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Tra le ferree catene del covid-19 alcune sembrano particolarmente salde.
Ecco allora che con moto sinuoso e strisciante le nostre vite vengono invischiate in una serie di problemi che un sciagurato travolgimento delle parole e l’assoluta incuria rivolta verso la lingua italiana assume agli onori del dire questa parola, ora in assoluto la più usata, che trionfalmente si è incastrata come espressione della vita di tutti i giorni assumendo la forma particolarmente odiosa di problematiche. Nessuno se ne salva; perfino illustri italianisti e storici della lingua. Chi l’esprime con la perfezione assoluta è il comico Maurizio Crozza quando imita il dottor Luigi Locatelli e naturalmente il professor Alberto Granzillo. Non è che questa sia una questione di poco conto. Se ne veda la spiegazione nell’Accademia della Crusca:

“Molte persone, della più varia provenienza geografica (da Gamalero a Udine, da Padova a Ragusa, passando per Perugia, Firenze, Ancona), si sono rivolte alla redazione per segnalare l’uso sempre più frequente e indiscriminato della parola ‘problematica’ come sostituto di ‘problema’. La percezione di chi scrive è che si tratti di un ‘abuso’, di un uso ‘scorretto’, ‘arbitrario’; il ‘nuovo  lemma’ viene giudicato ‘inutile e bruttino’: ‘disturba’ e ‘sa molto di politichese’. Ci viene chiesto di esprimere un parere in proposito e di illustrare se le due parole ‘problema’ e ‘problematica’ siano effettivamente sinonimi, quale sia il significato proprio di problematica, se questa parola possa essere usata e in che senso.”

Risposta

“….In tutti questi casi, l’occorrenza di ‘problematica’ si caratterizza non come scelta denotativa, in relazione al significato che si vuole veicolare, ma come scelta di registro: la parola ‘problematica’ viene selezionata al posto di ‘problema’ non perché sia più precisa o più adatta al contesto, ma perché, per chi la usa, assume una connotazione ‘alta’, ‘formale’, che consente una presa di distanza dall’italiano comune e sembra quindi garantire un innalzamento di livello rispetto alla lingua d’uso quotidiano.”

La stessa cosa potrebbe essere applicata a tema-tematica e ancora ad una serie di aggettivi-sostantivi come fragile/i da riferirsi a persone anziane e/o malate seriamente.
Ricordo in tempi lontani come l’accoppiata temi/problemi fosse di uso frequente ma sicuramente l’uso tecnicamente e scientificamente più alto di problematica ha reso il lemma particolarmente indicato in tempi di corona-virus.

Nelle lunghe giornate che trascorro talvolta a scorrazzare tra programmi televisivi che mi promuovono indignazione e sconforto e altre che appaiono, almeno nell’informazione corrette, alcune mi prendono alla gola, come impensabili modi d’essere e di esprimersi di persone che non mi paiono far parte della mia educazione culturale o etica. Per non far nomi le terrificanti vicende esposte in un programma in cui dopo aver sentito incredibili casi polemici un ‘vero’ giudice’ assolve o punisce gli imputati; un’altra dove personaggi (forse) famosi si lanciano in danze fantasiose giudicate da una serie di personaggi il cui tacere è (sarebbe) bello che li rendono celebri l’espace d’un matin.

Naturalmente alcune reti televisive e programmi di attualità ti riportano alla consapevolezza di una dignità dell’informazione pubblica degna di un tale nome. Poi ecco apparire la chioma slavata del perdente Trump tra inni e tripudi dei non rassegnati, o il bel viso di Kamala Harris tra altrettanti balli e contorcimenti poiché gli USA storicamente sono così.
Allora per un momento mi rendo conto che loro potranno sì essere il paese più potente del mondo, ma il contesto storico di chi scrive queste note può scegliere di applicarsi a produrre recensioni di libri colti, o addirittura vedersi affidata l’analisi di un libro che narra le avventure di una straordinaria figura: Barbara Sanseverina, ava di una mia cara amica che ne ha scritto la storia e poi ricordare che a pochi chilometri di distanza, o addirittura dietro l’angolo di casa mia a Ferrara, la sapiente organizzatrice di giochi erotici dirigeva feste per nobili e potenti per poi perdere la vita su di un palco, decapitata non dalla mannaia che si usa per gli umani, ma con il ‘mannarino’ che si usa per gli animali mentre il boia la sculaccia, lei 64enne, a sedere nudo per attirare l’entusiasmo della folla. E di questa signora bella e lasciva Gigliola Fragnito ha scritto la storia, ricordando anche l’innamoramento che di quella donna ebbe Stendhal che la elevò a figura ideale nella Chartreuse de Parme.

Devo ammetterlo. Essere considerato sprezzantemente radical-chic mi riempie di entusiasmo, anche se questa dizione e (forse) il conseguente atteggiamento elitario-culturale sempre più tramonta in una città, la mia Ferrara, che inesorabilmente scivola nella banalità e nella noiosità. Eppure solo pochi anni fa, precisamente nel 2003, questa città fu assunta in Europa a modello di una Renaissance singulière. E non è stato di poco conto .
Ora ci si limita a presentare una rassegna di pittori mediocri che fanno audience, i cui frequentatori possono apparire gli scafati che hanno trovato-ben coadiuvati-il modo di ‘tirarsela’ e di essere à la page. Si gira ansiosamente per il centro vuoto inseguito da colori che virano al rosso, quel colore da evitare, che ricorda un altro rosso, quando chi lo indossava come divisa era indicato qual mangiatore di bambini.

E il compulsare numeri, morti, ricoveri produce la famosa ‘ansia’ che non ci dà pace che in una intelligente nota Aldo Grasso sul Corriere della sera del 15 novembre così commenta, invocando rimedio alla depressione e situando la situazione in “una via di mezzo tra chi suggerisce di non drammatizzare e chi ti getta nell’angoscia! Spingono alla depressione perché con il lockdown non si potrà nemmeno uscire a prendere una boccata d’ansia”.
Questo timore lo trovo irreprensibile!!!

E mentre ancora una volta la divina Martha Argerich, assieme a Seiji Ozawa, mi porta nell’iperuranio suonando il piano concerto 2 di Beethoven, penso con tristezza alle così limitate esigenze dei miei concittadini, connazionali, umani tutti, che si accontentano di piccole sfide, di egoistiche esigenze, di soddisfare soprattutto la ‘panza’ non solo per ricevere cibo. E mi convinco a resistere, a mettere in atto ciò che mi si chiede dalle mascherine al distanziamento, al limitare le uscite. Poi mi affretto alla piazza e trovo la libreria chiusa. Attimi di sconcerto. E’ chiusa perché troppo grande e potrebbe produrre assembramenti…. Non commento, ma nel triste ritorno a casa trovo una scatola nascosta dietro il computer. Piena di libri comprati e non letti. E’ una festa tra la mai letta Principessa Casamassima di Henri JamesIl Ghetto interiore di Santiago Amigorena.

Resta solo così di concludere con un titolo di un capitolo del libro di Francesca Boari Animula blandula, che presenterò in videoconferenza al Libraccio il 23 novembre alle 18.30, che mi coinvolge e a cui per ora non so rispondere: Gli asini preferiscono la paglia all’oro“. E’ un frammento di Eraclito.
Dovremmo anche noi creature laboriose preferire alla movida il raccoglimento nelle nostre case? Penso di sì.

Per leggere gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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