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Il fraterno amico Andrea Emiliani mi vuole assolutamente al suo fianco nell’occasione della presentazione della mostra su Carlo Bononi al Palazzo dei Diamanti. Tergiverso in quanto poco propenso alle ‘prime’, ma di fronte alla sua risoluta determinazione e al Bononi redivivo mi decido ad accompagnarlo. In altre occasioni scriverò più seriamente sulla bella mostra; ma qui vorrei riportare i riti e i miti di quell’evento che sigla un lavoro lungo e coraggioso, i cui frutti sono visibili non solo nei confronti che la mostra instaura tra il pittore e i suoi contemporanei, ma anche nell’originale intuizione di accostare la mostra ai capolavori di Bononi sparsi nelle chiese di Ferrara e provincia e soprattutto nel luogo forse più emblematico per capire la qualità della sua pittura, vale a dire nella chiesa di Santa Maria in Vado che custodisce le opere somme del pittore.

Ci fanno accomodare all’ingresso della mostra mentre una folla imponente attende di entrare a scaglioni accompagnati dai responsabili dell’esposizione, Francesca Cappelletti e Giovanni Sassu. Dopo le parole del Sindaco e della direttrice delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea, Maria Luisa Pacelli, si dà la stura alle entrate che vengono introdotte sollevando la tenda entro il nero inquietante della mise en scène. Ripenso allora alle ultime mostre dove sembra che il sogno abbia la prevalenza sulla realtà. Per Ariosto, cosa vedeva quando chiudeva gli occhi e, per Bononi, l’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese. Decine di persone vengono a porgere il dovuto omaggio a chi ‘inventò’ sessant’anni fa il Bononi: un giovane di 26 anni che propose, sfidando le perplessità degli intellettuali che decidevano i volumi della mitica collana pubblicata dalla Cassa di Risparmio, lo sconosciutissimo pittore. Emergono dalla folla volti e persone doverosamente invecchiati a salutare il grande critico mentre la tenda nera s’alza e s’abbassa svelando lampi di luce delle opere esposte.
Alla fine ci avviamo lentamente lungo le sale che accostano in un perfetto bilancio incontri e scontri, rapporti e deviazioni. E allora il grande critico racconta all’amico intento i recuperi e le compere di quadri del Bononi, che arrivavano in pinacoteca a Bologna avvolti in carta da giornale comprati da farmacisti di piccole città marchigiane e romagnole e individuati da due sommi critici come Andrea Emiliani e ‘Momi’ Arcangeli. S’intrecciano ricordi e certezze critiche. La validità insuperata del libro forse più importante per la conoscenza dell’arte a Ferrara, vale a dire ‘L’officina ferrarese’ di Roberto Longhi, citato già nel titolo, ma anche le presenze forti di critici-scrittori, come Claudio Savonuzzi, senza dimenticare l’imponente lavoro recupero di un’età storica assai poco conosciuta come il Seicento ferrarese con i fondamentali studi di Ranieri Varese. Sono snodi fondamentali che hanno poi avuto una originale prosecuzione nei lavori di Cecilia Vicentini, Stefania de Vincentis, Giovanni Sassu e la scuola della storia dell’arte dell’Università di Ferrara capeggiata da Francesca Cappelletti, la ‘caravaggesca’. Così un secolo già un tempo oggetto di scarso interesse si costruisce su temi fondamentali che parlano e dipingono in ‘barroco’, con il formidabile argomento della Controriforma che il grande Paolo Prodi riconduceva a una più complessa idea di Riforma cattolica, con l’inventio dell’arte gesuitica. Insomma, un gran bel movimento!

Alla fine del percorso il nudo imperante nelle opere del Bononi si costruisce con membra contorte e così paurosamente reali, per esempio la stupenda Pietà della chiesa delle Stimmate con l’accavallarsi delle gambe e lo spasmodico linguaggio delle mani o le natiche dell’uomo, che si sporge visto di spalle nella Sibilla della collezione Sgarbi ed entro queste membra così naturalistiche l’intrusione e l’infiltrazione di paffuti angioletti.
Un gran bel vedere.
Infine il pranzo dove la più raffinata è la moglie del sindaco nel suo completo casual tra eleganze in nero (si sa il tubino nero, ‘va’ ancora) delle gran dame prestatrici ravvivato da collane strabilianti (notevole quella di Carla di Francesco), possibilmente false per notificare l’understatement. Tra i maschietti in gran tenuta (io stesso esibivo cravatta Hermès d’antan) si contavano poche camicie bianche, segno di un look renziano non più di moda.
Alla fine Bononi-Emiliani era molto contento, anche se il ruolo del bacio immaginario della mano gli stava un po’ stretto.
Mostra dunque notevole, presenze forti, Ferrara in gran spolvero.
Tutti ci auguriamo che non perda questa preziosissima provincialità.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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