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Coltivare il proprio orto è esercizio che garantisce la sopravvivenza, del resto siamo deboli e dobbiamo prenderci cura di noi stessi.
Ferrara città di giardini è anche città d’orti, questi ultimi di solito un po’ defilati, situati in periferia e affidati alle mani operose di anziani cittadini.
Sarà che sono più cicala che formica, ma io amo i giardini, sono luoghi dove ci si incontra, si sta bene e fioriscono le idee, se poi uno ha la fortuna di avere un giardino nella propria infanzia quello non si scorda più. Sarà anche per l’effetto Bassani, ma i giardini a Ferrara hanno un grande potere evocativo, lo dimostra il successo dell’iniziativa “Interno verde”.
Ma orti e giardini qui sono un pretesto, una metafora per parlare d’altro, della mappa del territorio e semmai del territorio e della mappa che ancora non ci sono.
Ormai si sa che ce l’ho con la mania della Città della Conoscenza e, guarda caso, la metafora con cui gli studiosi della materia, dall’architetto Archigram Peter Cook a Francisco Javier Carrillo, la rappresentano è proprio il giardino, la città vista come un giardino dove dall’incontro delle persone nei differenti luoghi, per ragioni tra loro le più varie, indefinite o definite, fioriscono, s’incrociano, si diffondono pensieri e idee da condividere, da valutare, da usare per aprire strade nuove.
Nell’orto no. Pianti il tuo tubero e attendi che cresca, per te e i tuoi intimi.
L’orto non è un’idea di comunità, il giardino, sì.
Si dirà: l’orto è produttivo. È vero: produci e consumi. Sempre identico a se stesso. Vuoi mettere il giardino? Intanto non hai bisogno di spaventapasseri, non devi tenere alla larga nessuno.
Ragionavo di questi pensieri quando mi sono imbattuto in “Etopia”, il luogo dell’elettronica. È un Centro per l’Arte e la Tecnologia, realizzato da “Zaragoza City of Knowledge”, con il supporto del Ministero spagnolo dell’Industria, dell’Energia e del Turismo. È stato concepito come un centro mondiale per la creatività, l’innovazione e l’imprenditoria nella città digitale. Un modello di innovazione aperta in cui imprenditori, creatori, cittadini, imprese e ricercatori lavorano insieme per creare ricchezza, occupazione e conoscenza, al fine di affrontare le sfide urbane nell’era digitale. Tre grandi blocchi occupano una superficie di sedicimila metri quadrati, oltre agli spazi comuni che li connettono, ospitano altre strutture come: incubatore d’impresa, residenza per creatori e ricercatori, laboratori di creatività audiovisiva e tecnologica, laboratori individuali e di gruppo, aule, sale espositive, auditorium, caffetteria-ristorante, negozi, seminari e sale riunioni, uffici per progetti e spazi di collaborazione.
Non proprio un orto, ma un e-garden, direi.
La caratteristica di Saragozza è che la Municipalità nel 2004 ha dato vita alla Fondazione “Saragozza Città della Conoscenza” come progetto pubblico-privato per promuovere lo sviluppo della società della conoscenza. Attualmente oltre al Comune partecipano alla fondazione l’Università, la Fondazione Iberica per il Lavoro Sociale, Centri per la ricerca scientifica, docenti universitari, scrittori, personalità di rilievo nel mondo delle arti. Fin dalla sua istituzione, il finanziamento delle attività della Fondazione proviene in gran parte da fonti private. Il presidente del consiglio è il sindaco di Saragozza, né più né meno come il nostro sindaco presiede Ferrara Arte e Ferrara Musica.
Ferrara non è Saragozza, non montiamoci la testa, le dimensioni non sono confrontabili, ma le idee hanno il vantaggio di non avere dimensione, ma solo quello di essere buone o cattive.
Noi dalle pagine di Ferraraitalia abbiamo lanciato il Manifesto per Ferrara Città della Conoscenza, consapevoli che su questa strada si gioca buona parte del futuro sviluppo della nostra città, che il nuovo secolo chiede anche alla nostra città di ragionare in modo rinnovato sull’incontro tra economia e sapere, tra impresa e conoscenza, tra rivoluzione digitale e apprendimenti. La città della conoscenza è il nuovo territorio, basterebbe guardare oltre le nostre mura per rendercene conto. La nostra città ha risorse e cultura per disegnarne la mappa?
Io ritengo di sì, ma occorre che ognuno esca dal proprio orto, di associazioni, gruppi, amici di questo o di quello e incominci a pensare di essere parte attiva di un grande giardino, di idee, iniziative, e risorse, che possono migliorare e far crescere la città.
Ma chi deve unire gli orti perché compongano un grande giardino? Se non l’unico giardiniere che ha la responsabilità della città?
Con Saragozza abbiamo in comune le biciclette, potremmo anche tentare di avere in comune l’idea di Città della Conoscenza.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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