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Le dolenti note che hanno accompagnato le celebrazioni di Tullio de Mauro alla presenza della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, che con voce rattenuta dialogava con una giovane molto brava sulla necessità della lettura, si sfracellano contro l’articolo di Tomaso Montanari pubblicato su ‘La Repubblica’ di giovedì dal titolo eloquente: ‘Antiche biblioteche sotto sfratto’ in cui si dà conto dell’agghiacciante situazione delle preziose biblioteche che necessità, scelte e incuria hanno creato nel panorama culturale italiano.
Allora. Chiusura al pubblico della magnifica biblioteca di Giuliano Briganti: 50 mila volumi destinata a Siena e per ora chiusa, probabilmente tolta dal grande complesso di Santa Maria della Scala. A Pisa la biblioteca della Sapienza, ovvero dell’Università, ma che appartenente al Mibact, è chiusa da 5 anni. La famosa biblioteca dei Girolamini di Napoli, divenuta celebre per certi ‘prelievi’ (300 mila libri) è stata affidata al Polo Museale e non alla sua naturale destinazione, che è la Biblioteca Nazionale di Napoli. Ma per noi ferraresi il peggio proviene da questa decisione. Cito: “La gloriosa Biblioteca Estense è stata sottomessa alla direzione della Galleria: con il risultato che è stata chiusa una sala di consultazione per destinarla a ulteriore luogo espositivo, e che si pensa di smembrare le collezioni librarie storiche. Aggiungiamo che nel 2018, le tre bibliotecarie dell’Estense andranno in pensione: un problema che riguarda tutti i libri pubblici italiani”.

Già. Se penso ai lunghi e laboriosi studi all’Estense, quando la Biblioteca era la ‘casa’ di noi studiosi e tutti i membri dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, capeggiati da Amedeo Quondam, sospiravano non solo metaforicamente su quello che Modena con il suo patrimonio librario possedeva rispetto alla capitale dello Stato estense mi percorre un brivido di puro terrore. Necessità di libri altroché di ‘sottomissione’ alla gestione delle Galleria!
Poi arrivo a Ferrara e cerco di distribuire prima del trapasso ad altri luoghi la mia piccola collezione di libri (attorno ai 12 mila). Invano! Con fare imbarazzato il direttore dell’Ariostea, naturalmente incolpevole e necessitato a chiedere autorizzazioni al politici, mi concede di depositare – forse – in biblioteca la mia sezione di volumi sul giardino e il paesaggio. Una piccolissima raccolta, attorno ai 7-800 volumi, accettata perché in Regione diventerebbe l’unica a soddisfare quel tema e problema.
A piene mani lascio volumi alla biblioteca del liceo Ariosto, a quella di santa Francesca Romana, qualcuno al centro Studi Bassaniani, mentre per cautela i miei libri dell’Istituto di studi rinascimentali vengono chiusi in scatoloni. Non si sa mai che osino essere consultabili!
Per i rari, veramente rari, lascerò agli amici un volume prezioso a ricordo della comune passione per il libro e per la sua funzione nella Storia. Gli altri, implacabilmente venduti se debbono fare la fine tristanzuola di essere messi in deposito.
Non voglio pensare alla fine della mia biblioteca di cataloghi di mostre, helas!
So che personaggi ben più importanti del sottoscritto faticano a depositare il frutto del loro lavoro in sedi degne. Che vergogna!

Tutta questa geremiade non per fare il laudator temporis acti, ma per salvare la dignità, la qualità del libro come indispensabile strumento di conoscenza.
Basta vedere! Occorre leggere. Questo ce lo chiedono i giovani. Questo è l’unico modo di preservare o meglio salvare la consapevolezza della verità e della bellezza che solo il libro può donare e proporre.
Ha ragione Montanari nel concludere il suo articolo con questa considerazione:
“Tra un’ emozione e un sogno, una mostra e un evento, dovremmo ricordarci che i libri non sono un arredo che possiamo spostare, imballare, smontare: senza le biblioteche, non solo i musei e le mostre, ma perfino i sogni e le emozioni, diventeranno presto incomprensibili”.
E la leggerezza lascia il posto alla pesantezza delle scelte. Di ciò che noi siamo. Di ciò che vogliamo e non vorremmo.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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