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Mentre la parete di alberi col suo fiato profumato mi avvolge fino dentro la camera, qui a Vipiteno, penso e constato che ormai la mia ricerca per capire l’umore degli italiani medi, le loro richieste, i loro idoli, le loro preferenze, ormai è finita.

Non più a sentire l’umidore dei pensieri di zia Mara, non più a contemplare le unghie laccate delle mani tozze di Al Bano nella sua divisa pseudo chic tra cappello, sciarpetta, e giacchetta vip; non più la seriosità esibite nelle dichiarazioni calcistiche nel frattempo sconfessate dall’urlo bestiale dei tifosi; non più a contemplare l’abbraccio decisamente non odoroso degli idoli d’oggi, convulsamente attenti a reiterare gli scaramantici gesti della loro avventura milionaria.

Si tenta di spacciare il fisico di Maldini con riferimenti erotici non indifferenti. Perfino il capo di Stato si piega al rito e al mito del calcio. Ed io alle 11 di sera, assistendo alla cerimonia di chiusura del premio Strega, mi commuovo ancora sentendo la serenità raggiunta, la qualità altissima del pensiero di Edith Bruck [Qui], la sua immensa umanità espressa in parole; quegli occhi che hanno visto e condiviso l’orrore e hanno saputo trasformarlo in dialogo, in una totale trasformazione in eticità e amore.

Ma qualcosa succede. Incuriosito dalla frettolosa cena di gala, che di solito conclude la settimana nell’hotel Zum Engel, dal frettoloso sparire degli ospiti, risalgo in camera e spingo il pulsante e m’immergo nei momenti conclusivi della partita del secolo. Non l’avessi mai fatto! Mi lascio trascinare dalle prodezze dei campioni e, per la prima volta in vita mia, vengo travolto dall’eccitazione comune.

Guardo intanto con altrettanto ribrezzo le scene mostruose che accompagnano e commentano la vittoria; sghignazzo a più non posso agli osceni strafalcioni, che vengono propinati dai commentatori. Uno per tutti. A piazza del Popolo a Roma l’eccitatissimo cronista urla come sia commovente accompagnare assieme le note “dell’inno dei  Mameli” tutti assieme!

Nella Repubblica di lunedì 12 luglio l’editoriale di Ezio Mauro così commenta: “Ancora una volta scopriamo che lo sport veicola ed esalta il sentimento nazionale come se fosse diventato l’unica espressione ancora capace di generare e legittimare democraticamente lo spirito patriottico”.

Da questo spunto invece di elaborare la recensione attesa e complessa dell’ultimo volume della scrittrice ebraica Natasha Solomons [Qui], I Tunderbaum, mi dedico all’analisi dei festeggiamenti e degli inviti al Quirinale e a Palazzo Chigi dedicati da Mattarella e Draghi alla nazionale vittoriosa e al fascinoso Matteo Berettini. E capisco che ormai senza lo sport è impossibile governare. Mi si stringe il cuore; ma così sembra debba intendersi la funzione dello sport nella totalità dei governi d’ogni tipo.

Mentre di ritorno dal Castello di Ambras ad Innsbruck [Qui], travolto dalle meraviglie guerriere di Ferdinando II, dalla Wunderkammer con le sue mostruosità fascinose, dai personaggi della nostra storia tra cui lo splendido ritratto del duca ferrarese Alfonso II e della sua sposa Barbara d’Austria, dal giardino segreto e dal pavone che urla la sua bellezza passeggiando tra le aiuole, capisco che ‘forse’ lo sport ha sempre dominato come esercizio del potere (e si veda il Gigante di Ambras che, novello Gigio Donnarumma, imponeva le sue mostruose fattezze nelle collisioni tra eserciti).

Peter e Delberta sono contenti del mio stupore e questa giornata speciale si conclude con il più spaventoso temporale a cui abbia mai assistito, mentre lo scenario delle abetaie e pinete che alzano la coda del meraviglioso abito da ballo che indossano e che indolentemente rivela cime e montagne che lasciano senza respiro.

Per leggere gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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