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Il mio omonimo criceto è arrabbiatissimo, anche se m’invita al ragionamento e alla calma. Tutto nasce quando dai profondi recessi della stupidità umana esplode il caso del film Via col vento, sospettato dalla distribuzione Hbo di propagare e diffondere elementi razzisti. L’allarme è lanciato dai giornali e ripreso da Fiorenzo Baratelli nella sua pagina fb. Così reagisce : “Hbo toglie dal catalogo Via col vento perché ha contenuti ‘razzisti’. Stiamo rimbecillendo?”. Immediatamente chi scrive queste note pubblica la sua reazione sull’assurdità delle vicenda riprendendo l’informazione sotto il titolo “Questa è l’idiozia che rafforza il razzismo!” M’informo cos’è Hbo e leggo che è una piattaforma in streaming distributrice di film.

Ma la decisione della piattaforma viene ulteriormente aggravata da una dichiarazione rilasciata alla famosa rivista americana Variety che così suona: “Un portavoce di Hbo Max ha dichiarato al sito Variety che Via col vento è un prodotto del suo tempo e raffigura alcuni dei pregiudizi etnici e razziali che, purtroppo, sono stati all’ordine del giorno nella società americana. Queste rappresentazioni razziste erano sbagliate allora e lo sono oggi e abbiamo ritenuto che mantenere questo titolo senza una spiegazione e una denuncia di quelle rappresentazioni sarebbe irresponsabile.”  Ma allora che facciamo? Rimodelliamo la Divina Commedia perché Dante potrebbe essere considerato islamofobo? E con lui tutte le grandi opere di parola e di arte che abbiano in qualche modo testimoniato le ‘ragioni’ dei vincitori? Questo è non capire la differenza che la storia ci insegna o ci dovrebbe insegnare tra la cronaca che dà impulso a un nuovo tipo di verità e che consideriamo ‘arte’.

Una colossale cantonata che ben si confà al clima che il presidente Trump ha alimentato negli USA dopo l’assassinio di George Floyd e che si accoppia con le frange estreme della violenza antirazzista che come spesso – se non sempre – si accompagna a questi movimenti, quando si dimentica l’elemento guida dell’analisi di certe azioni e provvedimenti, che dovrebbe essere la storia. Tutto ciò porta dunque alla furia iconoclasta, che al massimo potrebbe rivolgersi ai personaggi del Museo delle cere, o ancor meglio a ciò che è non valido esteticamente. Inutile perciò l’abbattimento delle statue e la rimozione di opere, monumenti e la deturpazione di luoghi che potrebbero ricordare il passato razzista e che testimoniano, come si sarebbe portati a credere, non la verità, ma l’elaborazione artistica della verità: un’altra dimensione. Che dire poi della lettera del cardinale Viganò (che da sempre si adopera per le dimissioni di papa Bergoglio) a Trump e al suo sostegno all’azione di repressione dei moti libertari del popolo afroamericano? Da sempre l’universo cattolico americano è diviso sul nome di papa Francesco.

E assieme all’analisi storica la fondamentale capacità in tanti momenti cruciali della fisiognomica. E per farmi capire il concetto il mio criceto mi canta sulle note della celebre canzone di Morandi, La fisarmonica, il pericolo e la verità contenuta nella fisiognomica.

Ritorno ai miei ricordi semi-infantili. Via col vento l’ho visto nel 1951. Mi pare al Cinema Astra  di Ferrara appena costruito. Il film è stato prodotto nel 1939 dall’omonimo libro di Margaret Mitchell uscito nel 1936 ed è l’unico romanzo della scrittrice statunitense, alla cui celebrità ha contribuito l’omonimo colossal cinematografico di Victor Fleming del 1939.                                   
Ora l’editore Neri Pozza già da due anni ha pubblicato una nuova traduzione che superava quella degli anni Trenta; quella tutta infarcita dagli stilemi con cui si pensava allora parlassero e si comportassero i neri. Una nuova versione che appare attenta alla nuova visione storica, con cui s’interpreta il razzismo oggi di estrema attualità dopo l’assassinio di George Floyd. Non va mai dimenticato che il romanzo e il film sono ambientati entro la più grande guerra mai combattuta tra gli stati del Sud, che difendevano la proprietà del commercio dei negri e quelli del Nord che operavano per la loro liberazione (si fa per dire). E basti pensare come padri della patria come Lincoln o Jefferson si comportarono con le loro serve- amanti di colore.

Ma ritorniamo al caso della conoscenza della razza nera o semitica. Da bambini, come tutti in quegli anni, dopo la fine della seconda guerra mondiale sapevamo che l’attrazione femminile o gay per quel popolo, così si favoleggiava, dipendesse dalle dimensioni del loro organo sessuale. Nel 1957 entrai alla Casa dello studente di Firenze. Lì incontrai parecchi studenti arabi iscritti a Medicina. Diventammo amici e la cosa che con riluttanza mi rivelarono era che per il loro olfatto noi puzzavamo: da morto. Ecco dunque rovesciata la dimensione chiamiamola fisiognomica. Nella realtà per loro noi puzzavamo. Da qui poi scaturiva il prendere conoscenza delle rispettive caratteristiche, che non offendevano il ‘particulare’, ma che diventavano storia. Negrieri, città costruite sul traffico dei negri, monumenti, statue, palazzi o città poggiavano su quell’immonda pratica che la storia NON può cancellare. Così potrebbe essere giusto prendere le distanze dalla vita di Rimbaud, divenuto trafficante di schiavi dopo la rottura con Verlaine, ma questo non mi deve impedire di leggere Une saison en enfer.

Cesare de Seta nel suo L’isola e la Senna porta il caso di Nantes. Scrive: “Tra Settecento e Ottocento circa la metà del traffico negriero intrapreso da armatori francesi fece campo a Nantes […]Dunque Nantes si guadagnò un primato nella tratta degli schiavi e i borghesi della città si arricchirono[…] Guillame Grou nel corso di una trentina d’anni considerati i più fruttuosi per questo commercio, nel Settecento accumulò enormi ricchezze[..] il patriarca della famiglia prima di morire volle salvarsi l’anima lasciando una fortuna all’Ospedale per gli orfanelli di Nantes. L’hotel Grou è ancora oggi una delle più eleganti dimore nell’isola Feydeau” (pp.108-109). Che facciamo? Abbattiamo tutto? E anche le parti ottocentesche della meravigliosa Cattedrale costruite con le donazioni dei cittadini negrieri?

Il caso più singolare che richiama l’odierno conflitto su Via col vento è la figura della bambinaia Mami nera e grassa interpretata magistralmente nel film da Hattie McDaniel, cantante attrice che le valse l’Oscar nel 1940, il primo concesso ad un afroamericano.                                                   

Hattie McDaniel

Come recita la sua biografia Hattie McDaniel nacque in una famiglia di ex schiavi, ultimogenita di 13 figli. Il padre, Henry McDaniel, combatté nella Guerra Civile come facente parte del 122º USCT (United States Colored Troops), le truppe composte da soldati afroamericani, mentre la madre, Susan Holbert, era una cantante di musica religiosa. Pur relegata al ruolo che le veniva imposto dalla sua figura fisica, Hattie recitò in ben 30 film, morendo nel 1952, ma non si associò mai alle manifestazione di protesta per i diritti degli afro americani.

Nella vicenda legata alla decisione di Hbo fondamentale – e come non lo potrebbe essere? – il commento della grandissima Natalia Aspesi apparso sulla Repubblica dell’10 giugno dal titolo Perdonaci Rossella ti cancelliamo. L’articolo così si concludeva: “La sera degli Oscar, tra i candidati c’era anche Hattie McDaniel, la grassa cameriera nera che adora Rossella, che concorreva per il premio alla non protagonista assieme a Olivia De Havilland, per lo stesso film: vinse Hattie, la prima donna di colore a ottenere un Oscar, che potè ritirare, senza però potersi sedere con gli altri vincitori bianchi. Negli Stati Uniti non succede più anche se c’è di peggio, ma in Italia c’è qualche eroica signora che insulta sul tram le donne di colore, obbligandole a scendere e qualche vecchio scemo che sul treno pretende di vedere se un ragazzo nero ha il biglietto.”

Il dibattito che ha provocato questa decisione supera la contingenza per affermarsi come momento fondamentale dell’elaborazione storica. La mancanza del processo storico, che è spesso una delle forme negative di quella grande nazione a confronto ad esempio con la nostra europea, forse è dovuto all’eccesso di punti convergenti della loro storia. Non a caso tutta l’epopea americana è una ‘conquista’. Il nome stesso lo dice e lo afferma. E ‘conquista’ è anche ora la reazione degli afroamericani, che dai loro conquistadores hanno imparato la tecnica dell’abbattimento di ciò che ricorda il loro passato. Una pratica pericolosa che dà la possibilità a Trump di insistere sulla necessità di una legalità che spesso potrebbe significare repressione.

Ma il criceto sbrigativamente mi ricorda “Stai ad ascoltare umarèl! Non ti va mai bene niente. Prima t’imbarazza essere attaccato perché hai espresso il tuo dissenso sulla mostra di Banksy. E cosa dovrei dire io che sono scambiato per questione fisiognomica con i suoi amati topi? Lassa perdar…Ricordati che nella tua età di diversamente giovane sei stato invitato il 16 ottobre alla Maison d’Italie a Parigi a inaugurare il convegno europeo sui 70 anni della morte di Cesare Pavese. Poi a Torino per la stessa occasione all’Università in novembre!!! Prega solo che la bestia (alias coronavirus) ci lasci in pace. Ecco Cesarito ti riporta alla missione che solum è tua: quella di studioso. E per finire ricordati che non ti mollo da solo a Parigi!”

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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