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Vite di carta. L’elmo di Ferraù e le ‘piccole felicità di riserva’

È mercoledì e sto facendo il giretto nella piazza del mio paese, tra le bancarelle del mercato. Ormai il corto circuito tra letteratura e vita mi scatta da sé: la vita che pulsa in questo momento nella piazza è piena di rumori e di odori. Per me, di immagini letterarie.
La giovane donna dalla quale ho appena fatto acquisti viene dall’Oriente, i tratti del viso sono marcati, gli occhi rotondi e umidi come nei fumetti. Mi ha guardata ed ascoltata con attenzione, e quando, a spesa fatta, mi sono accomiatata, si è girata lentamente per riprendere il lavoro di prima: sistemare meglio la merce sul banco.
Un gesto breve e spontaneo, ripetuto chissà quante altre volte. Servire un cliente e poi riprendere la serie di gesti interrotta un attimo prima.
Io però catturo questa immagine e la porto a volo tra le ottave del primo canto dell’ Orlando furioso. Là mi aspetta il saraceno Ferraù che è appena ritornato sulla sponda del fiumicello dove si trovava poco prima. Cosa lo ha spinto a lasciare la sua amena postazione? Ha sentito le grida dAngelica in fuga nella foresta sopra un focoso cavallo, ha brandito la spada per darle soccorso e liberarla dall’inseguitore, il famoso paladino Rinaldo che l’ama non meno di suo cugino Orlando.
Ferraù duella strenuamente con Rinaldo, poi, d’accordo con lui, decide di smettere di combattere e di mettersi piuttosto sulle tracce della donna che di nuovo è fuggita nel labirinto del bosco. Si è separato da Rinaldo, quando le orme del cavallo sono diventate confuse… e, vagando di qua e di là, è ritornato sulla stessa riva del fiume.
Ferraù ha incassato un insuccesso totale, e cosa fa?
Agli studenti piace fare ipotesi sul seguito dell’episodio: c’è chi immagina le manifestazioni del suo sconforto tra lacrime e sospiri, chi lo vede agitarsi e magari prendersela con la natura all’intorno, chi dice che ripartirà subito per cercare la donna per cui “avea il petto caldo”, non meno degli altri illustri cavalieri sia cristiani che saraceni.
Di solito restano delusi quando scoprono che non accade nulla di tutto questo: ci dice Ariosto che “poi che la donna ritrovar non spera, / per aver l’elmo che il fiume gli asconde, / in quella parte onde caduto gli era / iscende…”. Aveva perduto l’elmo nelle acque del fiume durante la pausa dalla battaglia, e ora semplicemente si rimette a cercarlo.
A questo punto, nel motivare il comportamento del personaggio, insieme ai ragazzi vado a consultare alcuni critici letterari, che chiamo ‘lettori esperti’: da sempre ritengo che siano al nostro fianco nella postazione del lettore, e che da lì, non dal mondo separato della Critica Letteraria, ci facciano arrivare la loro voce.
Da loro arrivano allora espressioni come “ricerca dell’oggetto degradato” (per spiegare cosa si mette a fare Ferraù); oppure “oggetto del desiderio di secondo livello” (per riferirsi all’elmo). Termini altisonanti per dire che Ferraù, non essendo riuscito a raggiungere e avere per sé Angelica, ha trovato un ripiego. Ora conduce una inchiesta meno appagante, ma pur sempre legittima e con qualche attrattiva, anche se per lui meno sfavillante di quella amorosa.
Io le chiamo ‘piccole felicità di riserva’ e negli anni le ho cercate tante volte nell’orizzonte delle mie giornate. Me le sono procurate, come ho fatto anche oggi, comprando dei piccoli oggetti dalla  signora orientale, perché mi dessero un accettabile senso di compensazione.
Siamo esposti alla vita. ​Dalla vita arriva di tutto, sulle ali di quella mutevolezza che Ariosto ha posto al centro del suo poema, come motore della narrazione e come regola di vita. Da un certo momento in poi, dalla vita ho ricevuto privazioni, lutti, cambi di rotta e di prospettiva, come accade a tutti. In risposta ho tentato di giocare la mia buona carta. Per resistere, per essere ancora capace di determinare il cammino, per volermi bene.
Eccolo, l’elmo di Ferraù, che lo fa sentire ancora titolare di un progetto, un’inchiesta, un desiderio. Ecco le piccole felicità. Lo faccio notare ai ragazzi. Comprenderanno? Credo che lo faranno in una delle loro prossime età; il poema di Ariosto è sempre lì. E poi c’è la vita ad aspettarli.

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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