Skip to main content

Per una strana coincidenza, di due luoghi così emblematicamente uniti per l’offesa arrecata alla difesa della civiltà organizzata (“Dal dí che nozze e tribunali ed are/diero alle umane belve esser pietose/di se stesse e d’ altrui […]”, rifletteva Ugo Foscolo) sono stato testimone diretto.

Tra il 1957 e il 1959 ebbi come docenti all’Università di Firenze due grandi studiosi di Storia romana: Giulio Giannelli e Giovanni Pugliese Carratelli. Chi frequenta questa materia sa che il peso dell’attività scientifica di questi due maestri è stato fondamentale per gli studi della storia antica. Caso ha voluto che Giulio Giannelli tenesse un corso proprio sulla città di Palmira e sulla regina Zenobia. Fu una scoperta straordinaria per l’allora ragazzo e per anni desiderai, senza mai realizzarlo, recarmi in quella città che così complessamente racchiudeva tra le sue rovine il senso affascinante del ricordo e dell’arte che a sua volta testimoniava e preservava quel ricordo e quelle civiltà.

Ora si tenta di distruggere – se non lo si è già fatto – quella parte così importante del nostro percorso nella storia; di cancellare nel deserto che la circonda la città crocevia di tante civiltà che l’hanno eretta e resa famosa.

Ora il mio pellegrinaggio sarà breve: andrò in campagna a riprendermi i quaderni d’appunti dove si narrava questa storia e rimeditare una volta ancora sull’ingiustizia determinata dalla ferocia umana e sulla crudeltà di chi sfortunatamente è nato entro uno spazio e un tempo così malvagi da non poter rispondere se non con le stragi alla luce del pensiero e dell’arte.

Francesco Merlo ha scritto un editoriale sulla “Repubblica” del 23 maggio in cui la tragedia di Palmira diventa la “Waterloo dell’Occidente” come si legge nel titolo. Un luogo geografico a cui s’impedisce di diventare storia e bellezza. Secondo Merlo le stragi naziste si differenziano da questa perché “Mai gli assassini divulgavano immagini, tutti si fingevano buoni perché avevano la coscienza del misfatto, nascondevano la storia cancellando la geografia nel recondito e nell’indefinito. A Palmira invece il delitto al quadrato: sacrilegio, profanazione, bestemmia di qualsiasi Dio. Sembra il mondo di Heronymus Bosch, carne, scheletri e mostruosità nella luce accecante del giardino delle delizie”.

A questa toccante considerazione risponde un amico, Giusto Traina, che insegna Storia romana a Paris-Sorbonne con un commento critico all’articolo di Merlo che ci fa riflettere, pubblicato su FaceBook e che qui riporto: “Eh no, Francesco Merlo, non ci siamo, non tanto per la “folk etymology” di Tadmor/Palmyra, dove le palme non c’entrano (il dibattito sul toponimo è roba da orientalisti noiosoni, non ancora incamerata da Wikipedia), quanto per la retorica sulla Waterloo dell’Occidente oggi sbandierata in prima pagina dal Suo editoriale su “Repubblica”, che poi sarebbe quello stesso Occidente che ha una gran parte di responsabilità in questa distruzione annunciata. Ma per favore.”

E di questa replica va dato atto.

Il 24 maggio 1992 gli Amici dei Musei di Ferrara arrivano a Palermo. Siamo alloggiati a Villa Igiea e qui troviamo le tracce fresche della strage di Capaci. La notizia era così enorme che credevamo fosse una esagerazione dei giornalisti che invadevano ogni angolo dell’albergo. Un collega, famoso architetto palermitano, avrebbe dovuto spiegarci l’arredo liberty dell’albergo ma fu una serata inquieta e angosciata. Il giorno dopo il gruppo si divise parte proseguì per Erice e pochi di noi tra cui il mai dimenticato amico Luciano Chiappini restammo a Palermo. Passavamo tra giardini e bellezze sublimi mentre ad ogni angolo la gente smarrita commentava l’accaduto. Alla sera coloro che si erano recati ad Erice ci raccontarono la difficoltà di raggiungere quel luogo perché Capaci si trova sulla via che porta al bellissimo promontorio. Ancora una volta la strage investe, assieme all’offesa alla civiltà, la bellezza e la storia.

Chi a voluto colpire l’ordine di una ben regolata nazione ha tentato di distruggere anche il senso della storia e della sua espressione fisica: la città.

Quando si pensa a questi due avvenimenti fa veramente orrore doversi interessare ai fatti del “celeste” Formigoni e della sua idea di “maschio” come è altrettanto insopportabile quel mondo di pubblicità alle cui leggi devi pur sottostare per poter rimanere informato sui fatti che ormai in contemporanea accadono nel mondo.

E’ più forte di me. Passi – specie all’ora di pranzo – sorbellarsi dentiere, gengive che sanguinano, puzzette da mancata ritenzione dei vecchietti sempre rappresentati in splendida forma (e la voce!, la voce di una signora che si sente sicura in crociera perché ha la dentiera ben fissata!) Ma le vocette, le mossette, i bamboleggiamenti dei bambini che recitano se stessi: terrificanti! A renderli così disumani è lo scopo della “ggente” che adora che i loro pargoli siano rappresentati in quel modo. Un Paese per vecchi che dovrebbero vergognarsi di avere tirato su queste generazioni così banali e prive di aspirazioni.

Certamente ci saranno meravigliosi bambini e ragazzi che non fanno quel che diventa una notizia avidamente assorbita e che racconta di chi defeca nei corridoi poi s’uccide o viene ucciso da giochi proibiti. O di altri che s’interessano e sbavano solo per tutti gli smart del mondo. Ma sembrano non aver voce. O l’hanno troppo debole rispetto a quell’altra. Ecco cosa dovrebbe essere una “buona scuola”. Ecco a cosa dovrebbero pensare genitori e parenti per non vergognarsi di essere considerati incapaci, loro, gli abitanti di un paese così incredibilmente diviso tra serietà ed evasione.

tag:

Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it