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Lentamente risorgo dai guai fisici per testimoniare questi momenti di funzione pubblica che, come già era accaduto in passato, ancora adesso, nonostante i cambi di amministrazione e altro, ripropongono l’immagine di “Ferara, stazione di Ferara” secondo l’antica abitudine.

Mi accorgo all’ultimo momento che la tessera elettorale è esaurita; quindi disciplinatamente il lunedì mattina prendo il taxi e mi dirigo all’Ufficio elettorale, dove da una parte stazionavano i richiedenti del documento e dall’altro si allungava una lunghissima fila dell’ufficio immigrazione. Esce il vecchietto disciplinatore degli uffici a cui bisogna rivolgersi e con aria seccata fa entrare due di noi e li indirizza a sinistra su per la scala. Ubbidiente mi accingo a salire i gradini e contandoli mi accorgo che sono 50! Sono appena reduce da una colica renale, ho un’età di diversamente giovane, perciò non era forse dovere indicare l’ascensore per scalare il piano? Inutile. Bocche cucite! A questo punto esplode la mia rabbia e all’annoiatissima impiegata, che mi guarda con disprezzo, urlo la mia indignazione. Silenzio. E, dopo avermi sbattuto il certificato nuovo, mi affida ad un altro burbero in camicia bianca, che si degna di accompagnarmi all’ascensore e farmi scendere. Inutile protestare dicendo che, al di là di ciò che mi serviva, la tessera era il documento necessario per esprimere la mia volontà democratica: ciò per cui mi sono battuto tutta la mia vita civile. Mentre uscivo ironicamente esprimo il mio ‘grazie’ per avermi aiutato a recuperare il documento. Il vecchietto soddisfatto mi risponde “ non c’è di che!”. Finalmente tronfio di avere i documenti prendo il secondo taxi e mi reco al seggio, naturalmente vuoto, con i giovani scrutatori ansiosamente pronti a esprimere al meglio il proprio dovere e compito, tra mascherine, lavaggi delle mani e distanziamento.

E nella mattina piena di sole m’avvio a piedi a casa, scrutando se dalla casa del nipote medico si avvertano segni di presenze animali, o se nel breve percorso ancora riconosco i pelosi della zona.

I risultati elettorali mi procurano una certa curiosità, non tanto per l’evidente tenuta del governo di alcune regioni-chiave che sembravano definitivamente perdute, quanto per l’oculatezza con cui i cittadini hanno votato. Un brivido mi coglie, quando penso come la Toscana potesse disconoscere la sua identità di sinistra. E non certo per Giani, che ben ho conosciuto e che trovavo eccessivo nelle sue spacconate anche in tempi lontani. Puoi dare fiducia a chi si è gettato per anni la notte di Capodanno dal ponte Vecchio in Arno per cosa? Ma al di là del mediocre Giani, quel che ha retto è stata la fondamentale supremazia del rosso in quella regione. L’avessimo persa sarebbe stato non grave, ma gravissimo. Almeno per me. Poi mi accingo a passare le lunghe ore a sentire i soliti noti a sproloquiare, a commentare, a giudicare. E le nottate con Mentana, Vespa, la Berlinguer, la Gruber, per citarne alcuni che ripetono all’infinito ciò che avevano enunciato domenica e ora mercoledì continuano a ripetere .

Nel frattempo arrivano decine e decine di libri su e di Pavese, che mi aiuteranno a pensare come attuabile la trasferta a Parigi in ottobre alla Maison d’Italie, l’ambasciata italiana, per degnamente commemorare i 70 anni della morte di Cesarito. In questo duro lavoro sono aiutato dall’altro pavesiano di ferro: Fiorenzo Baratelli che mi ha promesso di sollevarmi a prendere l’impresa. E non sarà facile rimuovere e collocare in scaffali atti all’uopo le centinaia di volumi. Ma già l’ho premessa che quella mèsse sarà un giorno tutta sua.

Infine una notizia importante mi comunica gioia e fiducia. La storica dell’arte Barbara Guidi, operativa a Ferrara, ha vinto la direzione del Museo Civico di Bassano. Una scelta tutta meritatissima, che stringerà sempre di più i rapporti tra Ferrara e Bassano, nell’imminenza delle celebrazioni del Centenario di Canova, che rappresenterà per me – se lo raggiungerò – il punto di arrivo del mio impegno sull’artista, in atto da più di 30 anni. Chissà.

E mentre riguardo il bellissimo numero di Studi Neoclassici che è ora in composizione quattro nomi mi ritornano in mente: Antonio, Cesare, Elsa, Giorgio.

I miei eroi di una vita.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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direttore responsabile


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