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Giorno: 26 Gennaio 2022

LA NAZIONE DELLE PIANTE E L’ASSALTO DELL’ANTROPOCENE

 

Un vero capodanno degli alberi, Rosh Hashana Lailanot, come gli ebrei, per Tu Bishvat, il 15 del mese di Shevat, per noi il 17 gennaio 2022. Questo vorrei per cominciare meglio l’anno.

La festa dell’albero del 21 novembre non mi convince. Non si direbbe più che Epifania tutte le feste porta via.
Inoltre quest’anno il capodanno degli alberi coincide con il Befanone, al Vción, Sant’Antonio abate insomma. Benedice gli animali, porta doni ai bimbi trascurati da altri passaggi (San Nicola, Santa Lucia, Babbo Natale, Befana), ricorda a tutti l’imprevedibilità dell’amore: al s’era inamurà int un busghìn, un maialino. Un giorno che ci ricordi il nostro legame con la natura, con gli alberi in particolare. Un giorno in cui gustare frutti e vini diversi, buoni però.

C’è bisogno di un capodanno così. La Fao ci ricorda che la deforestazione continua, al ritmo di 10 milioni di ettari all’anno, nell’ultimo quinquennio. In quello precedente erano 12 milioni, nel primo decennio del 2000 erano 15, e 16 tra il 1990 e il 2000. L’anno scorso siamo tornati ai 12 milioni. Nella sola Amazzonia è stato deforestato il 22% di suolo in più rispetto all’anno precedente.

In questa ricorrenza i bambini israeliani piantano alberelli. Lo farebbero anche da noi con la serietà che è propria di bimbi consapevoli dell’importanza dell’azione. “Se stai piantando un albero e ti dicono che è arrivato il Messia, prima finisci di piantare l’albero e poi vai ad accogliere il Messia”.

La nostra biografia si farebbe ecobiografia: “Io sono vita che vuole vivere, circondata da vita che vuole vivere” come scrive Jean-Philippe Pierron. Tutti siamo stati “arboricoli”, aggiunge. “Eravamo piccoli, ma talmente più grandi, quando, nell’albero dei nostri giochi, afferravamo con una mano un ramo più alto. E appollaiati su di esso, le ore meravigliate a contemplare la storia della specie che s’inventava in noi”. Arboricolo è, per tacere di Tarzan, il barone rampante che al padre oppone un irreplicabile “Ma io dagli alberi piscio più lontano!”. A tanto non mi sono spinto, non procedendo, bambino, oltre i rami più bassi dell’albero più alto della scuola di Roncobonoldo.

C’è chi continua ad abbracciare gli alberi, come fa Luca Zampini, testimoniandolo con le sue fotografie. È grazie a lui se le piante ci guardano con occhi meno severi: “Ci osservano gli alberi. Vorrebbero che noi ci accorgessimo di quanto è innaturale il mondo che gli abbiamo creato intorno. Ci guardano nella speranza che provvediamo a migliorarlo. Resistono e soffrono. Superstiti sempre più radi, troppo poco importanti ai nostri giorni per meritare attenzione”.

Bruno Latour, mette in evidenza come sia la stessa storia fisica e mentale degli umani ad essere legata a quella dei non umani e all’ambiente. Una visione più completa delle richieste e dei diritti delle parti in causa potrebbe darcela un “parlamento delle cose”. O almeno un “parlamento dei viventi”, evocato da Marielle Macé: “La terra si fa sentire, il parlamento dei viventi chiede ora di essere allargato. Esteso ad altre voci, altre intelligenze, altri modi di fare per vivere… L’ampliamento radicale delle forme di vita da considerare e degli accordi da costruire, questo è il punto cruciale”.

La posizione delle piante è nota, grazie a Stefano Mancuso, che, conoscendole bene ne ha stilato la Carta dei Diritti1. La Terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene ad ogni essere vivente. 2. La Nazione delle Piante riconosce e garantisce i diritti inviolabili delle comunità naturali come società basate sulle relazioni fra gli organismi che le compongono. 3. La Nazione delle Piante non riconosce le gerarchie animali, fondate su centri di comando e funzioni concentrate, e favorisce democrazie vegetali diffuse e decentralizzate. 4. La Nazione delle Piante rispetta universalmente i diritti dei viventi attuali e di quelli delle prossime generazioni. 5. La Nazione delle Piante garantisce il diritto all’acqua, al suolo e all’atmosfera puliti. 6. Il consumo di qualsiasi risorsa non ricostituibile per le generazioni dei viventi è vietato. 7. La Nazione delle Piante non ha confini. Ogni essere vivente è libero di transitarvi, trasferirsi, vivervi, senza alcuna limitazione. 8. La Nazione delle Piante riconosce e favorisce il mutuo appoggio fra le comunità naturali di esseri viventi come strumento di convivenza e di progresso.

Mi viene in mente Capitini: si interroga se sia indifferente per il carbone restare dov’è o essere utilizzato dall’uomo. Non sa darsi una risposta, però si fa vegetariano e sa che solo il fiore che non cogli è tuo. Nonviolenza, del resto, è apertura a esistenza, libertà, sviluppo di tutti gli esseri. L’assalto agli alberi, con la deforestazione, è alla base del virus di successo con il quale ci stiamo confrontando. Vacciniamo – questo è un bene – i popoli ricchi, e non i poveri – questo è un male – assicurando così la diffusione della pandemia. Si è rotto il climatizzatore della fabbrica del mondo, ci ripetono Marco Paolini e Telmo Pievani. Appare necessario e urgente un processo costituente, capace di trarre il meglio dalla nostra esperienza, senza che la paura ci rinchiuda – lo sta facendo – in identità di “sangue e terra”, già sperimentate col nazismo.

Una splendida introduzione a una possibile Costituzione della terra l’ha scritta Luigi FerrajoliNon si è fermato qui. Ha tracciato la Carta della Nazione degli Umani in un testo di 100 articoli. La prima parte enuncia principi e diritti fondamentali, la seconda poteri e organizzazione. L’impegno è costituzionalizzare la globalizzazione, globalizzare il garantismo costituzionale.

“L’umanità si trova oggi di fronte ad emergenze e a sfide globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: le devastazioni ambientali e il rischio di una prossima inabitabilità del pianeta, la minaccia nucleare generata da migliaia di testate atomiche, la crescita della povertà e la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani, le ondate migratorie di masse crescenti di persone che fuggono dalla miseria, dagli sconvolgimenti climatici, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche”. Non mi provo a riassumere il ricco articolato, una semplice bozza secondo Ferrajoli. Ne consiglio la lettura. Propongo solo i primi due articoli. Ce n’è abbastanza per orientare la nostra azione.

Articolo 1 La Terra, casa comune degli esseri viventi

La Terra è un pianeta vivente.
Essa appartiene, come casa comune, a tutti gli esseri viventi: agli esseri umani, agli animali e alle piante. Appartiene anche alle generazioni future, alle quali la nostra generazione ha il dovere di garantire, con la continuazione della storia, che esse vengano al mondo e possano sopravvivere. L’umanità fa parte della natura. La vita e la salute del genere umano dipendono dalla vitalità e dalla salute del mondo naturale e degli altri esseri viventi, animali e vegetali, che insieme agli esseri umani formano una famiglia accomunata da una stessa origine e da una globale interdipendenza.

Articolo 2 Le finalità della Federazione della Terra
I fini della Federazione della Terra sono: garantire la vita presente e futura sul nostro pianeta in tutte le sue forme e, a questo fine, porre termine alle emissioni di gas serra e al riscaldamento climatico, agli inquinamenti dell’aria, dell’acqua e del suolo, alle deforestazioni, alle aggressioni alla biodiversità e alle sofferenze crudeli inflitte agli animali; mantenere la pace e la sicurezza internazionale e, a questo fine, mettere al bando tutte le armi, nucleari e convenzionali, sopprimere gli eserciti nazionali e così realizzare il disarmo degli Stati e delle persone e il monopolio della forza in capo alle sole istituzioni di polizia; promuovere fra i popoli rapporti amichevoli di solidarietà e di cooperazione nella soluzione dei problemi globali di carattere ecologico, politico, economico e sociale e, a questo fine, garantire l’uguale dignità di tutte le persone e la conservazione e la tutela di tutti i beni vitali; realizzare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani nei diritti fondamentali e, a questo fine, introdurre, in capo ad adeguate istituzioni e funzioni globali di garanzia, gli obblighi di prestazione e i divieti di lesione che a tali diritti corrispondono come loro garanzie.

Questo articolo, con altro titolo, è uscito il 24 gennaio sull’edizione online di Azione nonviolenta

Per leggere tutti gli articoli di Daniele Lugli è sufficiente cliccare sul suo nome sotto il Titolo.

VITE DI CARTA /
La “Vita Nova” di un uomo di oggi: leggendo “Nova” di Fabio Bacà

Ho tra le mani un libro e ne ho appena finita la lettura: Nova di Fabio Bacà è uscito lo scorso settembre ed è il secondo romanzo di questo autore di origini abruzzesi, dopo Benevolenza cosmica del 2019.

Entrambi i romanzi sono editi da Adelphi. Quando un’altra scrittrice abruzzese che amo particolarmente, Donatella Di Pietrantonio [Qui], mi ha consigliato di leggere Nova e di conoscerne l’autore, non ho posto tempo in mezzo. Presa dallo zelo di corrispondere anche così all’empatia che si è creata tra di noi nel recente bellissimo incontro a Ferrara.

nova fabio bacàHo letto il libro a tappe regolari, né bevendolo d’un fiato, né centellinando poche pagine per volta. Ho letto con curiosità costante, perché la storia di Davide Ricci, il protagonista del romanzo, è davvero particolare.

Non è solo così, dovevo dire che la lingua con cui è raccontata la storia di Davide Ricci è decisamente attrattiva: erudita e dal registro formale raffinato ma con molte sfumature ironiche e una precisione definitoria che appaga. Una lingua così mette in ordine il creato, ne fotografa gli elementi e li colloca senza sbavature al loro posto.

La storia di Davide Ricci è la storia di un cambiamento radicale. Davide, stimato neurochirurgo di Lucca, conosce la prima volta Diego, maestro zen, mentre questi sta difendendo sua moglie Barbara da un ubriaco che la importuna dentro al ristorante in cui Davide è appena arrivato per pranzare con lei e il loro figlio Tommaso.

Mentre lui è bloccato dal timore e dalla vigliaccheria, Diego agisce e, usando la forza, attacca al muro l’aggressore e sfodera un coltello. Conoscere Diego rappresenta per Davide “lo strappo nel cielo di carta”, che accade a Mattia Pascal nel celebre e paradigmatico romanzo di Pirandello: è la perdita progressiva delle sue sicurezze, dei valori su cui ha fondato la vita personale e famigliare.

Diego lo conduce fuori dalla quiete rassicurante della sua vita borghese e lo mette di fronte a una realtà diversa, di cui la violenza è parte integrante. Lo avvia a un percorso di consapevolezza che gli rivela la natura ultima dell’essere umano, il lato oscuro e primitivo che ci accomuna tutti.

Conosco quello che si prova quando la vita ci toglie qualcosa di colpo, quando siamo sopraffatti da una distorsione netta rispetto al tracciato delle nostre giornate. Perciò sono stata attratta a leggere quello che accade a Davide nelle settimane che seguono l’episodio truce al ristorante.

Gli si presentano nuove seccature nella vita quotidiana, soprattutto si  riaccende il contenzioso con il vicino di casa per una questione di rumori notturni, e il vicino che ne è causa col suo locale notturno finisce per minacciare Davide e neanche troppo velatamente.

È la miccia che si accende nella mente del protagonista, a cui segue la salita in superficie di pulsioni violente, dell’accettazione del conflitto come parte ineludibile della vita. Diego lo accompagna ad averne la consapevolezza, a prendere atto dei propri impulsi e non a reprimerli come ha fatto da sempre. Lo avvia alle arti marziali, dove il combattimento diviene uno strumento per dominare l’aggressività, per incanalarla verso la ricerca di sé, verso il perfezionamento.

Il romanzo finisce con una sequenza di violenza collettiva, di cui sono parte anche gli altri protagonisti della storia: a un importante concerto a Lucca si ritrovano Davide con moglie e figlio, gli amici, Diego, il figlio del vicino di casa, la folla che è venuta a sentire i Pet Shop Boys. Quando Giovanni, il figlio del vicino, si avvicina platealmente a Davide per aggredirlo, noi assistiamo al cambiamento che è avvenuto in lui, perché decide di battersi…

La nova a cui allude il titolo è esplosa in lui, come fa una stella quando deflagra per l’eccessivo accumulo di idrogeno sulla sua superficie e diventa così più luminosa che mai.

Ha dato ascolto al Potere che è in lui: quando ha chiesto a Diego cosa esso sia esattamente, Diego gli ha risposto che lo sa benissimo, lo ha sempre saputo. Anche se lo ha tenuto represso, lo ha neutralizzato, secondo le regole del vivere civile. Lo ha voluto alienare da sé, come accade alla cultura occidentale, che relega la violenza in un altrove di comodo.

Aprendo il libro mi è venuta spontanea una interpretazione del titolo un po’ diversa. L’ho collegato alla Vita Nova di Dante [Qui], l’opera giovanile in cui il poeta incontra Beatrice all’età simbolica di nove anni e, da quello “strappo nel cielo di carta” in poi, si purifica attraverso il sentimento dell’Amore, innalzandosi alle vette della Filosofia e della Teologia.

Ho pensato anche a nova come all’aggettivo della lingua latina che, declinato nei casi diretti del genere neutro, al plurale vuol dire le novità.

Forse non ho del tutto sbagliato: la stella che esplode entra in una fase nuova, come lascia intendere la parola latina; anche la vita di Davide Ricci assume una piega del tutto diversa, quando accetta la lotta finale e quando, nella pagina conclusiva in una stanza di ospedale, è davanti al corpo di Giovanni, in coma, e deve prendere la decisione estrema: salvarlo o salvarsi staccandolo dal ventilatore che lo tiene in vita.

Pensa: “Ora so che l’universo è infinito perché contiene tutto l’odio generato dalla razza umana dall’inizio dei tempi. Questo è ciò che siamo. Questa è la sostanza di cui siamo fatti: sangue, furore e detriti di sogni al confine tra sonno e veglia”.

Dall’altra parte, se ho richiamato un’opera come quella dantesca ho riconosciuto l’elemento di novità che è in lei. È la direzione del cambiamento a fare la differenza: l’esperienza amorosa di Dante giovane punta verso l’alto, mentre nel romanzo di Bacà il movimento va al centro della natura umana, mi verrebbe da dire che punta verso il basso.

Sono figlia della cultura occidentale e dei classici che ho studiato dalla adolescenza in poi, rifuggo dall’uso della violenza e ne prendo le distanze ogni volta che la storia me la fa incontrare, ogni volta che la cronaca di questi anni e giorni me la mette sotto gli occhi.

Ho bisogno di pensare ancora alla intera parabola a cui va incontro in questo libro un uomo pacifico come Davide:  la sua preparazione culturale, la sua ironia, le difese che si è creato per stare nel mondo mi hanno fatta sentire a casa.

Seguendo le fasi della sua trasformazione ho pensato che paiono plausibili nella loro progressione, che il pensiero zen le soccorre come una robusta rete epistemologica e Davide cade in modo conseguente verso la legittimazione della violenza. La storia è ben scritta ma che storia!

Sento che mi occorre altro tempo per pensarci. Non mi arrendo a che la violenza sia cittadina del mio mondo e dentro al mio cervello. Voglio rimanere ancora come è stato Davide nella situazione iniziale del romanzo. Ma ci penserò.

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