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Il lento e inesausto raschiare di scope e ramazze preannuncia l’imminente chiusura della stagione estiva ai Lidi ferraresi. Attentamente i diversamente giovani s’applicano alla rimozione degli aghi di pino, che inesorabilmente riempiono ogni luogo, anfratto, via piazza, tende e giardini, fino a spingersi, trascinati dal vento, sulla passerella che porta al mare lontano.

In città, quasi un risveglio da un lungo torpore s’aprono fronti di dissenso coordinati da Mario Zamorani, a cui hanno dato rilievo scritti  di alto valore quali – solo per citarne quelli a me più vicini – quelli di Fiorenzo Baratelli,  di Federico Varese e di Alessandra Chiappini. Un vento nuovo che promette finalmente un serio ripensamento sul perché della sconfitta politica.

Frattanto con mossa astuta il festival del Buskers s’apre con la partecipazione di Gianna Nannini, a sorpresa, che raduna folla compatta senza alcuna protezione e rispetto per la distanza. Ma si sa così accade tra musica live, discoteche, movide, come insegna la vicenda del locale del primo Naomo, che come ora è stato rilevato non è il vicesindaco di Ferrara, bensì Flavio Briatore proprietario del Billionaire e accanito negazionista della pericolosità del coronavirus.

Sulla spiaggia intanto l’affollamento si fa sempre più critico, con un’inesauribile passaggio di bagnanti e racchettanti. Dal mio punto di osservazione noto che dagli onnipresenti calzoncini a mezza gamba nella specie maschile escono polpacci mostruosi, che confermano l’assoluta prevalenza di un popolo di sportivi che ciabattano, strisciano le infradito, s’avanzano indolenti a raggiungere il tavolo pronto, dove s’avventeranno sulle delizie mangerecce.

Ma quest’ultima ondata a giudizio del vecchio stizzoso (la categoria a cui  appartengo) produce un allentamento, non tanto delle misure anti covid, ma della dignità vestimentaria. Così delle famigliole che s’aggruppano festanti, ignobilmente vestite, chi si salva sono solo i pelosi che li accompagnano. I loro compagni umani traversano, strade, viali, e luoghi di mercato semisvestiti, quasi nudi coperti dal solito zaino lasciando scie di profumo scadente, di olio da sole, di sudore.

Allora il vecchio stizzoso apre la tv per confrontare se il modello esce da quella fonte. E viene sommerso da orde di pseudo-cantanti vestiti in modo assurdo, accompagnati da schiere di chellerine (ah! Finalmente l’uso di una parola esatta), che servono loro la possibilità di un’esibizione ‘moderna’. Non parliamo poi dei gesti e delle pose dei calciatori con tutto il rituale di cui mi occupai qualche puntata fa.

Quindi la giustificazione dei ‘vestimenta laideschi‘ ha la sua origine e giustificazione dal modello televisivo, che impone come riferimento assoluto la volgarità. Non è dunque scontato che rifacendomi ad antichi studi e ad amatissimi poeti mi torni in mente il celebre incipit di Eusebio-Montale che così suona:
“Felicità raggiunta si cammina per te sul fil di lama” che potrebbe tramutarsi in “Volgarità raggiunta si cammina/per te ormai desnudo/e quindi non si vesta chi più t’ama”.

Chissà se il Laido mi rivedrà ancora negli anni futuri. Frattanto trasloco i libri nella casa-madre e, mentre raggiungo finalmente in ascensore, non più arrancando per scale sempre più difficili per raggiungere il luogo di studio, m’immalinconisco pensando cosa è e cosa avrebbe potuto essere il Laido degli Estensi.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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