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Giorno: 9 Marzo 2022

Parole a capo
Вiршi Для України – Poesie per l’Ucraina

 

Quest’articolo raccoglie Poesie per la Pace in Ucraina. L’idea è nata oggi in una discussione sulla chat del Collettivo Poetico Ultimo Rosso da una proposta di Rosaria Munafò. Rosaria ha poi appeso tutte le poesie nel proprio giardino a Cernusco Lombardone (Lecco). Ci è sembrato giusto presentare le poesie del Collettivo, scritte di getto nei giorni scorsi, anche sul nostro giornale, una specie di “numero speciale’ della rubrica Parole a capo. All’inizio della micro antologia abbiamo inserito la bellissima poesia “Ho dipinto la pace” della israeliana Talil Sorek. Il testo è stato scritto nell’ottobre del 1973, durante la guerra del Kippur, quando Talil era una ragazzina di 13 anni. Chiude la raccolta la celebre “Ninna Nanna” di Trilussa, recitata dall’indimenticabile Gigi Proietti.
(Pier Luigi Guerrini e Ambra Simeone)

Per seguire e /o aderire alle iniziative del Collettivo Poetico Ultimo Rosso seguite la pagina Fb [qui]
O scrivete a: lultimorosso.ferrara@gmail.com

Ho dipinto la pace
Avevo una scatola di colori

brillanti, decisi, vivi.
Avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, altri molto freddi.
Non avevo il rosso
per il sangue dei feriti.
Non avevo il nero
per il pianto degli orfani.
Non avevo il bianco
per le mani e il volto dei morti.
Non avevo il giallo
per la sabbia ardente,
ma avevo l’arancio
per la gioia della vita,
e il verde per i germogli e i nidi,
e il celeste dei chiari cieli splendenti,
e il rosa per i sogni e il riposo.
Mi sono seduta e ho dipinto la pace.

Talil Sorek

Alla fine
di Annarita Boccafogli

Alla fine
scopriamo sempre
le stesse verità.
In ogni tempo
e luogo
dov’è saggezza
raggiunta,
lavorata dalla ricerca
profonda e alta
del senso della vita.
La forza dell’amore
la conquista del silenzio
il coraggio del vivere
la costruzione della Pace.
Sapersi parte
oltre il proprio confine
molecola di umanità
di natura e mistero,
saper onorare.
Perché
non impariamo mai
Perché
sempre gli stessi errori?
Il mio cuore 
di Lidia Calzolari

Il mio cuore
spinge e piange
tumultuoso
si accalca
vicino al petto
Assedia il torace
Implora solo pace

Oggi 26 febbraio 2022
di Franco Mosca

Mi viene incontro una nonna
tiene per mano la sua nipotina

vestita di bianco
recita una allegra filastrocca:

“il gallo fa
chicchiricchì
la gallina coccodè

e tutto il mondo canta con me!”
la filastrocca vola nel cielo

e tutti i cannoni a bocca
aperta perdono la voce!

Volassero colombe
di Paola Sarcià

Volassero colombe
nel cielo di Kiev

candide

inattese fioriture

sulle strade polverose
di macerie
perle lucenti, gli occhi
respirerebbero pace

Guardo i miei fiori
di Roberto Dall’Olio

Guardo i miei fiori
Non sono miei
Sono della terra
Delle api
Della luce
Guardo l’alba
Di giorno
Bombe esplose
Tragica alba
È anche mia
Solo mia
Solo noi umani
Diventiamo
Disumani
Guardo i fiori
Si staccano
Volano sul mare
Dei morti
Tappano i cannoni
Le rose
Scendono sulle bombe
Le disinnescano
Fanno piangere
I signori delle armi
Non potranno più
Venderle
I fiori si sono ribellati
Ci hanno portato
Il colore
Della pace
E un sogno?
Si lo è
Audace
Chissà se ancora vive
di Roberta Barbieri

Chissà se ancora vive
la maestra di Vladimir, se ricorda la volta delle botte
coi compagni.
E lei a sanare la zuffa
dando insegnamenti.
Chissà se la madre e il padre
vedono Vladimir
da un qualche punto del mondo,
questo o un altro.
Chissà da chi e quando
ha appreso a giocare
senza regole,
inventando scorciatoie per la vittoria.
A tutti i costi, senza più il lume della umanità.

A pensarci bene non scrivo poesie sulla “Pace”
di Rosaria Munafò

A pensarci bene non scrivo poesie
sulla “Pace”

ho la poesia pacifica
a sprazzi
nell’anima silente
ogni tanto cinguetta per la fame e la sete
come un passerotto che
apre la bocca a mamma passera
dall’albero dove annuncia la libertà
si alza in volo
il ramo si lascia andare
è pronto
germoglia al suo spiccare
di ali
verso il cielo limpido
senza polvere di guerre
Non sei una bestia uomo
di Cristiano Mazzoni
Non sei una bestia uomo
nessun animale uccide per il potere
nessun essere è assetato di sangue
quante te.
Nasci nella natura e con lei,
poi dopo il primo passo
dell’evoluzione
impari a fare la guerra.
Sei un essere schifoso
mandi a morte i tuoi figli
affami i tuoi simili
per stare seduto su quel trono.
Nessuna evoluzione
ti ha trasformato in meglio
sei sempre e solo peggiorato
non sai vivere in pace.
Una volta almeno stavi sul campo
di battaglia,
ora dici falsità
ad una telecamera.
Sei un essere pavido
ti fai scudo dei più deboli
ti sei inventato le parole democrazia
per uccidere meglio.
La tua arroganza
la tua faccia da eroe
non nasconde ciò che sei

un essere immondo, senza dignità.

La Pace
di Francesco Loche

Buio
di una notte fredda
urla
il tuono della morte
L’anima frantumata
in domande mute
paura senza respiro.
Il mondo muore
di insensate ragioni
nemmeno la salvezza
di una lacrima.
Buio
di una fredda notte
e sogni tiepidi
nel silenzio che attende
la nuova luce.
Occhi sbarrati
mani che tremano
e voi
uomini dal potere malefico
uccidete la speranza
e lordate il futuro.
E silenzio
dietro quegli occhi
senza parole
ora.
Viene ucciso
lo spirito dei popoli:
la loro PACE!
Solo guerra
di Roberto Paltrinieri
Sono un segno nell’acqua.
Ma posso portarti
musica
un cuore viaggiante
turbamenti dell’anima
per imparare
per ripartire.
Solo con la Guerra
non posso portare
nessuna musica
nessun viaggio
nessun turbamento del cuore.
Solo Guerra!

ll tempo della guerra
di Olmo Losca

C’è stato un tempo
della case spianate
delle bombe sganciate
festeggiate con lo champagne

Era il tempo del generale
della mancanza del pane
del lager accettato
della disperazione della fame

C’è stato un tempo senza sole
armonia dimenticata
gelo senza scampo
odore di morte

Era il tempo della guerra
dei fili spinati
di corpi congelati
vestiti di dolore

C’è stato un tempo
del pianto dei bambini
isolate note
mai ascoltate

E tutto questo passato
intriso di brutalità
non è mai finito
è solo coperto dalla pubblicità.

In tempo di dolore
di Maria Mancino

Scene taglienti
annunciano tragedie
al ritmo disordinato
di un tremante delirio
la sequenza è incomprensibile
il significato penzola
dal cappio del tormento
e non c’è consolazione alcuna
nel vuoto di una domanda
Si arrende anche l’unico spiraglio
che in affanno scandiva gli attimi
l’orologio appeso al muro
ferma il tempo
in tempo di dolore
Nuova alba
di Cecilia Bolzani
Ascolto gli scoppi
vedo l’attacco
i fuochi
i ferri contorti
Il mio cuore
attonito
grida
Pace!
La notte squarciata
da luci arancioni
chimiche
tossiche
Il mio cuore
attonito
grida
Pace!
Natalia piange
suo figlio
al fronte
Olga cerca
con le bimbe
un futuro
altrove
Svetlana
alla radio
da un rifugio
continua a
parlare
Risuona
l’urlo nero delle madri…
Cuore
Mente
Pancia
chiedono
Pace!
Orsacchiotto (Vedmedyk)
di Silvia Lanzoni
Al vecchio cappotto
manca un bottone
stringi nella piccola mano
il tuo vedmedyk
te lo portò
tuo padre in dono.
Corre il drago di fuoco
stelle d’acciaio
tagliano il cielo
ripenso
a quel giorno lontano
non riesco ancora
a dire perdono.
Giorni terribili
di Sonia Tri
Giorni terribili. Ho davvero paura,
come tutti però. Il problema è che non si può
farsene una ragione. La guerra non è una malattia.
E’ la forma demoniaca della libertà.
Il suo esistere improprio, più comune.
Più facile agli uomini di ogni tempo.
Ma quelli che non la vogliono di che tempo sono?
Un tempo fuori tempo? Un’allucinazione ?
Di quale sintesi esistenziale?
Amico mio, portami sulla tua collina di parole
e ricordi materni. Di poesie mai lette
ed altre ancora da scrivere.
Forse, ci salveremo.
di Lucia Boni
e fossero davvero solo ombre fatte per gioco
e noi piccole figure con candele ai piedi
per gioco
e le ombre si muovessero nei
neri brusii e brevi soffi e sibili e rimbombi
che finiscono presto in un :”bu” di sorpresa
e che tutti noi potessimo con questo
scoppiare in una gran risata
per far sparire con la luce
tutte le paure
prove di emozione
solo per gioco
fossero solo ombre fatte per gioco
saremmo venuti qui
con i nostri migliori abiti da festa
nero da sera
tutto trine e raso
trasparenze d’organza e morbido velluto
e pendagli coi fiocchi
e il nostro gesto come una danza
solo per muovere le ombre
di quel nero da festa
fatto di vibrazioni di tutti i grigi dei misteri da scoprire chiusi dentro uno scrigno
non vorremmo esperienza che delle ombre del gioco
ombre di noi che
lunghe
ci camminano al fianco
e nella danza
i pendagli e le trine e le trasparenze dei nostri sontuosi copricapo di piume e foglie
solo per gioco
sono come i rami
che con la brezza sfiorano i muri
e pare vogliano rappresentare spettacoli orientali solo per gioco
ombre sul muro alto
e ci domandiamo
solo per gioco
chi comanda
siamo noi che danziamo le nostre movenze o sono loro e noi solo copiamo
e chi ha cominciato?
e si fa un litigio con la nostra ombra
ma è solo per gioco
e si gioca al lupo con le mani
ombre che aprono le dita e si mangiano “am” il coniglietto dove le orecchie lunghe sono le due dita
e tutto il divorare si risolve presto in una gran risata
fossero ombre che per gioco vengono e vanno
Onore ai suoi versi
di Silvio Valdevit Lovriha
“Guarda i miei mobili tutti bruciati
ho lavorato una vita per comprarli
adesso vedi ci camminiamo sopra,
in un momento sono andati.
Cosa sarà di noi povera gente
finiti in miseria, senza più niente?
E quanti corpi dilaniati da questa guerra
guarda quanto sangue qua per terra;
io resto a Kiev, non vado via,
è tutta distrutta ma questa è casa mia”.
Così ha parlato un’anziana signora:
ha detto queste amare parole
non in tempi antichi,
le ha gridate a noi ora!
Trilussa, Ninna Nanna, letta da Gigi Proietti

 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

 

Vite di carta /
Il calamaro gigante e i sogni.

 

Nell’incipit del suo Il calamaro gigante, uscito presso Feltrinelli nel maggio del 2021, Fabio Genovesi sostiene che del mare non sappiamo nulla. Vediamo solo la superficie dell’acqua, così come dei calamari conosciamo i minuscoli esemplari che finiscono nei fritti misti dei pranzi domenicali al mare. La mia empatia di lettrice è dilagata mano a mano che sono andata avanti a prendere in carico, una dopo l’altra, 140 pagine incantate, dove i mostri marini insieme ai loro scopritori si alternano alla nonna dello scrittore con la sua vecchiezza saggia e visionaria, ai compagni di scuola, a conoscenti e compaesani.

Il mondo epico dei naviganti negli oceani e quello diseroicizzato e quotidiano della costa toscana, dove vive Genovesi, vanno a braccetto nello spazio e nel tempo, in base a quell’ottica certamente pascoliana di cambiare le gerarchie tra le cose del mondo che mi piace tanto. Un misto di straniamento e sapienza infantile che fa scintille di ogni episodio narrato.

Ma andiamo con ordine. Il capitolo iniziale, primo di undici, ci introduce al viaggio che l’autore vuole proporci: un viaggio alla scoperta delle profondità marine, in cui dobbiamo avere la mente aperta a cogliere tutte le meraviglie più incredibili degli abissi. In totale disponibilità, quella che fa dire “del mare non sappiamo nulla” e per questo dobbiamo essere pronti a deformare il quadro delle nostre conoscenze, a essere allontanati “da ogni nostro punto fermo, dai binari delle certezze solide ed eterne che abbiamo impiegato tanto tempo a inventarci”.

Lo scrittore ci guida durante il viaggio nella doppia veste di io narrante, che ricostruisce i tanti avvistamenti del calamaro gigante avvenuti negli oceani dal XVII secolo a oggi, e di io narrato, quando ricorda di avere disegnato come animale preferito proprio lui, il bestione degli abissi, e di avere sollevato le risa della sua classe alla scuola elementare. Nonché il lancio di matite, gomme e pennarelli.

Tutto il libro nei restanti dieci capitoli si espande alle vastità marine e alle capitali europee, dove le Società Scientifiche tendono a negare le scoperte del calamaro – detto anche Kraken  – e di altre creature inaspettate, mostrando una cecità accanita contro l’evidenza delle prove che i naviganti possono produrre dei tentacoli enormi del calamaro o di altre sue parti. Ciascun capitolo poi ritorna, come fa la risacca del mare, sulle coste toscane e fa un giro tra le conoscenze dell’autore per trovare conferme e analogie sulla condotta umana.

Gli uomini possono dividersi in due categorie: da una parte ci sono “quelli che nella vita non si fanno domande, vanno dritti senza guardare l’immenso intorno che c’è, e se devono disegnare il loro animale preferito scelgono il cane, il gatto o al massimo il criceto. E se tu disegni il calamaro gigante ridono e ti prendono in giro”.

In questa categoria possiamo includere perfino un membro dell’Accademia francese delle Scienze, che non crede alla scoperta fatta dalla nave Alecton nel 1861, il cui capitano Bouyer [Qui] durante la navigazione verso le coste della Guyana francese si è imbattuto in un “polpo gigante”, come dicono i giornali dell’epoca, e ha fatto un resoconto preciso dello strabiliante incontro. Questa la sentenza dell’illustre scienziato:  “Un essere del genere non può esistere”, perché sarebbe “una contraddizione delle grandi leggi di armonia ed equilibrio che regnano sovrane sulla natura vivente”. L’episodio ispirerà Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne [Qui] e altri libri, ma viene considerato alla stregua di una favola perché, conclude Genovesi, “quella Cosa gigantesca è inammissibile, è inaccettabile, quindi non c’è”.

Dalla parte opposta ci sono gli uomini che hanno passioni e sogni da inseguire, che non conoscono “la parola assassina ormai”, quella che “ora come allora serve a non partire, non fare, non provare mai a cambiare le cose intorno a noi”. Essi osano scavalcare i limiti della conoscenza per spostarli più in là e si avvicinano a conoscere il creato senza porsi barriere né limiti, avendo con sé l’arma della immaginazione. E credono alle storie.

Ah, le storie. Come le definisce bene Genovesi. Usa proprio il plurale, in quanto noi siamo le storie: “le nostre storie sono scritte in minuscolo ma addosso a noi, e senza di loro semplicemente non saremmo qui. Forse è per questo che da bimbi le amiamo tanto, perché siamo nati da poco ci ricordiamo ancora che sono loro ad averci portato al mondo. Poi cresciamo e non ci interessano più, le chiamiamo favole e smettiamo di ascoltarle, mentre ci roviniamo la vita dietro a favole diverse che si intitolano carriera, prestigio, reputazione, fama, potere…dritti e tristi fino all’ultimo giorno”.

La galleria degli uomini del secondo gruppo, quelli appassionati, per fortuna è lunga e comprende anche figure femminili, misconosciute ma fondamentali nella storia della scienza, come è il caso di Mary Anning [Qui], che nel XVII secolo fa scoperte straordinarie di fossili sulle coste inglesi e solo dopo che è morta riceve il riconoscimento ufficiale del proprio operato dalla Royal Society di Londra.

Tra il 1861 e il 1871 una sessantina di calamari giganti sono stati avvistati nei mari del mondo; dunque il Kraken esiste e le prove diventano inconfutabili. Che animale è il calamaro gigante? Un secolo e mezzo dopo il capitolo 9 ci dice che le conoscenze su di lui a oggi non sono complete: nonostante le innovazioni tecnologiche a supporto della ricerca non si è riusciti a catturarne uno da tenere in un acquario e neppure a studiarlo nel suo ambiente.

Del suo corpo enorme sappiamo che può raggiungere venti metri di lunghezza: la parte più corta è il mantello, contornato da una pinna trasparente utile agli spostamenti e con due enormi occhi che superano i trenta centimetri, adatti per fissare gli abissi. Sotto gli occhi comincia la parte più lunga, “otto lunghe braccia tentacolari, più altri due tentacoli che sono lunghi ancor di più. Schizzano lontano ad afferrare la preda con le ventose che li ricoprono, ognuna orlata da un anello tagliente e dentellato, e la portano alla bocca”. Questo è all’incirca quello che sappiamo, “mentre il resto è ancora un misto di teorie”: quanto tempo vive una creatura così, di cosa si ciba, come si riproduce, se sia un predatore aggressivo, o vive nei fondali a cibarsi tranquillamente di animali morti.

La morale della storia sul calamaro gigante? È sparsa in più capitoli, specie in quelli finali, ed è fatta di frasi sferzanti, quasi degli aforismi che abbracciano uomini, mostri e armonie universali. Tra i mostri finisce anche l’isola che “sembra impossibile ma esiste davvero” ed è di plastica, è enorme pure lei e si trova tra il Giappone e le Hawaii.

Prendiamo la parte seguente, il cui titolo potrebbe essere Il calamaro gigante e i sogni: “Tutti i giorni io ci penso…E in qualche modo quella realtà lontanissima e abissale mi fa vivere bene qua sulla terraferma. Perché magari sono alla stazione e il treno è in ritardo, o in macchina verso un posto che non trovo…Ed ecco che dal nulla scivolo di lato verso questo pensiero, questo sogno che però è verità, e cioè che intanto laggiù nel buio profondo del mare ci sono un capodoglio e un calamaro lunghi decine di metri e pesanti tonnellate, che combattono stretti e insieme danzano nell’abbraccio di tentacoli lunghissimi…Immagino queste due creature enormi che all’improvviso si bloccano, girano i loro grandi occhi da questa parte e mi trovano qui, seduto minuscolo su una roccia del fondale con l’espressione ansiosa. E dalle loro bocche piene di affanno e carne e battaglia, mi chiedono: ‘Oh, che ti succede?’ “

In questa danza universale, a cui prendono parte gli esseri viventi di ogni specie e di ogni dimensione, a partire dagli animali raffigurati come divinità danzanti nelle caverne di Lascaux, se siamo disposti a tuffarci in questa “smisurata meraviglia di cui non sappiamo e non sapremo mai nulla” senza sentirci superiori alla Natura, ma sue parti, allora abbiamo davanti un “orizzonte smisurato, dove niente ha più senso e quindi tutto può averne, tutto può esistere e succedere. Perché se esiste davvero il calamaro gigante, non c’è più un sogno che sia irrealizzabile, una battaglia inaffrontabile, un amore impossibile”.

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari della rubrica di Roberta Barbieri clicca [Qui]

La Russia non è Putin:
immagini della repressione contro i pacifisti russi

 

Mentre l’esercito russo assedia Kiev e i cittadini ucraini si organizzano per una disperata difesa, i governi occidentali provano a mediare per arrivare almeno a una tregua. Intanto in tutto il mondo, e soprattutto in Europa, si susseguono le manifestazioni contro l’invasione voluta dallo zar Putin e per chiedere la pace subito.

Centinaia di migliaia di profughi ucraini (alla fine potrebbero essere 10 milioni) cercano di fuggire dall’inferno ucraino. Anche i corridoi umanitari non sono garantiti. L’artiglieria e l’aviazione Russa continuano a colpire.
E in Russia cosa succede? C’è il rischio che la solidarietà verso il popolo ucraino aggredito e la condanna di Vladimir Putin si trasformi in un sentimento antirusso senza distinzioni. Ma la Russia non è Putin: a Mosca, San Pietroburgo, in tante altre città, migliaia di persone (soprattutto giovani e giovanissimi) scendono in strada per chiedere la pace. sfidando a mani nude le famigerate forze speciali di polizia. Ad oggi sono oltre 10.000 le persone fermate e arrestate.

Alcuni amici russi in Italia – che ho visto scioccati e spaventati da quanto sta succedendo – sono in contatto costante con i manifestanti in patria. Sono loro che mi hanno fornito queste immagini inedite. Dalla Russia, infatti, alcuni giovani fotografi e giornalisti, riescono ad aggirare la censura sempre più stretta che Putin ha imposto ai media e social media, e postano tutti i giorni immagini e video sulle manifestazioni per la pace e sulla dura repressione poliziesca..

Le immagini non richiedono alcun commento. O solo uno: la pace non la vuole solo il popolo ucraino, i cittadini europei, l’opinione pubblica mondiale, ma anche lo stesso popolo russo è oggi sotto il tallone di ferro del dittatore Putin.