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FREQUENZE DISTORTE
16 agosto 2019

Nella chimica delle emozioni, l’estate sembra indurre, nella gente in città, oscillazioni più sensibili che nelle stagioni fredde.
Sarà anche il calo della pressione e il frenetico circolare di liquidi nel corpo, ma insomma, in farmacia, che è oggi il luogo di aggregazione sociale più popolare del quartiere, nella fila tra i clienti emergono questi squilibri di serotonina, dall’euforia ostentata alla depressione più cupa.

Non c’è dubbio, l’Italia è un paese per vecchi e adesso, che le famiglie coi pupi stanno sguazzando a Coccia di morto e dintorni, qui vicino alla fermata metro Malatesta siamo quasi tutti pelati o con capelli bianchi.

Nella cabina dove si prova la pressione c’è un matusalemme con la barba fino all’ombelico che si confessa con il farmacista fricchettone (capelli lunghi un po’ bisunti, maglietta da concerto rock e sotto il camice, un paio di short gialli con infradito ai piedi). Il vecchio parla della moglie: “Non so più che fare, è sempre smaniosa, va in giro tutta la notte e si lamenta di tutto.” “Eh, le donne so’ così…” risponde il dottore, che è uno specialista, “ma la pressione tua sta meglio della mia” gli dice, non so quanto rassicurandolo.

Una delle cose che mi hanno insegnato (e che non s’imparano mai), è che quando qualcuno ha bisogno di sfogarsi, raccontando un disagio, la cosa peggiore è compararlo con il proprio, per fargli credere che il suo non esiste. Eppure il matusalemme la prende a ridere e io capisco che il gusto per la battuta e il darsi del tu come compagni di merende, sono cose che, nella solitudine urbana, restituiscono comunque un salvagente di umanità.
Ora il novantenne barbuto raggiunge nella fila un giovane che sta ordinando delle siringhe per l’insulina e fra loro si sviluppa un dialogo affettuoso, tanto che il giovane, che risulta essere un vicino di casa, si propone di aiutarlo a fare le iniezioni alla moglie: “Chiamami quando vuoi, io ormai, anche se me lo sarei risparmiato volentieri, sono diventato un esperto!”.
Tutti quanti ora parlano fra loro della generosità del giovane diabetico, e nessuno ha perso la pazienza: anche se la fila è lunghissima per colpa mia, che ho comprato un apparecchio per misurare la pressione e il giovane farmacista per mostrarmi come si usa, ha deciso di provarsela lui accorgendosi di avere dei valori da iperteso.

Niente allarme, solo grandi risate sul fatto che certi trabiccoli, se si usano male, fanno prendere dei colpi ingiustificati.
Siamo tutti venuti là per delle paure, dei malesseri, delle angosce notturne eppure stiamo sghignazzando come fossimo al Bagaglino.
Tornando a casa con l’apparato per ipocondriaci, incontro per strada altri sprazzi di malessere.
Una signora un po’ spettinata, ma con una sua cura femminile nello smalto delle unghie e nelle scarpette dorate sta gridando nel suo cellulare “Mo’ quello con me ha chiuso! Nu’mmevedrà mai più!” e entrando nei dettagli “Ha avuto la faccia tosta de portasse quella troia al pranzo de feragosto!” Mi verrebbe voglia di fermarmi e sentire il seguito, ma lei è in mezzo alla strada e sarebbe davvero un po’ sfacciato fermarmi ad origliare.

Poi proseguendo, vedo una ragazza, l’aria spersa, seduta per terra, accanto a un muretto. Non capisco se ha avuto un mancamento o stia chiedendo l’elemosina, ma non ha un’apparenza malmessa. La guardo per capire se ha bisogno d’aiuto, con un po’ di timore di restare invischiato. Avvicinandomi mi accorgo solo che ha le labbra un po’ screpolate.
Lei, sentendosi osservata, mi dice: “Buongiorno!” “Buongiorno!” le rispondo io. E restiamo così, a guardarci per un paio di secondi. Poiché non sembra aver bisogno d’aiuto, passo oltre, col dubbio che a quel buongiorno da parte mia, dovesse seguire almeno la domanda: “Tutto ok?”
E mi viene di pensare a quando, cercando qualcosa da ascoltare all’autoradio mentre mi aggiro nel traffico, passo da una stazione all’altra, cogliendo frasi, mondi, umanità, che abbandono subito con un colpo di freccetta: voci tremule di vecchiette che chiamano radio Maria, litanie di preghiere nella contigua radio vangelo, queruli conduttori che flirtano con conduttrici dalle voci impostate, grevi voci di rauchi tifosi laziali, adrenalinici disk jockey che fanno gli spiritosi e l’immancabile comizio registrato di Marco Pannella.

Alla fine del giro, in cui generalmente mi stufo e spengo, mi domando: sarà questa la realtà? Quella della radio, dei giornali, di facebook, dei tg, della strada, del cinema…?
Ogni cosa che mi arriva all’orecchio o alla vista è talmente parziale e manipolata dalla mia lettura, che prende una vita propria.
Anche i miei viaggi minori, nel micro-mondo romano del quartiere Prenestino, benché mi sforzi di registrarli nel loro letterale accadere, sono alla fine esercizi di finzione.
La frequenza dei miei passi è come la frequenza di una radio e la mia grande libertà (lo diceva persino Brecht) e forse anche il mio limite, è che – nella maggior parte dei casi – decido io quando accendere e quando spegnere l’ascolto.

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Daniele Cini

è regista e autore. Dagli anni Ottanta Collabora continuativamente come regista con i programmi più importanti della Rai e realizza reportage in vari paesi del mondo. Nella fiction cura la regia di serie televisive, come “La Squadra”. Per il cinema firma il film “Last Food”, il mediometraggio “Zittitutti”, e due episodi nei film collettivi “Intolerance” e “All human rights for all”. Tra i documentari: “Sogni.com” per Rai Fiction, “Seconda Patria” per History Channel, “Noi che siamo ancora vive” per Rai 3, Globo d’oro nel 2009, “Bambini guerrieri” per Rai 1 e “Hungry and Foolish” per Rai Expo. Nel 2021, in collaborazione con Medici Senza Frontiere, realizza il film documentario “La febbre di Gennaro”, Nel 2022 il documentario “Il ragazzo con la Leika”, 60 anni d’Italia nello sguardo di Gianni Berengo Gardin, trasmesso su Rai 2. Nel 2004 ha pubblicato per Voland “Io, la rivoluzione e il babbo” e nel 2020 per Giunti “Se son rose sfioriranno” .

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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