Skip to main content

Giorno: 3 Agosto 2022

IL CONCERTO
Ventata di freschezza con “La musica italiana” di Giorgio Poi ai Giardini del Grattacielo di Ferrara

Un’atmosfera bellissima, venerdì sera (29 luglio 2022), sotto i platani giganti del Parco Marco Coletta, i giardini del Grattacielo di Ferrara illuminati con gli effetti scenici del concerto di Giorgio Poi.

I Giardini del Grattacielo di Ferrara durante il Concerto di Giorgio Poi (foto GioM)

Una delle nuove voci emerse nel panorama della musica italiana per l’apertura del “Carino! Festival” è un’occasione da cogliere e la minaccia di pioggia non ha fermato i venti e trentenni assiepati sotto al palco.

Di fatto la pioggia caduta fino a pochi minuti prima ha reso ancor più piacevole trovarsi lì, in un clima inaspettatamente fresco e in una dimensione che sarebbe stata inaspettata fino a poco tempo fa, con tutte le forze sane, creative e attive di Ferrara unite insieme a un’amministrazione comunale di segno teoricamente opposto.

Pubblico al concerto di Giorgio Poi Ferrara (foto GioM)

Tanti studenti e giovani accorsi sotto il palco e trasformati in un’unica onda che si muove al ritmo delle canzoni dell’artista, classe 1986, che ha saputo dare un seguito a quel filone di cantautori nazionali che abbiamo tanto amato, imprimendoci un carattere personale fatto di giochi di parole e ironia, ma anche di delicatezza nel trattare i temi del mondo contemporaneo, dominati da amore e precarietà, inquietudine e una non facile ricerca di futuro.

Giorgio Poi sul palco del “Carino! Festival” a Ferrara (foto GioM)

Il modo di cantare fa ripensare a quella modalità un po’ in falsetto, che ha caratterizzato i brani prima maniera di Lucio Battisti, quelli come “Con il nastro rosa”, quando cantava “Chissà, chissà chi sei /chissà che sarai /chissà che sarà di noi /lo scopriremo solo vivendo /Comunque adesso ho un po’ paura /ora che quest’avventura /sta diventando una storia vera /spero tanto tu sia sincera!”. E di questa eredità Giorgio Poi è consapevole quando canta “La musica italiana”, il brano scritto insieme a Calcutta e che guarda con nostalgia e con autoironia a una relazione passata, con una ragazza che ora vive all’estero. E così, tra i raggi stroboscopici blu del palco, Poi ha cantato “Chissà che cosa pensi/Adesso che sei lontana/Se ti fa ancora schifo/ La musica italiana” ricordando “Le mani nei capelli/Quando partiva Vasco/ Battiato, che paura/Chissà che lingua parla/ Battisti e Lucio Dalla/ Fanno musica di merda/ Calcutta e Giorgio Poi/Madonna che tristezza”, ma chiedendosi anche “E forse chi lo sa/ Se visto da lontano/ Magari è tutto diverso/ Magari ti sembra meglio/ A me per esempio/ Dalla stanza accanto/ Sembra sempre tutto più bello”.

Struzzi e volpi sugli zainetti delle ragazze che ballano sotto il palco e dove fa la sua comparsa anche una delle voci più significative di questi anni Duemila come Vasco Brondi, mentre Poi intona il brano “Missili” scritto con Frah Quintale (“odio quando mi volti le spalle e te ne vai via di corsa/ Mi hai fatto a pezzi la voce/ e adesso non ti parlo più”).

Vasco Brondi al concerto ferrarese di Giorgio Poi (foto GioM)

La serata prosegue con “Supermercato” chiedendosi “E chissà se vai a fare la spesa/ Da sola anche tu” per poi scoprire che “Al reparto erano tutti contenti/Ad annusare i flaconi coi tappi aperti/ Ho fatto un giro tra i sottaceti/ Davanti al frigo dei surgelati/ E in preda a un vortice di emozioni/ Ti ho vista al banco degli affettati”.

Pubblico sotto la pioggia al concerto di Giorgio Poi (foto di Sara Tosi per ‘Ferrara sotto le stelle’)

Poi annuncia quindi che “visto che l’acqua è un tema centrale, la prossima canzone la dedichiamo a questo tema”. Ecco dunque il brano “Acqua minerale” che racconta “Che poi ti gira male, che vuoi fare/ Stavolta non è stata distrazione/ È un’incapacità di adattamento/ La bocca si trasforma in un groviglio/ Se il filo del discorso/ È un rospo da ingoiare/ Con l’acqua minerale/ Un fragile soccorso/ Per ricominciare/ A lasciarsi andare/ A volersi bene/ A sentirsi bene”, ma anche con “Niente di strano” che fa notare “Uh, fuori come piove/ Resta un altro po’”.

Giorgio Poi al clarinetto
Giorgio Poi alla chitarra
foto di Sara Tosi per ‘Ferrara sotto le stelle’

Conclusione con “Giorni Felici”, fatti di “baci con le labbra spaccate” e di “notti sudate a maledire l’estate”, che nel video su YouTube rievoca immagini di quotidiana poesia con uno stile vintage della coppia in fuga nel bosco e tinte pastello di gusto quasi Wes-Andersoniano.

Tutti a casa mentre un papà pachistano si diverte a giocare sulle giostrine con il figlioletto e una famiglia africana corre ridendo sotto il Grattacielo a chiusura di una delle tre serate curate da Officina Meca insieme a Ferrara Sotto le Stelle Festival e Solido con Arci Ferrara, il Comune e il contributo della Regione Emilia-Romagna dentro al grande contenitore della rassegna Giardino per Tutti, che per il secondo anno porta nel quartiere un calendario di eventi musicali a ingresso libero.

Diario di un agosto popolare 4
Nella città deserta

 

NELLA CITTÀ DESERTA
Roma, 3 agosto 2019

Oggi invece esco per andare al mercato. Al mercato si parla poco di politica, ma molto di costo della vita, clima e di paranoie alimentari.

Ma oggi sono pochi i banchi aperti, il caldo ha fatto strage.

E arriva la notizia che la signora caduta ieri non ce l’ha fatta.

“S’è buttata de sotto” dicono. Mi viene un groppo in gola.

Immagino di averla incontrata qualche volta a fare la fila alle verdure o al banco dei salumi, ma oggi nessuno qui se la ricorda.

Mentre torno verso casa, incontro un giovane africano che sta spazzando il marciapiede, proprio quello stesso della disgrazia, solo un po’ più in là.

Mi sorride, come se mi conoscesse.

Vedo che ha sistemato dei barattoli di pelati su due banchetti all’inizio e alla fine del tratto di strada che ha stabilito essere di sua competenza e passa avanti e indietro una scopa di saggina, raccogliendo anche qualche residuo con le mani.

Per una volta non vengo assalito da appiccicosi venditori di calzini e penso: bravo questo ragazzo, perlomeno furbo. Fa qualcosa di utile (il marciapiede è pulitissimo ora, gli altri di fronte invece fanno schifo) e poi non ti costringe a sentirti in colpa se non l’aiuti. Ci metto un euro nel barattolo.

Tornando a casa, penso che avrei potuto chiedergli qualcosa su di lui.

Ma intanto la giornata si riempie di piccoli impegni, il cielo si fa oscuro e comincio a vagare nella periferia in cerca di un motore per la mia auto appena sbiellata tra gli sfasciacarrozze inviperiti per un ennesimo pasticcio del Comune (almeno questo sembra, sentendo la loro campana). Durante il viaggio osservo questo nuovo paesaggio urbano che sulla Casilina si colora di sari indù, hijab mediorientali, camicie coreane e caffettani afro e finisco allo sfascio, dove mi accolgono due che sanno tutto di ogni elemento meccanico di qualunque modello di auto, ma fra loro parlano solo rumeno.

Ne giro cinque e sono tutti con lo stesso schema: il padrone è un romano sulla sessantina, bell’uomo scafato dalla voce roca, tipo macchinista del cinema di una volta. I dipendenti, tutti forestieri.

Alla fine risolvo, trovo un motore intatto in un catorcio di lamiere, con la speranza di aver fatto un affare e il dubbio di aver preso una fregatura.

Sotto una cappa minacciosa e opprimente sfreccio in motorino come in un film di Moretti e mi ritrovo al quartiere Parioli, dove sembra che abbiano sganciato una bomba al neutrone, di quelle che lasciano tutto intatto polverizzando solo gli umani.

Se non fosse che nel vuoto, appare un giardiniere sikh mentre sta potando un’edera rampicante perfetta come fosse in una tavola di Escher e qualche domestico orientale costretto a passare l’estate a passeggiare i cani.

Torno finalmente al mio Prenestino, e davanti al supermercato non trovo più il ragazzo che spazza il marciapiede, ma al suo posto c’è il signor Bonaventura, che in realtà è un ragazzo nigeriano che da è da 4 anni in Italia e da sempre vive esclusivamente di elemosina piazzato lì davanti al supermarket.

Ha un bel sorriso, due cuffiette trendy per sentire musica e un aspetto tutt’altro che da barbone. Decido di fargli delle domande.

Gli chiedo se sta cercando lavoro. Dice che no, nessuno lo vorrebbe. “Perché? Non sai fare niente?”. “Ma no,” dice lui, “in Nigeria lavoravo negli hotel, ho imparato anche a usare una macchina per imbottigliare”.

“E allora che ci sei venuto a fare?” “Ho un fratello in Svizzera, lui là guadagna bene.”

C’è sempre un parente, penso io, che spinge gli altri a partire. Magari millantando successi inesistenti per la vergogna di avere, al contrario, fallito.

“Volevo lavorare anch’io nella ristorazione. Ora da due anni ho perfino il permesso di soggiorno”. “E ti sei messo a cercare?”. “Difficile, dice lui. Tu che lavoro fai? Puoi aiutarmi?”. “Io? Faccio documentari.”

Sguardo di delusione. Mi rendo conto di essere inutile.

“Hai provato con la Caritas?” gli chiedo,

“Una volta, ma mi hanno dato dei numeri di telefono che non rispondono mai”.

Non c’è dubbio, è difficile. Ma ci dev’essere qualcos’altro.

Anzi, c’è sicuramente qualcos’altro.

Con una lettura un po’ diffidente, potrei pensare che a lui, benché quello che fa sia deprimente, convenga tutto sommato restare dove sta a tirar su qualche monetina ascoltando musica nelle cuffiette.

Con una lettura empatica, posso immaginare l’enorme fatica, il viaggio tremendo,

i rifiuti subiti, le vessazioni burocratiche e poi la rassegnazione, ancora più inaccettabile alla sua età.

Non sono neanche così ingenuo da non capire che ci sono omissioni nel suo racconto, perfino un po’ di autocommiserazione per strappare qualche spicciolo.

Ma soprattutto silenzi obbligati da ricatti e gente sopra di lui, che ne approfitta.

Eppure non basta solo un’inchiesta giornalistica sui racket a spiegarmi queste vite sprecate. Credo che per capire Bonaventura, e mille altri come lui, non ci siano mai abbastanza orecchie, perché ognuno di loro è una storia diversa, che ha bisogno di più tempo per essere ascoltata.

(continua il 5 agosto) 

Per leggere tutti insieme i capitoli del Diario di Daniele Cini:

Diario di un agosto popolare


Oppure leggili uno alla volta:

ANDARE PER STRADA E ASCOLTARE LA VITA

STRANI STRANIERI

CORPI DIMENTICATI

NELLA CITTA’ DESERTA

COCCIA DI MORTO

FINCHÉ C’É LA SALUTE

LA BOLLA SVEDESE

STELLE CADENTI

LA METRO, IL BUS E LO SCOOTER

FREQUENZE DISTORTE

CANNE AL VENTO

L’OTTIMISMO DURA POCO

LA TORBELLA DI ADAMO

STORIE IN PELLICOLA /
Corro da te

In una di queste calde serate, ci aspetta una commedia romantica, quella diretta da Riccardo Milani (il fortunato regista di Come un gatto in tangenziale 1 e 2): Corro da te.

Remake fedele di un fortunato film francese del 2018 (Tutti in piedi, di Franck Dubosc), il Jocelyn d’oltralpe è il nostrano Gianni (Pierfrancesco Favino), un cinquantenne (quarantanovenne per la precisione, il protagonista ci tiene) seduttore seriale che, scambiato per caso per un disabile, decide di stare al gioco e di portare la bugia fino in fondo per conquistare Chiara (Miriam Leone, la corrispondente francese era Florence), una vera paraplegica. Gianni è un cinico, arrivista e ricchissimo uomo d’affari, romano, proprietario di un brand di scarpe da running noto in tutti il mondo, un uomo in carriera e, dato il suo prodotto, anche uno sportivo (corre, corre sempre sul Lungotevere, paura di invecchiare…), ma non ha una compagna, non ha tempo per l’amore e si diverta a interpretare il ruolo di Don Giovanni incallito e senza scrupoli. Non risparmia nessuno (a).

Quando sua madre inferma muore (Gianni è capace anche di sbagliare funerale…), separata da tempo dal marito libertino (Michele Placido), il fratello gli consegna le chiavi della casa del genitore per recuperare le sue cose. Una pausa di riposo per attraversare i ricordi, incluse le audiocassette con le canzoni di quando era ragazzo, seduto temporaneamente sulla sedia a rotelle della madre. Dalla porta socchiusa, entra Alessia (Pilar Fogliati) la nuova vicina di casa, bella, giovane e attraente, preda ideale. Convinta che lui sia disabile, gli offre la sua assistenza. Quale occasione migliore per lui quella di fingersi paraplegico per far leva sulla pietà della ragazza, pur di sedurla. Perché per Gianni quella situazione di disabilità può provocare solo un sentimento di pietà.

Inizia qui tutta la riflessione sul corpo e la bellezza, sulla disabilità e i riti stanchi della seduzione seriale fatta di continui cambi di identità. Disabilità non è certo quel sentimento che Gianni pensava, ma capacità di fare tutto con uno spirito pieno di vita, abilità nel coltivare la bellezza della musica e dell’arte, il tennis (o altro sport) non è precluso.

Una domenica, infatti, Alessia lo invita nella casa in campagna della sua famiglia e lui incontra la sorella della ragazza, Chiara (Miriam Leone), una bellissima donna costretta sulla sedia a rotelle da un incidente, da cui rimane subito affascinato. Attenzione alla nonna (Piera Degli Esposti), però, che è sul chi va là. Chiara suona il violino e gioca a tennis.

Poiché entrambi paraplegici – o almeno così crede Chiara – finiscono per avvicinarsi sempre di più, tanto che l’uomo inizia a provare veri sentimenti per la ragazza, rivalutando la sua visione della disabilità e anche dell’amore. Chiara, però, ignora (almeno così ci fa credere) che lui sia capace non solo di camminare, ma addirittura di correre…

Corsa, balzi, movimento, moti soprattutto emotivi, il fil rouge del film.

Sarà un ritmo crescente di battute e situazioni tipiche della commedia all’italiana, con un Gianni, un po’ mitomane, che ben starebbe nei panni di un personaggio alla Dino Risi. Divertimento, ironia e un tocco di perfidia ma anche tenerezza e romanticismo.

Come andrà a finire? A voi scoprirlo.

Trailer

 

 

 

Corro da te, di Riccardo Milani, con Pierfrancesco Favino, Miriam Leone, Pilar Fogliati, Pietro Sermonti, Michele Placido, Piera Degli Esposti, Italia, 2022, 113 mn

Indagine sulle famiglie
In attesa della tempesta perfetta

Premessa
Lo studio che qui presentiamo non è stato commentato dai grandi quotidiani, nonostante l’usuale deferenza verso l’ autorevole fonte, ed è uscito (forse non a caso) il giorno dopo le dimissioni di Draghi. Evidentemente si ritiene più utile e vantaggioso divulgare altri dati invece che quelli sulla povertà.

La Banca d’Italia ha pubblicato il 22 luglio l’attesa indagine sulle famiglie relativa all’anno 2020 [Vedi qui] (la precedente era del 2016). Si tratta del più importante studio (su un campione di 7mila famiglie) sulle condizioni di reddito e patrimonio, confrontabile con le passate indagini a partire dal 1977.

I redditi medi dei dipendenti presentano un andamento piatto negli ultimi 45 anni, tranne un leggero aumento alla fine degli anni ’80. Il 1989 è l’anno del massimo picco (22.731 euro) rispetto ai 19.438 del 2020. Per gli indipendenti i redditi medi sono molto più variabili: dopo una crescita costante dal 1977 al 1987, subiscono un calo progressivo fino al 1995 per poi ricrescere fino al 2004. Da quel momento calano e recuperano qualcosa solo dal 2012 ad oggi. Sono il 69% in più di quello dei dipendenti nel 2020 ed avevano lo stesso differenziale nel 1977. E’ invece diminuita molto la ricchezza netta mediana delle famiglie: fatto uguale 100 il patrimonio del 2006, lo stesso è sceso a 68 nel 2020, con valori molto diversi tra i poveri (9mila euro per il 30% dei più poveri; 207mila per le classi centrali; 1,6 milioni per il 5% più ricco).

Un tonfo clamoroso dovuto in gran parte alla svalutazione delle case di cui gli italiani sono oggi proprietari nel 77% dei casi (rispetto al 47% del 1977) e che sono entrate nel mirino di grandi società (multinazionali e nazionali) pronte ad acquistarle dalle famiglie che non sono più in grado di reggere l’aumento del mutuo (via inflazione) e la perdita del lavoro (solo a Milano vanno all’asta 304mila immobili).

Lo studio, durato un anno, è stato meglio approfondito nelle estremità del campione (i più poveri e i più ricchi) sui quali è più ostico avere informazioni affidabili (i poveri per stigma, i ricchi per reticenza). Se la ricchezza netta mediana è in fortissimo calo dal 2010, come abbiamo visto (e le previsioni sono di un ulteriore calo per l’altissima inflazione e la probabile stagnazione -se non recessione-), le cose vanno bene per le famiglie ricche.

Il reddito medio scende dell’8% sul 2016, ma se si escludono quelle ricche (circa il 20% che, come vedremo, hanno guadagnato ancora) la perdita delle restanti 80% di famiglie sale al 15%. Cali imponenti certificati ora dalla Banca d’Italia, che sono alla base dell’erosione dei patrimoni e del crollo dei consumi (-20% sul 2006). Non stupisce quindi che Istat abbia visto salire i poveri assoluti da 1,8 milioni del 2005 a 5,7 milioni del 2021, a cui bisogna aggiungere 7 milioni di altri poveri “relativi” (chi guadagna meno di 1.049 euro mensili in una famiglia di 2 persone).

Con l’inflazione che su base annua è già stimata dall’Istat all’11% e che proseguirà nel 2023, l’80% delle famiglie rischia di trovarsi a fine 2023 con un reddito reale inferiore del 20% (a prezzi costanti) rispetto al 2006.

Se poi si considera il coefficiente di Gini (che misura la disuguaglianza: zero se c’è perfetta uguaglianza, 100 se uno solo guadagna tutto) alla luce delle migliorie fatte nel disegno campionario, esso sale dal 33,3% (che si credeva) al 39%. Un dato clamoroso e che ci proietta al primo posto in Europa (media UE 30%, Brasile 57%, Cina 47%, Usa 41%, Russia 40%; i paesi leader Danimarca Giappone e Svezia sono al 24-25%). E’ stato proprio l’approfondimento sulle famiglie ricche e povere (gli estremi) che ha portato alla scoperta che la disuguaglianza è molto più ampia di quanto si credeva. Il 10% delle famiglie più ricche guadagna infatti in media 132mila euro all’anno, mentre il 10% di quelle più povere solo 7.550 euro.

La Banca d’Italia ci consegna un quadro di diffusa povertà della società italiana, molto diverso da quello che ci è stato raccontato (dai media soprattutto) negli ultimi 20 anni che parevano di “magnifiche sorti e progressive” e che sono stati invece di arretramento sociale, se si pensa che metà delle famiglie guadagnano al massimo 25.854 euro l’anno.

Ma non è andata così male per tutti: l’1,2% delle famiglie più ricche hanno, infatti accresciuto il loro reddito medio annuo (322mila euro), il cui valore complessivo è diventato pari a quello del 30% delle famiglie più povere. Metà del reddito percepito in Italia viene spartito così tra il 20,8% delle famiglie più ricche, mentre l’altra metà è distribuito tra il 79,2% delle altre famiglie (classe media, lavoratori e poveri). Dal 2006 ogni anno la “torta” diminuisce, ma la fetta che va a questo 20% più ricco aumenta. Non è quindi strano che nel Paese sia fiorita una critica alle élite, in quanto le condizioni delle restanti famiglie si aggravavano. Una società con tali livelli di disuguaglianza (e che cresce anno dopo anno) è destinata ad implodere e mina in profondità la coesione sociale, oltreché dover spendere sempre più in sussidi per mitigare la protesta degli individui sotto il 50% della mediana del reddito, che sono saliti dall’8% del 1989 al 15,1% del 2020.

Siamo passati dalla società dei 2/3 (che Peter Glotz criticava negli anni ’80 perché lasciava ai margini 1/3 dei poveri), alla società dell’1/5, cioè solo il 20% delle famiglie viene favorito dall’attuale sistema socio-economico e dalla finanza. E’ vero che l’inflazione oggi è dovuta ai prezzi dell’energia, ma è anche vero che essi sono ampliati dalla borsa Ttf di Amsterdam (che consente a centinaia di fondi speculativi di guadagnare), un sistema disegnato dal liberismo.

La povertà ha iniziato a crescere incessantemente dal 1990, proprio da quando è crollata l’URSS; come se il capitalismo occidentale non avesse più avuto la necessità di “farsi bello” agli occhi dei poveri e dei lavoratori per via de “la fine della storia”. Da allora la nostra società è diventata molto più disuguale: oggi “scopriamo” che lo è molto di più di quello che ci è stato raccontato per 30 anni.

Si capisce, pertanto, il motivo per cui “metà delle famiglie ha problemi ad arrivare a fine mese” (dice Bankitalia) e per cui sono crollati i consumi (-20%) sul 2006, dato che per le famiglie ricche si è trasformato invece in maggior risparmio. Nel biennio 2020-21, complice la pandemia, i risparmi degli italiani (famiglie e imprese) sono cresciuti infatti di 130 miliardi e sfiorano i 2mila miliardi (quindi di soldi ce ne sono ancora, anche molti e anche cash, ma molto concentrati), e quindi non stupisce che i risparmi siano cresciuti; ma sono al 90% quelli dei ricchi, se si considera che il patrimonio del 30% delle famiglie più povere è salito dal 2016 al 2020 da 6mila euro a 9mila (soprattutto per il Reddito di Cittadinanza e gli aiuti Covid del 2020), mentre quello del 5% dei più ricchi è salito da 1,2 a 1,57 milioni. Ci vuole poco a capire chi risparmia…

Lo sfacelo sociale è senza precedenti e getta seri dubbi su molte questioni, incluso il modo in cui stare dentro l’Europa. Ovviamente le colpe non sono tutte dell’Europa, ma di chi ha governato e soprattutto di processi mondiali come la globalizzazione e un crescente liberismo a cui ci siamo adeguati, che ha creato vincitori (Cina, paesi asiatici, Germania, Nord ed Est Europa) e vinti (paesi del Sud Europa, africani e altri in giro per il mondo). Un modello che distribuisce i profitti di una crescente privatizzazione dell’economia soprattutto ai ricchi e che ha smesso di arricchire la classe media. Una fascia minoritaria di imprenditori, consulenti, manager, quadri, anche talentuosa e volenterosa, ma a cui è stata ridotta la tassazione (elusione) e consentita una crescente evasione (Ocse stima in 150 miliardi la perdita annua di gettito fiscale negli ultimi 20 anni per via della concorrenza tra Paesi) con il conseguente strisciante smantellamento del welfare (o indebitamento pubblico).

In Italia i danni prodotti dai lockdown antiCovid hanno fatto schizzare il debito pubblico dal 134% del 2019 al 155% (2020). Ora la guerra Russo-Ucraina/Americana, con l’inflazione in crescita, ci prospetta una situazione futura che inizia a presentare sinistre similitudini con quella della Grecia.

Per la borghesia il problema è eliminare il Reddito di Cittadinanza (anziché riformarlo come indica da tempo l’apposita commissione), ma per la ricerca Bankitalia proprio questa misura ha evitato che i poveri assoluti arrivassero alla cifra monstre di 7 milioni. Per i sindacati invece il problema è creare più lavoro, alzare i salari netti, diminuire l’ evasione fiscale e incrementare la giustizia sociale con misure di redistribuzione. I partiti sembrano a corto di ricette.

Nel mondo occidentale i primati dell’economia e della proprietà privata hanno assunto una predominanza totale. Le scelte economiche sono guidate dalla mera logica del profitto e dai fondi finanziari. Dopo anni di narrazioni fuorvianti ora arriva una vera “tempesta”.

Molti cittadini lo sentono, come i vecchi contadini che scrutavano il cielo. Si percepisce che siamo su un “piano inclinato” che per ora ha triplicato i poveri assoluti in 20 anni (da 1,8 a 5,6 milioni), i poveri relativi a 7 milioni, ha portato un quarto dei lavoratori a guadagnare meno di mille euro al mese, con un tasso di occupazione che è lo stesso del 1961. Non parliamo poi di scuola e salute, i cui servizi si degradano ogni anno che passa. Tra qualche anno molti saranno costretti ad acquistare dai privati (Amazon & c.) una sanità scadente di seconda o terza mano (ma rapida e on line: tech verso touch), vista la crescente difficoltà ad accedere ai servizi pubblici. Che questo modello sia difeso da molti (quelli che contano nei vari gangli del paese, media inclusi) non stupisce. Infatti, pur nell’impoverimento generale, prosegue l’arricchimento di questo 20% di cittadini che in Italia comanda, anche nei media. Una finanza senza regole porta a bolle che prima o poi scoppiano e trascinano nella miseria chi lavora nell’economia reale. Sfortunatamente, nessun Governo vuole veramente porre fine all’instabilità dell’attuale sistema finanziario (come ha detto per anni, inascoltato, il segretario della Federal Reserve, Alan Greenspan).

Questa situazione mette ovviamente in pericolo la coesione sociale se, oltre all’impoverimento, si riducono diritti sociali e libertà e si porta la Terra al collasso climatico.

Che fare? Certamente cambiare strada.  Forse, almeno nelle società capitaliste avanzate, si dovrà riscoprire quella “decrescita felice” tanto vituperata e irrisa. Se il modello di sviluppo fosse meno improntato al consumismo, la  prospettiva potrebbe davvero essere migliore di quella crescita infelice (e per pochi) ora in corso.