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Mia nonna, temporibus illis, con la saggezza dell’illetterata commentava: “l’è quei d’altar mond”, che per i non ferraresi sta a significare “sono cose dell’altro mondo-2.
Qui si tratta non solo di cose, ma di parole d’un altro mondo.

Il sindaco leghista di Padova Massimo Bitonci toglie l’incarico dell’organizzazione del prestigioso “Festival delle Parole” a Bruna Coscia e azzera la manifestazione affidando al critico d’arte Vittorio Sgarbi la riorganizzazione dell’evento, che dovrà essere elaborato secondo un progetto che implichi la presenza di una solida rappresentanza di intellettuali di destra.
E fin qui non sono cose dell’altro mondo.
Lo diventano quando il sindaco pubblica la lista nera di proscrizione – pardon rossa politicamente parlando – che include un valente scrittore, Paolo Di Paolo, autore di “Portami tanta vita”, un appassionato racconto sulla morte di Piero Gobetti che, tutti ricordano, è una figura di estrema sinistra (!): ‘comunista!’ direbbe il sindaco, sibilando l’insulto. Un uomo che ha avuto, lui il grande intellettuale di “La rivoluzione liberale”, l’onore di morire sotto i colpi delle squadracce mussoliniane che lo hanno colpito a morte. Eh sì: questi son proprio autori da cacciare. Certo sarebbe stato più consigliabile che il compito di riorganizzare un “Festival delle Parole” fosse stato affidato alla sorella del critico, Elisabetta Sgarbi, che di scrittori se ne intende. Peccato che nella sua scuderia primeggi un vero campione della cultura leghista (!!!), Umberto Eco, e quindi per non provocare imbarazzo… Il critico d’arte molto lealmente confida alla stampa: “Beh, io faccio il mio lavoro e vado dove mi chiamano. Cosa farò? Un po’ di idee le ho dette a Bitonci. Intanto cambiamo nome e logo. Pensavo di fare una mostra della civiltà del Seicento veneziano, ma non so se lo faremo quest’anno o il prossimo”. In tal modo il “Festival delle Parole” vira verso un Festival dell’Arte, ma soprattutto Bitonci è pronto, secondo quello che riferisce il critico alla stampa, a chiamare per concludere la manifestazione Roberto Vecchioni: “Roberto – rivela Sgarbi – era il professore di latino e greco nel liceo dove era preside mio zio Bruno Cavallini da cui prende il nome, insieme a quello degli Sgarbi, la mia fondazione con la sua collezione d’arte. Fondazione che il sindaco Bitonci è disposto a ospitare in pianta stabile a Padova”.
E allora le parole non sono più dell’altro mondo. Diventano realtà.
Ovviamente tutta la nostra solidarietà per le cause sopraddette se si rivelasse vero il furto subìto dal critico nella sua casa di Ro di pregiati pezzi della sua collezione.

Inscatolamento dei nudi d’arte.
E’ ormai paranoia pura, a cui mi associo, continuare a parlare dell’inscatolamento delle statue del Museo Palatino e della necessità sempre più stringente a livello politico di trovarne il colpevole o, per essere misericordiosi, l’incauto personaggio che ha proposto e attuato quell’escamotage che ci ha resi ridicoli e degni di una menzione di vergogna agli occhi di tutto il mondo. A dire dello stesso Ministro dei Beni Culturali, a cui compete in primis la responsabilità del nostro patrimonio, né lui né il Presidente del Consiglio erano stati messi al corrente della decisione.
Ammettiamo come veritiera la dichiarazione, che suona tuttavia estremamente stonata e ambigua. Se si vuol ricevere un personaggio come l’iraniano Ruhani, sapendone le convinzioni religiose, lo si ospiti of course in luoghi dove la sua sensibilità non viene in qualche modo offesa. Che so: le Terme di Diocleziano, la Domus Aurea, i sotterranei del Colosseo. Luoghi spogli che non farebbero sentire, come diceva un mio parente per giustificare nuove nozze dopo la perdita della prima moglie, ‘il morso della carne’. Oppure sarebbe bastato ricoprire le statue con un leggerissimo burka di velo bianco che lasciasse intravvedere, ma non scoprire, nudità eccessive. Mai però il Quirinale! Una soluzione che avrebbe richiesto la copertura degli attributi dei Dioscuri, che li esibiscono nel bel mezzo della meravigliosa piazza e che forse più che il politico iraniano avrebbero colpito la di lui consorte.
Fuor di scherzo, l’insipienza e la goffaggine della soluzione presa è stata veramente notevole. E ora alla ricerca del/della colpevole. E che abbia una pronta rimozione!!! Come il guardiano in mutande che strisciava la sua tessera e poi tornava a dormire. Sembra che le prime convulse indagini abbiano individuata nel capo del cerimoniale Ilva Sapora la funzionaria che ha ‘inventato’ la soluzione. Ma è credibile che una funzionaria in questa delicatissima fase non abbia riferito ai suoi superiori un così drastico provvedimento? E a quale superiore va riferita la sua dipendenza: Alfano? Franceschini? Renzi?
Ecco ciò che rimane in sospeso nel pasticciaccio brutto del Museo Capitolino.
Silvia Ronchey, illustre storica scrive giustamente che la responsabilità della gestione di un museo è quella del Direttore. Se questi dichiara di domandare al Governo, scaricando su quest’ultimo la responsabilità dell’impresa, non è che la sua diminuisca, secondo le giustissime affermazioni che ribadisce un’intervista a Rai Tre l’ex direttrice storica della Galleria dell’Accademia di Firenze, Franca Falletti.
Coprire la nudità dell’arte è molto simile all’iconoclastia e piegarsi alle esigenze del premier Ruhani, umiliando il giusto e necessario orgoglio della propria immensa tradizione culturale, è in fondo dare ragione al Califfato Nero. Rende inutile il sacrificio del direttore del Museo di Palmira e le orrende mutilazioni inferte al corpo della cultura mondiale. Credo e voglio credere che la sensibilità dimostrata in tante occasioni dal ministro del Mibact lo preservi dal grottesco delle statue inscatolate. Se no che senso avrebbe dichiararsi immediatamente fuori?
Quel che resta di tutta la vicenda è che la bellezza, prima consapevolezza dell’arte, è stata violata e con lei la forma più alta di realtà. E le parole diventano pietre.

Non ultima cosa dell’altro mondo, le dolorose dimissioni di Tomaso Montanari dal Direttivo Nazionale di Italia Nostra. Le ragioni nella lettera di dimissioni, che m’inducono a prendere la parola in una vicenda che rischia di compromettere la forza e la credibilità di un’Associazione così importante ed essenziale per la difesa del nostro patrimonio ambientale e culturale, stanno nel fatto che Tomaso Montanari è stato una delle liete scoperte nate dal Premio Bassani, indetto dalla sezione ferrarese di Italia Nostra in collaborazione con quella nazionale. Montanari si è impegnato in modo straordinario nella difesa di quei valori che hanno indotto personalità di primo piano a coalizzarsi per la difesa del nostro patrimonio. Bastano due nomi tra quelli fondativi: Giorgio Bassani ed Elena Croce. La giustificazione del dimissionario si appella a questa affermazione: ‘Ho sempre pensato che il faro dell’Associazione dovesse essere una celebre frase del suo presidente Giorgio Bassani per cui Italia Nostra opera perché un giorno non ci sia più bisogno di Italia Nostra”. Ebbene si rimane sconcertati quando si legge la risposta dai toni inflessibili che il Presidente e il direttivo hanno usato per accettarne le dimissioni. Che poi un’ala di minoranza – ma che minoranza! – abbia appoggiato la protesta di Montanari mi sembra altrettanto importante. Ognuno si esprime come sa e come è uso portare aventi le proprie battaglie. Quelle di Montanari sono state straordinariamente importanti e questo, solo questo, avrebbe dovuto contare. A cominciare del progetto di Bagnoli.
Rimane l’amarezza che nell’anno del centenario della nascita di Bassani, quando Ferrara diverrà il fulcro del suo insegnamento e della sua dedizione a quei valori civili le cui testimonianze saranno raccolte in quella Casa Minerbi – luogo privilegiato anche per la storia di Italia Nostra – si debba ancora una volta ricorrere all’esclamazione della nonna: “Quei d’altar mond”.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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