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Vite di carta. Gigi Proietti e La mandragola di Machiavelli

E’ da ieri dopo il consueto giretto al mercato del mio paese che mi frullano nella mente dei flash da La Mandragola, la celebre commedia che Machiavelli compose molto probabilmente nel 1518. Devo mettere a fuoco cosa abbia scatenato queste associazioni che continuano anche oggi, brevi ma insistenti, a mettere in collegamento piccoli fatti della vita quotidiana e pagine della nostra letteratura.

Ho conosciuto Sofia, nata tre settimane fa, mentre dormiva beatamente nella sua carrozzina sgargiante. Ci tenevo a incontrarla e proprio ieri è successo, stando prudentemente all’aperto, in una giornata mite e con un po’ di sole; l’incontro è avvenuto vicino alla chiesa piccola, a due passi dalla piazza, vero crogiolo di avventori, regolarmente dotati di mascherina, che fanno acquisti e chiacchiere vicino alle bancarelle.

E’ nata una bambina, è una gioia. E se anziché essere stata concepita dai genitori che conosco fosse la figlia tanto desiderata da Lucrezia e Nicia? Madonna Lucrezia e l’anziano marito messer Nicia Calfucci vivono agiatamente nella Firenze del primo Cinquecento; il loro grande cruccio è che non riescono ad avere figli. Siamo alla situazione iniziale della commedia; per completarla dobbiamo introdurre il terzo vertice del triangolo amoroso che domina lo svolgimento dei cinque atti.

Si chiama Callimaco ed è giovane e aitante; soprattutto è innamorato pazzo della bellissima Lucrezia; è venuto appositamente per conoscerla da Parigi a Firenze e dopo che l’ha veduta ammette: “Sommi acceso in tanto desiderio d’esser seco, che io non truovo loco”. Non sa dove stare, lo si dice ancora oggi per indicare il massimo del pathos.

Callimaco vuole a tutti i costi conquistare Lucrezia, per appagare il proprio desiderio e per assecondare il suo temperamento intraprendente: se la ‘Fortuna’ lo ha messo davanti a questa passione totale egli impiega ogni suo risorsa, la sua ‘virtù per conseguire lo scopo. Per esempio sa circondarsi di persone che possono aiutarlo fattivamente, a partire dall’amico Ligurio che conosce bene il marito di Lucrezia e assume la regia della beffa con cui raggirarlo.

Vorrei dire a Sofia: pensa, piccolina, in quali aggrovigliate vicende ti sto trasportando. Per far nascere una bimba come te, o un maschietto, lo sciocco messer Nicia si lascia convincere da Callimaco, nei panni di un luminare della medicina, che la moglie rimarrà incinta se berrà una pozione prodigiosa fatta con l’erba chiamata mandragola.

Pozione miracolosa, che presenta il conto però. Il primo uomo che giacerà con Madonna Lucrezia attirerà su di sé il veleno e molto probabilmente ne morirà, e allora bisogna mettere nel letto della signora un “garzonaccio” qualunque che ci lasci la pelle al posto di Nicia.

Cosa non è disposto ad architettare un innamorato! Infatti è Callimaco travestito da povero diavolo a intrufolarsi nel letto, sotto l’attenta supervisione del beffato Nicia nel ruolo di cerimoniere. Ora dobbiamo considerare le donne e Fra’ Timoteo, se vogliamo conoscere per intero il sistema dei personaggi.

Le donne sono due: Lucrezia, che è una donna devota e irreprensibile e rimane sconvolta dalla prospettiva di tradire il marito commettendo un peccato mortale; sua madre Sostrata, che al contrario è donna dai costumi assai liberi e ben volentieri si presta a partecipare alla beffa ai danni del genero. Se con Sostrata entra in scena una figura femminile dai tratti licenziosi, il culmine della corruzione si raggiunge con Fra’ Timoteo, che è spinto a entrare nella macchinosa beffa dalla sola sete di denaro.

L’azione si sposta dalla piazza e dalle case dei protagonisti alla chiesa che è poco distante. Qui il frate dice di avere studiato a lungo il caso e qui riceve Lucrezia e la madre. Vediamo il punto in cui con il suo argomentare astuto egli scardina le convinzioni della donna: è un bellissimo esempio di eloquenza, dove la forza delle parole ottiene effetti straordinari. Dal momento che “madonna Lucrezia è savia e buona – pensa il frate – io la giugnerò in sulla bontà” per prenderla in trappola.

E allora la prima argomentazione riguarda la coscienza e un principio generale: “dove è un bene certo ed un male incerto non si debbe mai lasciare quel bene per paura di quel male”. Il bene certo è che la donna, rimanendo gravida, darà una nuova creatura a Dio; il male che ciò procurerà al garzonaccio che ha giaciuto con lei non è certo, alcuni in questi casi si salvano.

La seconda motivazione riguarda l’atto peccaminoso, che tale non è – continua il frate – “perché la volontà è quella che pecca, non el corpo”, semmai è peccato dispiacere al marito, ma Lucrezia sta invece procurando una gioia a messer Nicia.

Infine l’argomentazione che esce dalla bocca di Fra’ Timoteo ma potrebbe essere pronunciata dal Principe e provenire dalle pagine dell’omonimo trattato, l’opera più conosciuta di Machiavelli, è:  “El fine si ha a riguardare in tutte le cose: el fine vostro si è riempire una sedia in paradiso, e contentare el marito vostro”. Là il bene dello Stato e qui la felicità della famiglia motivano le azioni umane.

Nella bella versione televisiva della commedia uscita alla fine degli anni Settanta per la regia di Roberto Guicciardini, Duilio Del Prete interpreta Fra’ Timoteo e il suo stile è impeccabile, elegante. Totò ha invece vestito i panni del frate nel film girato da Alberto Lattuada nel 1965 e che ha lo stesso titolo della commedia: il suo eloquio è più marcato, i gesti sono ampi e la scena assume un’impronta macchiettistica.

Immagino davanti alla figura di Lucrezia un terzo irresistibile Fra’ Timoteo interpretato da Gigi Proietti. Tra le opere teatrali a cui ha lavorato nella sua lunga carriera non ho trovato La mandragola e, anche se la mia indagine richiede un approfondimento, la lascio per lavorare con l’immaginazione: ora che con la sua morte è uscito dal tempo, lo proietto all’indietro e ne faccio un personaggio della nostra commedia.

Due anni fa, il 5 novembre, al suo funerale l’attore Edoardo Leo ha omaggiato il maestro con parole lucidissime, ha riconosciuto in lui la capacità straordinaria di coniugare maestria nella recitazione, professionalità e leggerezza. Ho capito che erano le parole giuste per definire Gigi Proietti come artista. Grazie ai servizi televisivi sulla sua carriera, in questi giorni così frequenti da competere con i continui aggiornamenti sulle elezioni americane, mi pare di sentirlo più presente di prima nel nostro immaginario.

Me lo vedo già avvicinare Lucrezia con un’aria assorta, lo sento sciorinare le ragioni che alleviano la sua coscienza e la condurranno a scoprire i piaceri dell’amore grazie al giovane e focoso Callimaco. La modulazione della voce è straordinaria e attraversa i toni più diversi, dai più suadenti a quelli perentori; la mimica del volto si piega a rendere evidente il senso di ogni singola parola.

Mi pare meno stupefacente, ora, il finale della commedia. Posso abituarmi al cambiamento repentino di madonna Lucrezia, che dopo la notte trascorsa con l’amante si dichiara pronta a continuare a fare “sempre” con lui “quel che’l mio marito ha voluto per una sera”.

Se la Fortuna è donna, come pochi anni prima Machiavelli ha affermato nel Principe, l’intraprendenza e la forza della giovinezza di Callimaco hanno saputo batterla. Lucrezia è sua. D’altra parte anche lei rivela di sapersi adeguare all’evolversi delle situazioni, è disponibile a mutare seguendo il corso della Fortuna.

Si riconosce nella sua decisione finale una sana concretezza che viene da lontano, almeno dalla visione laica del Decamerone, affermatasi quasi due secoli prima, dalla logica mercantile che vi ha già trovato il suo trionfo, per cui Lucrezia trova il proprio piacere e il proprio tornaconto nel promettersi a Callimaco.

E il beffato Nicia? Non trova di meglio che mostrarsi riconoscente a Ligurio e Callimaco, che come medico ha risolto il suo problema, dando loro “la chiave della camera d’in su la loggia, perché possino tornarsi quivi a loro comodità”. Beffato e felice, viene da concludere.

In realtà lascio concludere la commedia a Fra’ Gigi, che con aria ammiccante saluta gli spettatori, non li trattiene più a lungo, perché la funzione che egli va a dire ora in chiesa alla presenza dei protagonisti è lunga. Ognuno tornerà al proprio posto dopo la messa e il pranzo: lui in chiesa, gli altri a casa.

E’ trascorso un giorno da quando Ligurio ha messo in piedi la complicata beffa e una gaia relatività, che, a conoscere meglio il pensiero di Machiavelli, diviene sempre meno gaia e più amara, ci ha fatto conoscere non uomini e donne ideali, ma colti nella loro concretezza, implicati nei casi della vita, immersi  nella “realtà effettuale della cosa”.

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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