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Risvegliarsi alla mattina… con quella faccia un po’ così, non è sempre facile.

Pensiamo a un ministro imbufalito con i migranti che si ritrovi ogni giorno a dover contemplare con lo stesso aplomb il viso del suo collega squisitamente mediterraneo tendente al marocchino (bello).
Si pensi allo stesso ministro costretto a riconoscere la vittoria a Sanremo di un bravo cantante dalla voce, dal nome e dall’aspetto squisitamente ‘migrantesco’, benché Mahmood sia lo pseudonimo di Alessandro Mahmoud, un cantautore italiano di origini egiziane
Dubbi.

Come farà Simone Cristicchi a dormire dentro la selva non oscura, ma grigia, della sua capellatura? Pazienza per la Patty nazionale, che confessa di fare dei suoi ‘belin’ color crema pasticcera cuscino da notte, ma per lui sorge il problema: coordina il pelame della barba con quello dei capelli? Entro una struttura adatta allo scopo?
Il Kolossal dell’orrore spetta però alla Loredana Bertè che assomma fattezze alla Blade Runner col filo gentile dei capelli color fata turchina e labbroni un po’ indecenti come quelli di una nudità sfatta.
Il corpo come libro su cui si scrive – e il peggiore a mio avviso momento visivo e musicale – è quello di Achille Lauro, il cui nome evoca fatti e misfatti e che accavalla gambette ragnesche con un viso divenuto saggio di scrittura per poveracci di quartiere. E troppo inoltre significa far risuonare quel titolo ‘Rolls Royce’, che è lo stesso di una grande poesia di Giorgio Bassani

Poi di colpo mi s’illumina la mente afflitta da tali ‘immensi’ pensieri.
Cos’è il lusso per i borgatari italiani (una media dell’80% della popolazione) che si rispecchiano nel modello Sanremo? Paillettes e lustrini, specie per i maschi, anelli, collane e orecchini a sottolineare una pseudo identità sessuale (in realtà la donna, anche nelle scelte sanremesi sta sempre tre passi indietro). Il conduttore s’avvolge in giacche strabilianti passabilmente serie, mentre spicca in tutta la sua elegante provocazione l’unica presenza culturale (cultura seria…) del Festival: la Virginia Raffaele.
Si capisce allora che l’eleganza invocata come segno di distinzione – ricordate le nostre nonne per le quali il massimo del consenso si coagulava nell’aggettivo ‘distinto’? – si rivolge al fascino della divisa, ampiamente sfruttata dal vincitore di ogni sondaggio politico, il signor Matteo Salvini, oppure alle felpe con il cappuccio atte a nascondersi quando si è impegnati in atti, come dire poco eleganti, con propensione attuale per i gilet gialli, oppure ancora allo sfarzo ancor più sontuoso derivato dalla ‘spezzatura’, ovvero la mistione di vestiti solenni quali lo smoking per l’uomo o l’abito lungo delle donne abbinati con magliette e canottiere molto pop. Ovviamente il tutto condito con l’uso smodato del tatuaggio, specie quello nascosto (e un brivido mi riporta alla feroce realtà nel ricordare il corpo di Robert de Niro nel terribile ‘Cape Fear’ di Martin Scorsese).
Straordinaria, invece, nel suo accettato viale del tramonto la grandissima Ornella Vanoni ormai in tutto simile alla Norma Desmond del grande film di Billy Wilder.

Queste considerazioni valgono naturalmente per un pubblico di lettori della mia o al massimo della successiva generazione. Di questi paragoni i giovani nulla sanno come ben sanno gli insegnanti (ah! ministro dell’istruzione Bussetti quando imparerà che il tacere – a volte – è bello?).
La memoria sempre più corta ci invita ogni momento di più a rifugiarci nell’attimo del presente che un minuto dopo è già vanificato. S’aprono scenari incredibili: lotta seria tra i cugini delle Alpi Francia e Italia. Un Presidente del Consiglio che si fa piccino picciò di fronte alla furia iconoclasta dei due reggitor de lo imperio (infernale).

Quale faccia a modello? Almeno due: bianche. L’incredibile pulizia dentro e fuori del presidente Mattarella, impeccabile nella sua soffice aureola di capelli bianchi perfetti, e quella altrettanto bianca nel vestito e nel credo di papa Francesco. Gli unici che spiccano in questo coacervo di invasati che fanno ‘politica’. Tutti, purtroppo.
E a ‘Ferara’? Appena spenta la polemica sui Diamanti altre s’aprono, tra bocche che urlano e minacciano di masticarti intero. Sfilano bandiere nere, s’alzano saluti che ricordano tempi che si credevano passati, si moltiplicano inviti a sagre e ristori di ogni genere, che fanno molto campagna elettorale. Un quartiere, il Gad, diventa terreno di scontro. I telegiornali cittadini si destreggiano abilmente tra l’unica, vera, totale passione dei miei concittadini, la Spal, e avvenimenti culturali ancora di grande rilievo.

Attendiamo con impazienza l’importantissima mostra del Meis sul Rinascimento ebraico. E’ alla fine il grande libro ‘visivo’ su Giorgio Bassani. Il teatro Abbado sforna stagioni straordinarie di prosa, musica, balletto, opera, mentre in platea i soliti noti guardano con preoccupazione chi sfornerà programmi culturali più eccitanti. S’annuncia un Boldini veramente alla moda ai Diamanti, mentre cari amici a Forlì aprono mostre di altissimo spessore sull’Ottocento .
Riuscirà il modello culturale emiliano a reggere l’urto del nuovo che avanza?
Lo sapremo tra qualche mese.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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