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E infine, anche ai bagni della riviera comacchiese si applicano le distinzioni da decenni in vigore nella riviera romagnola ma ancor prima in Versilia o nelle isole più celebrate.

E’ indubbio che lo stabilimento balneare da me frequentato, sicuramente il più lussuoso degli Estensi  – e quello dove si mangia meglio – è un bagno di massa secondo le tesi dei seguaci di Weber dove gli atteggiamenti si adeguano alle norme dettate da una forma comune d’intendimento provocata dallo strato sociale che le ha elaborate. Molti comportamenti sono i segni evidenti di trovarsi di fronte all’adesione totale verso coloro che ne dettano politicamente l’espressione- e spesso- l’abuso.

Alcuni esempi.

L’uso indiscriminato dei tatuaggi, ormai praticato dai novantenni fino ai bambini con punte massime nelle generazioni dei venti-cinquantenni.

Il ricorso a gesti antichi non cancellati dall’approdo a strati sociali più elevati quali, ad esempio, la sistemazione con un colpo secco del lato inferiore dei ‘due pezzi’ da parte di nonne e nipoti teso a disincagliare la parte posteriore della mutandina insinuatasi proditoriamente entre les fesses (i due glutei). Per procedere con linguaggio proustiano, les jeunes filles en fleur ( le ragazze) urlano nel loro gergo comunitario: “Allora! Andiamo a far questo ca… di bagno?”, oppure duramente rimproverano i coetanei maschi vittime di eccessi ormonali: “Smettila di guardarmi le tette! Tanto non te la dò”.

Le espressioni sono minuziosamente registrate da chi scrive mentre il monotono palleggio del beach volley è ritmato da invocazioni alle zone erogene o ancor più disgustosamente per chi come me è laico convinto, e quindi rispettoso della Chiesa, con bestemmie la cui provenienza lascia presupporre una frequentazione forse casalinga o scolastica. Il tutto si svolge supportato dalla protesi attiva del cellulare saldamente fissa nelle mani di chi non gioca e che pretende un’attenzione che esclude qualsiasi sguardo da concedere all’ambiente circostante. E quando si fa sera l’esodo rivela una consapevolezza estrema dei propri diritti e mai dei doveri tra un imperioso scuoter di sederi enormi e urletti di bambini minacciosi, stremati dalla fatica.

Al caffè del bagno i tavolini traboccano di accappatoi, di costumi bagnati che si mescolano a taglieri di salumi e birre a fiumi.

E sì che i proprietari si adoperano indefessamente a creare cene eleganti, a lume di candela, impeccabilmente servite dai quattro moschettieri, i proprietari, e da una serie di ragazze e ragazzi straordinariamente preparati e gentili, quasi tutti studenti universitari che lavorano nello stabilimento e con la presenza rassicurante di Luca, il bagnino filosofo. Allora possiamo chiederci perché nella società di massa diventi sempre più evidente la frattura tra una parte di popolazione arrogantemente protesa a ribadire i propri diritti (prima gli italiani) e un’altra minoritaria che è attenta ai diritti degli altri. E ai propri doveri naturalmente. Perciò si è più contenti di frequentare un bagno di massa che uno dei due o tre dove si trovano gli ultimi esponenti di una civiltà non di massa ma purtroppo perdente.

Così il Lido pericolosamente minacciato da un declino che parrebbe inevitabile chiede conferme ai propri amministratori ma senza risposte chiare, espresse a viso aperto, come dimostra l’atteggiamento del silenzioso sindaco.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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