Skip to main content

Vite di carta. Verde acqua

Di mercoledì ho saputo che dal prossimo settembre sarò in pensione. E’ accaduto una settimana fa e allora la vita ha bussato, si è fatta avanti e anche senza scompigliare troppo le carte ha spostato il baricentro dei miei pensieri. Confusamente ho pensato che non ho libri che mi supportino in questo momento.

Quante volte sono ricorsa a loro per farmi scudo verso gli impegni della giornata, anche la domenica; è stato come fare il pieno di carburante prima di partire. Ero pronta prima di uscire per un impegno famigliare, ero in anticipo e impiegavo quella mezz’oretta per leggere qualcosa, quasi sempre per rivedere un argomento delle lezioni del giorno dopo. Anche se tutto era già stato predisposto e ci avevo lavorato abbondantemente. Ma il viatico della lettura era un rito sedimentato da troppi anni, serviva a me per quella giornata stessa.

L’ho definito il terzo stadio della mia sindrome letteraria. Durante gli anni di Università ho capito che gli studi umanistici avevano a che fare con la mia identità; durante i lunghi anni di docenza è stato chiaro che insegnare per me significava fare opera di mediazione, offrire agli studenti tutte le mie conoscenze di contenuti e di metodo, ma soprattutto la passione. Da anni, ed eccoci allo stadio attuale, so che la letteratura soccorre anche le mie fragilità e mi rende meno vulnerabile.

In questi giorni, però, non succede: non mi vengono in mente libri che parlino di pensionamento. La galleria frettolosa di protagonisti che scorro non ha pensionati da presentarmi. Mi dibatto tra eroi di decine di romanzi di formazione, tutti rigorosamente giovani e speranzosi come Rambaldo di Rossiglione, che attende impaziente di affrontare la prima battaglia della sua vita e ascolta i consigli di Agilulfo, il cavaliere che non c’è ma sa di esserci, protagonista del celebre Il cavaliere inesistente di Calvino.

Oppure penso a tanta narrativa dedicata a coloro che vivono l’ultima fase della vita. Mi pare che ultimamente siano diventati  proprio tanti; se ci penso l’amato Niente caffè per Spinoza di Alice Cappagli uscito l’anno scorso parla di questo. E di questo parla il comicissimo libro di Howard Jacobson, Su con la vita, che racconta le avventure quotidiane di una signora novantenne e delle sue badanti. Di come lei trascorra le giornate tormentandole con la lettura dei suoi diari e si dimostri lucida e attiva, arrivando perfino a procurarsi una caduta per dar loro qualcosa da fare.

Verde acqua si insinua piano: l’ho letto durante questi mesi così evanescenti da sembrare un tempo ora lunghissimo ora breve e fuori fuoco. È un diario che racconta due segmenti della vita dell’autrice, infanzia ed età adulta,  che vengono liberamente alternati e il lettore passa dagli anni dell’esodo da Fiume avvenuto per la famiglia della scrittrice nell’estate del 1949  fino all’oggi.

L’oggi per Marisa Madieri, che ha raccontato di sé con generosità e con gentilezza, è il 27 novembre 1984. Sposata con lo scrittore Claudio Magris e con due figli maschi ormai grandi, vive col marito in una grande casa dove i libri si accumulano a grande velocità, dove, senza le voci dei due ragazzi, si è accumulato anche il silenzio.

Ma il cuore è grande. Marisa lo riempie con i ricordi intensi di tutte le persone che ha amato: i genitori e la sorella, i nonni e più tardi le amiche e i colleghi, la sua nuova famiglia. Si può dire che il suo temperamento e la fede profonda l’hanno condotta ad amare il genere umano e i bambini.

Cito da una delle ultime pagine: “Eppure, quando le persone che mi hanno conosciuto prima ch’io lasciassi l’insegnamento, che pure amavo, mi chiedono ‘cosa faccio adesso tutto il giorno’, mi riesce difficile spiegare in poche parole, senza cadere nella retorica, che il fronte del mio impegno attuale è sul confine tra la vita e la morte”. Allude da un lato ai viaggi che fa col marito, ai figli, al corso di informatica a cui si è iscritta per usare il computer appena comprato; dall’altro pensa ai bambini che hanno bisogno di aiuto per nascere e poi per crescere.

Nel novembre del 1983 ha scritto nel diario una pagina breve, in cui racconta di avere tenuto tra le braccia una bambina di poche settimane, Laura. Laura non doveva nascere, ma ora i colori delle sue guance e dei capelli, il rosa e il nero, hanno conquistato sia i famigliari che gli amici di famiglia, prima non disponibili ad accoglierla. ”Sono andata a trovarla assieme ad un’altra volontaria del Cav”, e mentre i giovani genitori le preparavano il biberon “pensavo che Laura in fondo era anche un po’ mia e non lo avrebbe saputo mai”.

Marisa convive da tempo con la malattia ma sa parlarne con pudore e un forte senso di cristiana accettazione. Le ultime parole del diario esprimono gratitudine, lei dice, per le persone “che non solo mi hanno aiutato a vivere ma, forse, sono la mia vita stessa”.

Verde acqua è il colore del completo che la madre le aveva comprato per la sua prima festa ai tempi del liceo; un cardigan e una maglia a giro collo che la fecero sentire adeguata, elegante come le altre sue compagne. La madre, però, aveva portato al Monte di Pietà un bracciale di valore e una vecchia pelliccia per poter fare l’acquisto. “Verde acqua si chiamava quel colore, che per me è ancor oggi il colore dell’amore”.

Claudio Magris venne al Liceo a incontrare gli studenti qualche mese dopo la scomparsa della moglie, avvenuta nell’estate del 1996. Allora sapevamo del lutto recente che lo aveva colpito, e per questo notammo che si stava dedicando con generosità ai ragazzi, ma sembrava stanco. Spento.

Anni dopo, mentre al caffè San Marco di Trieste mostravo ai ragazzi di quella bella gita scolastica tra Trieste e Fiume il suo tavolo fisso, dove si tratteneva d’abitudine a scrivere e a leggere, ripensavo a quella sua assenza di luce e speravo in cuor mio che la luce fosse presto tornata in lui.

Ecco, l’ho trovato il mio libro del momento. Scritto da una donna preziosa e dal nobile sentire che mi lascia un colore. Ora dovrò risponderle col mio, quando l’avrò individuato tra le possibili tinte di un tempo nuovo.

I riferimenti ai testi letterari provengono rispettivamente da:

  • Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, 1959
  • Alice Cappagli, Niente caffè per Spinoza, 2019
  • Howard Jacobson, Su con la vita, 2019
  • Marisa Madieri, Verde acqua. La radura e altri racconti, 1998

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

tag:

Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it