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Giorno: 29 Gennaio 2022

Biblioteche: partecipazione vera o finta?
L’Amministrazione Comunale di Ferrara preferisce decidere da sola.

 

Finalmente è  arrivato il momento della partecipazione?!?
Abbiamo appreso dalla stampa cittadina che, nei prossimi giorni, partirà il progetto “Cara biblioteca”, organizzato dall’Amministrazione comunale di Ferrara e volto a coinvolgere i cittadini nella definizione del futuro del sistema bibliotecario comunale. Parrebbe una buona notizia, dopo l’insistenza con cui, in vari modi, da più di 2 anni, bibliotecari, cittadini, Associazioni che hanno a cuore le politiche culturali nella città avevano sottolineato la necessità di procedere in questa direzione.
Di criticità, però, a questo proposito, ce ne sono molte e non si può certo dire che siano il prodotto dei soliti malcontenti o che giungano improvvisati.

In primo luogo, quest’ascolto dei cittadini, organizzato tramite 5 assemblee, avviene a valle della decisione dell’Amministrazione Comunale di esternalizzare le biblioteche Rodari di viale Krasnodar e Luppi di Porotto, avvenuta nei mesi passati.
Esternalizzare, o sarebbe meglio dire, privatizzare 2 delle 6 biblioteche esistenti nel territorio comunale non è un fatto di poco conto. Ha significato cambiare volto al sistema bibliotecario ferrarese nel senso di un evidente disinvestimento e deresponsabilizzazione dell’Amministrazione comunale in questo settore.

Logica avrebbe voluto che una scelta di questo tipo, come peraltro richiesto in tante occasioni e da molti soggetti, dovesse eventualmente avvenire dopo aver messo in campo un reale processo partecipativo e di ascolto dei cittadini. Decidere prima e chiamare poi a discutere, se è ancora possibile poter dire la propria su questo cambiamento, non depone certamente a favore della bontà e delle reali intenzioni di chi oggi promuove questo percorso.

Ancor più, vale la pena ragionare su come esso si dovrebbe svolgere.
Al di là del coinvolgimento assembleare e della sottolineatura dell’importanza dell’ascolto, passaggio certamente importante e che si spera venga promosso non solo con l’informazione tramite articoli di stampa, occorre chiedersi cosa vuol dire realizzare una reale partecipazione
Se s
i intende, cioè, la reale possibilità per i cittadini, in termini individuali ma anche collettivi, di poter contare nella formazione delle decisioni. Oppure essi siano semplicemente chiamati ad esprimere un’opinione che non è dato sapere quanto potrà essere tenuta in considerazione e tantomeno influire nelle nelle scelte che si andranno a compiere.

Non mi si dica che dire ciò significa avere una posizione pregiudiziale o essere animati da uno spirito sospettoso. Basta ragionare su ciò che è successo negli anni passati, quando sono stati utilizzati varie forme e strumenti, compresi quelli  previsti dallo Statuto comunale, per sollecitare l’Amministrazione comunale ad attivare una seria partecipazione e discussione.

Nei mesi di ottobre e novembre del 2019 è stata promossa, da parte dell’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori delle biblioteche, con il sostegno dei sindacati di categoria CGIL CISL UIL, una petizione rivolta all’Amministrazione comunale che chiedeva di dar vita ad una nuova e importante struttura bibliotecaria nell’area Sud della città, procedere ad assunzioni adeguate di personale comunale e rinnovare il modello bibliotecario.

Sulla petizione sono state raccolte più di 2000 firme e, da parte dell’Amministrazione comunale, sono arrivate solo risposte generiche, ma nessun impegno concreto.
Sull’ipotesi di una nuova struttura bibliotecaria nell’area Sud della città, assistiamo all’alternarsi, quasi con un andamento carsico, di dichiarazioni di intenti e assenza di iniziative fattive in proposito.
Sulle assunzioni di bibliotecari comunali, a fronte dell’uscita progressiva degli stessi per il pensionamento, non si procede neanche alla loro sostituzione integrale.
Sulla assoluta necessità di un nuovo modello bibliotecario all’altezza dei tempi, di cui non si intravede neanche l’ombra di un impegno in questo senso.
Analogo destino l’ha subito un’altra petizione, promossa nella primavera del 2021 dal Gruppo cittadine e cittadini a difesa delle biblioteche, su cui si erano registrate un migliaio di adesioni individuali e più di 30 tra Associazioni e organizzazioni sociali e culturali, per certi versi ancora più circonstanziata nei contenuti e tanto più ignorata.

In ogni caso, se l’Amministrazione comunale è seriamente intenzionata a portare avanti un reale percorso partecipativo, lo può dimostrare con i fatti.

Esso, infatti, per essere tale, oltre al momento dell’ascolto, si regge se ha almeno altri due punti di svolgimento.
Il primo è quello, una volta terminata la fase di espressione delle domande e dei bisogni, di dar vita ad un Tavolo partecipativo, promosso dall’Amministrazione comunale, cui chiamare Associazioni e soggetti interessati alle politiche culturali nella città, rappresentanze dei cittadini che hanno partecipato alle assemblee preparatorie, gli stessi bibliotecari, il cui ruolo è fondamentale e sarebbe certamente sminuito se rimanesse limitato ad un incontro preliminare, come quello rivolto agli utenti.
Tale Tavolo dovrebbe avere il compito di elaborare proposte e allargare la discussione, chiamando anche “esperti” e confrontandosi con altre esperienze esistenti al di fuori della nostra città e che si cimentano con il tema di costruire sistemi bibliotecari adeguati agli anni che stiamo vivendo.

Da lì dovrebbero scaturire le linee di un nuovo progetto per disegnare il futuro del sistema bibliotecario a Ferrara, che poi – ed è questo il secondo punto di ulteriore sviluppo di un meccanismo partecipativo – andrebbero riportate alla discussione di tutti i cittadini interessati, con una nuova tornata assembleare.

Sono questi i basilari e sperimentati passaggi su cui si fonda una partecipazione capace di dare protagonismo ai soggetti interessati: ascolto e esplicitazione dei bisogni, costruzione di un’ipotesi di progetto di intervento, verifica della stessa attraverso una discussione larga.

Se non ci si incammina su questa strada, vuol dire che siamo di fronte ad un’idea di partecipazione guidata dall’alto, che serve solo ad autolegittimare le scelte di un’Amministrazione autoreferenziale e nessuna intenzione di tener conto di quello che pensano i cittadini/utenti e le persone che lavorano nel sistema bibliotecario.

Un modo di procedere che abbiamo già visto in passato, con Amministrazioni precedenti, e che si conferma oggi. Sul nodo biblioteche ma anche su altre questioni e situazioni.
Sembra che, da un po’ di tempo in qua, da piazza Municipale in molti si esercitino a magnificare la partecipazione e, contemporaneamente, lavorino per depotenziarla e renderla inoffensiva, rendendo residuale il ruolo dei cittadini, delle Associazioni, dei soggetti sociali e dei lavoratori.
E lo sappiamo bene, senza un vero protagonismo, nessun progetto, anche il più innovativo, riesce realmente a decollare e vivere.

Allora sì, come giustamente ha rilevato Ranieri Varese qualche giorno fa, saremmo solamente di fronte all’ennesima conferma che non c’è una volontà di assumersi responsabilità, capacità di progettare il futuro, rilanciare una forte presenza pubblica nel sistema culturale e bibliotecario della città.

Per leggere tutti gli articoli di Corrado Oddi è sufficiente cliccare il suo nome sotto il titolo.

PRESTO DI MATTINA
Liturgia come poesia

“Amor dammi l’Amore!”: un mormorio
Di gente in pena. L’Ostia, in alto, casta
Attrae i cuori: “Sì, vivere è Cristo”
(C. Rebora [Qui], Le poesie, Milano 1988, 271).

Quale liturgia per il cambiamento d’epoca? Una liturgia come poesia.

Nella poesia come nella liturgia c’è qualcosa che ha la forza di risvegliare la coscienza, di farla uscire dall’oblio e portarla in presenza del reale. Anzi l’immerge in esso, facendola poi riaffiorare fuori dalle nebbie romantiche e dalle forme senz’anima, estetizzanti, come di chi si guarda allo specchio e poi se ne va, spettatore smemorato della vita.

Liturgia e poesia aprono gli occhi della coscienza al mondo. Sono soglia che introduce alla presenza dell’Altro/d’altri come realtà viventi, concretissime. Esse ridestano lo spirito dal letargo dell’indifferenza, smuovendo la cenere nichilista, che spegne la brace fumigante, che spezza la canna incrinata, che rinchiude nei concetti e nei ruoli la persona rincorrendo fantasmi.

Vocazione di entrambe è strutturare legami, dare forma alla personalità, risvegliarla alla decisione della libertà di prendere parte ai destini umani con cui ci si intreccia.

«Risveglia la tua potenza e vieni» (Sal 80), sembrano allora dire con il salmista anche la liturgia e la poesia al mistero che portano in grembo. Mistero di povertà e ricchezza, di forza e debolezza, di dolore e gioia, perduto e sempre ritrovato, celato ma sempre risorgente: portatrici dello Spirito che abita ovunque la realtà.

L’azione dello spirito non impone, non sequestra la libertà, ma la libera, dischiudendo in essa una sorgente che nasce da lei e perciò le appartiene. Scrive Romano Guardini [Qui]: «Egli tutto scruta, è lo Spirito della disciplina e della pienezza. Tutto è affidato a Lui, Egli è la Luce e l’Amore; risveglia l’Amore e solo l’amore vede con chiarezza; ordina l’amore e fa sì che diventi verità in cui luminosamente si scorgono le esigenze di Cristo e del Regno; opera l’essere veri nell’amore», (Il senso della Chiesa, Brescia 1960, 101-102).

Cade così il muro, l’individualismo che si frappone tra le persone. Ritorna a farsi sentire il mondo interiore dell’altro, l’interiorità della storia come concretezza, come dato: non già come idea o visione, ma come realtà effettiva e affettiva, risvegliata dall’esserci in presenza d’altri, rendendo così possibile nella comunanza la piena socialità delle personalità.

Lo spirito della liturgia e quello poetico sono in noi con un venire sempre nuovo, determinano al nostro fianco una crescenza, un sempre nuovo avanzare.

Di più. Entrambe risvegliano «l’aspirazione per l’altro, la nostalgia di scoprire un altro uomo anche “di là”. Si risvegliava il desiderio di comprensione e di colleganza… La comunanza rettamente intesa non rende comuni né volgari, come accade con quella falsa. È felicità, è fonte di forza; mette alla prova la forza di resistenza e insieme la docilità del nostro essere personale. La nobile comunanza è nobile compito e opera elevata» (ivi, 107; 109).

Guardini scrive questo testo per una conferenza nel 1922, proprio cent’anni fa. Eppure già allora egli percepiva con la sua sensibilità di credente «il risveglio della chiesa nelle anime» − espressione divenuta famosa − indicando la consapevolezza d’una nuova stagione nella storia della Chiesa.

Il credere e il suo pensarsi sbilanciato sul versante intellettualistico, individualistico e pietistico nella controversia illuministica si risvegliava in quello dell’esperienza dello spirito, dellaffectus che convoca in presenza dell’amore la comunità per rinnovarla.

La fede tornava a comprendersi come accoglienza di una realtà amabile e amante: «ciò che si presenta alla coscienza del credente non è propriamente una ‘verità’, o un ‘valore’, bensì l’accoglienza di una realtà, quella del Dio santo nel Cristo vivo», (Il Signore, Brescia 2005, 264).

Si risvegliava la coscienza della Chiesa come realtà vivente, Corpo di Cristo, di cui ogni singolo credente è chiamato in quanto battezzato ad avere parte al triplice dono/compito profetico sacerdotale e regale di Cristo, e a misurarsi di nuovo con la realtà del mondo in un’attiva e amorosa partecipazione.

Per questo il Concilio dirà della liturgia essere culmine e fonte della vita della Chiesa, luogo di una «actuosa partecipatio» al mistero pasquale/eucaristico, «sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità», (SC 47-48).

Liturgia: l’opera che appartiene a tutto il popolo, opera sua e per tutti dice l’etimologia, un azione trasformante, a partire dalla realtà stessa posta in relazione.

Già lo aveva preconizzato Romano Guardini quando scriveva: «La liturgia è integralmente realtà. Si distingue da qualsiasi pietà di solo concetto o di sentimento, dal razionalismo e dal romanticismo religioso. Il fedele vede in essa realtà terrene, uomini, cose, azioni, oggetti – e insieme il Cristo reale, la Grazia reale. La liturgia non è solo pensiero, né solo sentimento; è prima di tutto un addivenire all’essere, un nascere, maturare, essere. La liturgia è un divenire fino al compimento, uno svilupparsi fino alla maturazione», (Il senso della chiesa, Brescia 1960, 36-37).

La liturgia e la poesia ci sono date «per vivere sotto lo sguardo di qualcuno», che ci risveglia e ci fa crescere: esse ci mettono in presenza dell’altro per poter vivere e dimorare in esso.

L’azione liturgica è come fare «un gioco dinanzi a Dio, non creare, ma essere un’opera d’arte, questo costruisce il nucleo più intimo della liturgia… Essere artista significa lottare per esprimere la vita profonda, affinché, espressa che sia, essa possa esistere. E null’altro: ma non è già molto questo?

È niente di meno che un’imitazione della creatività divina, della quale si dice che abbia fatto le cose ut sint, perché semplicemente esistano. La stessa cosa fa la liturgia. Anch’essa ha cercato con cura infinita, con tutta la serietà del bambino e la coscienziosità rigorosa del vero artista, di dar espressione in mille forme alla vita dell’anima, vita santa alimentata da Dio, mirando a null’altro se non a che essa vi possa dimorare e vivere…

La liturgia ci è data per vivere sotto lo sguardo di Dio. Agire liturgicamente significa diventare, vivente opera d’arte dinanzi a Dio, con nessun altro scopo se non d’essere e vivere proprio sotto lo sguardo di Dio… La liturgia non è, nella sua essenza, religione di spiriti colti, bensì di popolo», (Lo spirito della liturgia, Brescia 1996, 80-81).

Per Paul Ricoeur [Qui] «il linguaggio poetico cambia il nostro modo di abitare il mondo. Dalla poesia noi riceviamo un nuovo modo di essere nel mondo, di orientarci in questo mondo», (Cit. in M. Campedelli, Un incontro sulla soglia: poesia e liturgia, RTL 274 2009, 61).

Vivere la liturgia significa allora abitare poeticamente la realtà, proprio come il poeta che si libera dalla visione ordinaria delle cose, al fine di essere libero per accogliere un nuova presenza, il formarsi di una nuova realtà che lo plasma e la cui parola poetica porta alla luce.

Nella poesia come nella liturgia accade e si esprime uno stato d’animo tale da disarticolare la realtà abituale, il suo orizzonte monotono e impenetrabile, aprendo un varco in essa per far passare un altro modo di vivere nel mondo, di pensare, di sentire, di vedere la vita: una nuova immagine si dà a vedere e toccare, un mondo altro in cui entrare e dimorare.

Il poetico sta alla liturgia come le acque di un fiume carsico. La poesia, intesa come poiesis è abilità a fare, creatività dello spirito dentro la liturgia stessa, generativa dell’esperienza di essere creati e ricreati attraverso le sue parole e i santi segni.

In essa si fa esperienza di quanto riferisce Giovanni nelle lettere: «Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita (poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza), quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi».

Il cuore poetico della liturgia è il mistero pasquale. Da questa nuova creazione la vita, il mondo, il cosmo vengono riaperti, generati a vita nuova. Nella risurrezione viene disarticolata la morte e proprio da essa l’orizzonte di una nuova vita è donata e fatta partecipe a tutti.

Gli scritti del poeta e teologo ortodosso Olivier Clément [Qui] sono stati decisivi per aprire a nuovi orizzonti il mio vivere e pensare la fede. Egli parla della poesia e del suo compito di risvegliare la coscienza alla realtà, quale compito profetico che fa breccia nel conosciuto, nel prevedibile, facendo affiorare l’imprevedibile, il mistero nascosto nell’ordinario, nel feriale orizzonte un orizzonte festivo, parola sempre nuova rivelatrice di una alterità nascosta, ma che invocata si fa presente:

«È compito del poeta − e attraverso questo indubbiamente egli profetizza − provocare un risveglio. I vecchi asceti dicevano che il più grande dei peccati è l’oblio: quando l’uomo diventa opaco, insensibile, talora indaffarato, talaltra miseramente sensuale; quando diventa incapace di fermarsi un istante nel silenzio, di meravigliarsi, di vacillare davanti all’abisso, per l’orrore o per il giubilo; quando diventa incapace di ribellarsi, di amare, di ammirare, di accogliere lo straordinario negli esseri e nelle cose; quando insomma diventa insensibile alle sollecitazioni segrete, anche se così frequenti, di Dio.

Allora interviene il poeta… Perciò la poesia − più in generale l’arte – ci risveglia. Essa ci cala più in profondità nell’esistenza. Fa di noi degli uomini e non delle macchine. Rende solari le nostre gioie e laceranti le nostre ferite. Ci apre all’angoscia e alla meraviglia».

Di seguito poi O. Clement cita un testo poetico di una liturgia nella vita: «L’Umiltà dell’ultima rosa in Achmatova: “Signore, tu vedi quanto sono stanco/ di risuscitare, di morire e di vivere./ Prendi tutto, ma di questa rosa rossa/ possa sentire ancora la freschezza”, In memoria di Bulgakov, 1940», (Il potere crocifisso. Vivere la fede in un mondo pluralista, Mangano [Bi] 1999, 69-71; 73).

Questo per me è lo spirito della liturgia, così è viverla, perché queste parole risvegliano in me quelle umilissime parole, ma traboccanti fiducia, del Figlio amato: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito”. Come rosa rossa che mai appassisce sono le mani del Padre che profumano della grazia fragrante del Risorto dai morti.

Termino così come ho iniziato, con una poesia di Rebora che fa risuonare, ancora oltre, le parole di Anna Andreevna Achmatova [Qui]; a lei grato per continuare a sentire, di quella rosa rossa che per me è la liturgia, ancora oggi, la freschezza.

«Bocciòlo di rosa reciso!
Ma ecco nell’acqua si schiude:
l’effluvio si effonde: il sorriso
dei petali casto si indora.
Nel freddo angusto vasetto
da poca inerte acqua che affiora
donde hai tratto il getto e il vigore?
Come vesti tanto splendore?

Oh cuore del mondo reciso!
Ma ecco la Grazia ti irrora,
l’Amore infinito dilata
il tuo nulla: palpita grande
il Signore, circola il Sangue,
lo Spirito buono ti sana,
con te piange, e in pace t’irradia:
nel mondo ti dà il Paradiso.»
(Le poesie, 412)

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