai gradi sembrava il comandante dei soldati tedeschi urlò alcune parole ai due italiani.
– Cosa ha detto? – chiese Duccio al suo compagno più anziano.
– Ha detto che devono procedere… non hanno più tanto tempo, gli inglesi potrebbero arrivare da un momento all’altro –
Ma appena il militare fascista più anziano ebbe finito di tradurre, il padre di Nina, mettendosi tra Felix e il plotone di esecuzione tedesco, si rivolse ai due fascisti dicendo – No fermi tutti… è vero ho sbagliato, ma desidero aver la possibilità di riscattare il mio onore… sparerò io a questo cane! – e così dicendo estrasse la pistola d’ordinanza puntandola su Felix.

Nina allora, stravolta dalla follia di quello a cui stava assistendo, provò con la forza della disperazione a correre verso suo padre per cercare di fermarlo, ma sentì una mano, la mano di Duccio, trattenerla forte per i fianchi.

Mentre avvertiva che ogni ragione di vita stava per abbandonarla, si levò in lontananza un suono sconosciuto, una musica del tutto nuova: era il suono delle cornamuse dell’esercito scozzese che faceva il suo ingresso nella città finalmente liberata dai nazi-fascisti!

Visto il rapido precipitare degli eventi il comandante dei tedeschi con un gesto secco fece capire ai due in camicia nera che a lui stava bene la proposta del padre di Nina e velocemente radunati i suoi, si diresse verso l’argine destro del fiume Po’.
– Va bene allora… ma dai, fa presto! – disse il fascista più anziano a Giuseppe.
– Papà, papà noooooo, ti prego non farlo! – furono le ultime parole di Nina prima di lasciarsi andare a terra priva di sensi.

Poi uno sparo, un unico sparo, un rumore secco, sordo, mise a tacere ogni discussione.

Il corpo di Felix cadde riverso sulla pancia, mentre una bava rossastra gli usciva dalla bocca.
Nina intanto si era ripresa, in tempo per vedere la ragione della sua vita andarsene per sempre.

– Ben fatto Giuseppe! Adesso mi sa che sia meglio non tornare in città vero? Dai, Duccio prendi la macchina, andiamo via da qui –
– Si, si. Voi andate pure. Penso io a sistemare tutto – disse con un filo di voce Giuseppe.

******

Il suono solenne delle cornamusa in lontananza riempì il silenzio innaturale su cose e persone caduto tutto attorno al fienile.

Appena lasciati soli, Giuseppe si avvicinò alla figlia mostrandole la pistola.
– A salve! Non ho mai, in tutta la mia vita, usato pallottole vere…-
Nina avrebbe voluto, ma non riuscì a cambiare così repentinamente la sua espressione di incredulità mista a quella di assoluto dolore per quello che aveva fino a quel momento visto.
Alla fine serissima disse
– Ma cosa dici papà! Vuoi dire che Felix…-
– Si Nina, sono salvo – disse Felix adesso in piedi dietro le sue spalle – Ci sono cascati, tuo padre mi ha salvato. Approfittando di un attimo di distrazione dei soldati, mentre mi legava i polsi, mi ha messo in bocca questa sacca rossastra dicendo di fidarmi, che sarebbe andato tutto bene, che non sarei morto.
Poi il buon Dio ci ha dato una mano…-
A quelle parole il viso di Nina si lasciò andare allo stesso tempo al riso e al pianto, mentre abbracciava e baciava dappertutto il suo Felix.

– È finita per sempre la notte dei bombardamenti per la città, è finita la notte scura per tutti noi –
disse Nina e mentre osservava adesso il cielo stellato, le venne alla mente che in tutti quei mesi di guerra, le stelle le aveva sempre salutate ogni sera con un bacio, mentre si tratteneva in strada sempre qualche minuto in più prima di chiudere il portone di casa, per poi andare a dormire, come se dovesse aspettare qualcuno. Qualcuno che da lontano sarebbe prima o poi venuto a portarla via da quell’inverno.

5 gennaio 2022

Un orecchio d’autore
Il tributo di Elio a Enzo Jannacci

 

Fino a domenica 16 gennaio, al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara va in scena lo spettacolo musicale dedicato a Enzo Jannacci. Il protagonista principale di questo evento è Stefano Belisari (in arte Elio) che, senza il gruppo Storie Tese, è accompagnato in questa escursione tra memoria e canzoni da un gruppo di bravi musicisti.
Ci vuole orecchio (Elio canta e recita Enzo Jannacci)” è il titolo dello spettacolo diretto da Giorgio Gallione. Il perché di questo tributo a Jannacci forse sta in quello che Elio ha detto di recente in una intervista. “Enzo era in classe con mio padre e ne ho sentito parlare fin da quando ero piccolo”.

enzo jannacci

In una novantina di minuti, Elio traccia un proprio ritratto di Jannacci alternando monologhi e numerose canzoni del vasto repertorio del cantautore milanese scomparso nove anni fa. Ovviamente, la scelta delle canzoni, sempre molto ben eseguite, è soggettiva e difficilmente contestabile anche se, del poliedrico cantautore appare poco la sua anima trasgressiva, ‘politica’ che lo ha visto incappare più volte nei fulmini della censura. Famosa la bocciatura della canzone Ho visto un re a Canzonissima nel 1968 da parte della commissione RAI che la giudicò intrisa di significato politico e dai toni polemici. A supporto di questa piccola annotazione critica, la canzone di apertura (e di chiusura) dello spettacolo è Saltimbanchi che nel testo dice: “Saltimbanchi, Saltimbanchi/ È facile se si è/ Gente che è fetente/ Come questa qua/ E Saltimbanco non guardare/ Saltimbanco non toccare/ Saltimbanco non pensare/ Non tentare di capire”. Diverso, invece, è il mio punto di vista sui monologhi. A parte qualche eccezione, come quello “sulla coscienza e l’insalata di mare” dove tocca momenti ironici molto divertenti, gli altri monologhi sono stati lunghi, infiniti e qualche volta scontati. Se si fosse dato spazio, ad esempio, alla versione non censurata di “Vengo anch’io. No, tu no”, accorciando o togliendo alcune escursioni di inutile scurrilità, lo spettacolo di Elio ne avrebbe guadagnato.

Jannacci cantava “cose strane” in dialetto meneghino come El purtava i scarp del tennis e T’ho cumpra i calzett de seda che hanno fatto la storia della canzone d’autore italiana e che sono state eseguite da Elio. Elio è un grande estimatore di artisti non omologati come, ad esempio, Frank Zappa.
In una intervista di alcuni anni fa, Elio dice di Zappa che è stato un esempio di quel che deve fare, essere un artista. “Applicarsi al massimo, cercare nuove idee e nuovi spunti e non omologarsi mai”. Una riflessione che può valere anche per Jannacci che, nella sua vita d’artista, non si è mai adagiato su cliché di canzoni monotone e…mononote.

Macroeconomia, ovvero come fregarsene delle persone in carne e ossa

“In Italia un quarto dei lavoratori totali ha una retribuzione individuale bassa, cioè, inferiore al 60% della mediana. Almeno un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà, cioè vive in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana (11.500 euro in base ai valori del 2018).”

Ancora: “il fenomeno dei working poor è esploso dapprima negli Usa e ora sta interessando molti paesi europei, pur con significative eccezioni come la Svezia, dove i tassi di povertà al lavoro sono insignificanti e i Paesi Bassi, dove il tasso di working poor è in costante decrescita. “L’insorgere del fenomeno è imputabile a diverse cause, alcune legate all’evoluzione del mercato del lavoro, altre a cambiamenti istituzionali. Tra le prime rientrano i cambiamenti tecnologici della struttura produttiva che hanno favorito la domanda di lavoratori qualificati rispetto a quelli non qualificati,… la delocalizzazione del lavoro nei paesi in via di sviluppo che può avere comportato una riduzione dei salari dei lavoratori meno qualificati in Europa, i fenomeni migratori che possono aver ridotto il salario dei lavoratori nativi poco qualificati. Tra i cambiamenti istituzionali rientrano certamente le riforme di liberalizzazione del mercato del lavoro che hanno determinato il peggioramento della qualità delle posizioni lavorative ma anche l’indebolimento del potere contrattuale dei sindacati e il minor ricorso alla contrattazione centralizzata che possono aver avuto ripercussioni negative sui salari in genere, ma soprattutto sulla coda sinistra della distribuzione dei salari”.

Sono brani tratti da un articolo apparso su collettiva.it (leggi qui) che illustra bene la differenza tra la microeconomia e la macroeconomia. Sempre dal pezzo di colletiva.it, leggiamo: “Per avvicinarsi a una prima quantificazione dell’area dei lavoratori poveri, applicando uno dei riferimenti Istat (sotto la soglia dei 9 euro l’ora di retribuzione), il ricercatore del Censis, Andrea Toma, parla di 2,9 milioni di lavoratori; 35% nella classe 15-29 anni; 47,4% nella classe 30-49 anni; 79% operai, 53,3% uomini. Decisivo è il calcolo delle giornate lavorate durante l’anno. Tra gli operai ci sono 8,6 milioni di persone che lavorano per un totale di poco più di 200 giornate l’anno con una retribuzione media annua di 14.762 euro. Ci sono poi 629 mila apprendisti che lavorano 203 giorni l’anno per 11.709 euro. Nella sfera del lavoro povero, spiega ancora Andrea Toma, si possono inquadrare praticamente quasi tutti i lavoratori precari che devono essere sommati al lavoro irregolare (circa 3 milioni di persone), una parte dei lavoratori dei settori agricoli e della vasta area del lavoro domestico (921mila).”

Questa è microeconomia, nel senso che è l’economia vissuta nei panni e nella pelle delle persone che si trovano in questa situazione: hanno un lavoro, ma questo lavoro non permette loro di progettare nessun futuro, perchè è saltuario, precario, sottopagato, sotto ricatto.

Poi ci sono i grafici dei macroeconomisti

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "23.400 23.200 Occupati 23.000 22.800 22.600 22.400 22.200 22.000 21.800 nov-19 gen-20 mar-20 mag-20 lug-20 lug-20 set-20 nov-20 nov- 20 gen-21 mar-21 mag-21 lug-21 set-21 nov-21 nov-21"

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "18.200 Lavoratori dipendenti 18.000 17.800 17.600 17.400 17.200 17.000 nov-19 nov-19 gen-20 mar-20 mag-20 lug-20 set-20 nov-20 gen-21 mar-21 mag-21 lug-21 set-21 nov-21"

Questi due grafici sono stati esibiti (senza peraltro citarne la fonte) in un post di Luigi Marattin (attuale presidente della Commissione Finanze della Camera), che li ha commentati così:

“Il primo grafico mostra il totale degli occupati, che è ancora inferiore di 232.000 unità al livello del marzo 2020 (pre-Covid).
Il secondo grafico mostra invece i soli lavoratori dipendenti, il cui livello già a maggio 2021 aveva recuperato appieno il gap perso durante la pandemia, e che ora continua a salire. A conferma che le previsioni fosche derivanti dalla fine del blocco dei licenziamenti (unico paese al mondo a farlo) erano del tutto infondate.”
Non è che io me la prendo con Marattin. Me la prendo per come espone le sue idee, che spaccia sempre come evidenze scientifiche alle quali si abbeverano i suoi seguaci, mentre gli altri sono o populisti o sovranisti (quando usa un linguaggio istituzionale; quando si scatena per il godimento dei suoi fans, gli altri sono dei deficienti). Ma andiamo a leggere cosa scrive Istat nel bollettino flash sul primo trimestre del 2021, pubblicato l’11 giugno:
“Nel primo trimestre 2021, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, registra una diminuzione di -0,2% rispetto al trimestre precedente e di -0,1% rispetto al primo trimestre 2020; il Pil è aumentato dello 0,1 in termini congiunturali e diminuito dello 0,8 in termini tendenziali. Dal lato dell’offerta di lavoro, nel primo trimestre 2021 il numero di occupati diminuisce di 243 mila unità (-1,1%) rispetto al trimestre precedente, a seguito del calo dei dipendenti a tempo indeterminato (-1,1%) e degli indipendenti (-2,0%) non compensato dalla lieve crescita dei dipendenti a termine (+0,6%). Contestualmente, si registra un aumento del numero di disoccupati (+103 mila) e degli inattivi di 15-64 anni (+98 mila). I dati mensili provvisori di aprile 2021 – al netto della stagionalità – segnalano il proseguimento della crescita dell’occupazione (+20 mila, +0,1% in un mese) registrata nei due mesi precedenti (dopo il forte calo di gennaio), che si associa all’aumento del numero di disoccupati (+88 mila, +3,4%) e al calo degli inattivi di 15-64 anni (-138 mila, -1,0%).
E’ fantastico notare come un economista che si gloria sempre del fatto di saper leggere i dati reali e di non fare demagogia, pecchi contemporaneamente di approssimazione e demagogia. Basta infatti entrare dentro i numeri dei grafici per accorgersi che la realtà è molto diversa dalle magnifiche sorti e progressive che descrive il macroeconomista Marattin, partendo da un grafico (che spaccia per la Bibbia) senza misurarsi nemmeno per sbaglio con la disaggregazione dei dati di quel grafico.
Ma anche i prossimi dati (sempre Istat) sono interessanti, perchè mostrano le variazioni tendenziali 2021 su 2020:
-Occupati, meno 3,9%
-Occupati dipendenti, meno 3,2%
-Occupati a tempo indeterminato, meno 2,5%
-Occupati a tempo determinato, meno 7,3%
-Occupati indipendenti, meno 6%
-Tasso di occupazione 15-64 anni: meno 2,2%
-Disoccupati: più 10%
-Inattivi 15-64 anni: più 3,7%
-Monte ore lavorate: meno 0,2%
(Per consultare il bollettino Istat completo,(leggi qui)
Verrebbe da dire: ma di che diavolo parla Marattin? Di quello che accade realmente, o di quello che vorrebbe dimostrare stia succedendo, da quando la geniale operazione politicista di Italia Viva ha portato il salvifico Mario Draghi al premierato? Quelo, il santone mago delle previsioni creato da Corrado Guzzanti, risponderebbe “la seconda che hai detto”. Però fare gli scienziati dell’economia con un grafichetto, come direbbe Marattin, “da studente di economia del primo anno”, traendone conclusioni opposte alla realtà, è roba da lancio del libretto. (NB il brillante economista non è nuovo alle “bianche”: ha dovuto rettificare la verità rivelata secondo la quale i percettori di reddito dai 35 ai 55.000 euro pagano il 60% dell’Irpef, poichè quella fascia di reddito – dati Mef – paga in realtà il 21,6% dell’Irpef. Leggi QUI)
In una recente intervista a estense.com (qui), Marattin si fa latore di un messaggio “riformista e liberale” che declina in questo modo:
“Chi vuole redistribuire soprattutto opportunità, non solo reddito; chi vuole usare il sistema fiscale come strumento di crescita, non di mera redistribuzione; chi non ha paura di dire che nella scuola bisogna pagare di più gli insegnanti migliori, e non appiattire tutti sullo stesso livello; chi è convinto che per combattere le delocalizzazioni e i licenziamenti non occorra vietarli per legge, ma migliorare le condizioni di competitività del territori, far costare meno il lavoro”.
Traduzione dello storytelling di stampo renziano: soldi no, lavori sì, anche senza tutele (sei giovane, datti da fare); soldi dal fisco ne riceverai indietro in maniera piatta, non progressiva; pagare di più gli insegnanti “migliori” (io per esempio); per evitare di far spostare le aziende all’estero bisogna pagare meno i lavoratori (Renzi vorrebbe costassero come in Arabia Saudita). 
Qui non ci sono seri (liberali, lui) contro cialtroni (sovranisti e populisti, resto del mondo). Qui c’è un rampante che gioca con i dati e le regole del lavoro, parlando (ogni tanto a sproposito) di aggregati come se si trovasse a un Risiko nel quale le “risorse umane” si spostano come le truppe di soldatini. Lo andasse a raccontare agli operai della GKN, o a quelli della Logista all’Interporto di Bologna, o a quelle/i della Whirlpool di Napoli. A Ferrara però non si candida più per andare in Parlamento, stranamente scegliendo un altro collegio. Non la viene più a raccontare ai risparmiatori di Carife, la storia farlocca degli azionisti “speculatori” (classica stupidaggine da macroeconomista superficiale), dopo che il “suo” governo (all’epoca lui era responsabile economico del PD) ha fatto un bellissimo esperimento di bail in anticipato, azzerando migliaia di risparmiatori della sua amata Ferrara. Il “liberalismo” nel campo dell’economia e del lavoro non è un concetto neutro. Anche Milton Friedman era un liberale in economia, e le sue teorie hanno fatto danni incalcolabili a livello sociale. La differenza tra chi parla di economia per insiemi ed aggregati e chi analizza cosa succede ad una singola impresa, ad un singolo mercato, ad un singolo lavoratore, è la differenza tra chi considera il lavoro come una pura merce e chi sa bene che dietro i numeri ci sono la carne e il sangue delle persone.

PER CERTI VERSI
La cetra lontana

LA CETRA LONTANA

Volerti
E non vederti
È la nostra cifra
Pensarti
E non vederti
Siamo noi
La nostra storia
Senza fine
Immaginarti
E non trovarti
Che nei sogni
Bruciati
Nei lumi di marzo
È la nostra cifra
Abbracciarti
E trovare il vuoto
Che rifra
Splende
La tua splendida
Avventura
A braccetto
Col tuo poeta
Perfetto
Cosi volerti
Vederti
Abbracciarti
Sognarti
Pensarti
Sono un mondo
Solo
Con le ciglia
Due labbra
Una conchiglia

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
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