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Un silenzio assai breve il mio in attesa di capire come Ferrara verrà governata dalla nuova amministrazione e di intuire, almeno per il momento, quale sarà la via che verrà intrapresa nell’ambito che meglio conosco: quello della cultura. Non mi devo rimproverare molto nel ripensare a come ho seguito, accompagnato, proposto l’evolversi di un’idea della cultura che prendeva piede e consistenza man mano che crescevo e mi si offrivano tante occasioni per vederla realizzata nella città che non a caso per un periodo si fregiò del titolo di ‘città d’arte e di cultura’. La nascita di associazioni come gli Amici dei Musei e Monumenti Ferraresi o il Garden o gli Amici della Biblioteca. L’impegno assiduo allo sviluppo e alla organizzazione dell’Istituto di Studi Rinascimentali di cui fui per anni presidente e direttore e ora la co-curatela del Centro Studi Bassaniani. Sempre con l’entusiasmo proprio a chi svolgeva un compito in perfetta assonanza con il lavoro che si era scelto e che ha amato moltissimo, nonostante le solenni bacchettate che la ‘mia’ parte m’infliggeva regolarmente.

Con la nuova amministrazione, il cosiddetto ‘cambio di mano’, come mi proporrò nel gestire i rapporti con l’amministrazione entrante? Per ora è troppo presto per avanzare ipotesi, soprattutto fino a quando non si saprà chi ricoprirà l’incarico di assessore alla cultura, e quindi disegnare un modus operandi specifico. Sicuramente è assai confortante sapere che almeno sulla carta i ruoli dei funzionari che hanno a che fare con il Centro Studi, le dottoresse Ethel Guidi e Maria Teresa Gulinelli, sono i medesimi. Bisognerà sapere se il futuro assessore li riconfermerà.

Questi problemi pratici mi hanno indotto a una pausa di silenzio che ora, dopo l’importante articolo di Fiorenzo Baratelli apparso su questo giornale – Sinistra: intransigente nei principi, innovativa nei metodi, radicale nelle proposte – viene interrotto per commentare una disfatta lungamente annunciata e mai presa di petto. Si è discusso molto se fosse più utile proporre un mea culpa che finalmente riavvicinasse le idee (o ideologie?) della sinistra a quel ‘popolo’ che si diceva trascurato, oppure si reclamasse una maggiore incisività e pregnanza in quelle figure politiche che di seguito si sono accampate tra le proposte fino alla scelta di Aldo Modonesi. Frattanto ciò che mi procurava (e mi procura) fastidio è il ritornello con cui i vincenti in modi diversi coniugano la frase “Era ora!” Ma perché prima dove stavano? Tutti acquattati in Gad a ripetere il falso ritornello “Basta con i comunisti!”? E tanti di noi a ripetere “Ecco sono arrivati i fascisti!” Banalità pericolosissime messe in luce dall’ottimo articolo di Baratelli, che semmai pecca di eccesso di cultura, provocando in tanti avversari la reazione pronunciata con la bocca impostata a ‘cul de poule’, “il solito culturame della sinistra”.

E mentre sotto il sole feroce della Bassa la città è in attesa del cambiamento, si spegne Franco Zeffirelli e declina Andrea Camilleri, due vecchi della generazione precedente la mia, che ho conosciuto e che ho ammirato (e per Camilleri amato). Nella Firenze della colonia inglese, quella degli ‘anglo-beceri’, Zeffirelli era amatissimo, invitatissimo, seguitissimo. Non tanto per le sue indubbie capacità quanto perché declinando l’origine di Firenze come capitale del Rinascimento, convalidava la tesi delle radici angliche di Firenze capitale del Rinascimento. Una tesi che piacque moltissimo fino a consolidarsi nella presenza di Berenson ai Tatti, o di Violet Trefusis a Bellosguardo, o dei Browning a passeggio per le vie e piazze di Firenze. Il mito di Firenze nasce inglese e Zeffirelli ne fu il cantore. E si veda il mediocre film ‘Un thè con Mussolini’ che ben ha illustrato questo principio. E quante serate da Doney al seguito dei grandi Maestri nella mia giovinezza fiorentina!

Mentre Zeffirelli ha i giusti onori di un grande a cui viene tributato il massimo dei riconoscimenti da una città governata dalla sinistra, Camilleri si sta spegnendo tra gli insulti schifosi di chi non perdona il suo credo politico, la sua dirittura umana e civile, il suo saper essere non solo il padre di Montalbano, ma una figura di riferimento di fronte alle esitazioni della sinistra. Lordare la memoria e il rispetto a chi ha svolto il suo ruolo civile non lasciandosi travolgere dalla fama, dalla ricchezza, è un segno della preoccupante incapacità degli ‘itagliani’ di sapere, una volta tanto inchinarsi al merito.

Spero che il nuovo sindaco Alan Fabbri sappia raccogliere l’invito tante volte proclamato, ma quasi mai messo in pratica di essere il Sindaco di tutti.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

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