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E ci siamo.
Le azioni che per essere descritte debbono essere espresse attraverso le parole dimostrano la loro fragilità e la loro pericolosità proprio perché le parole che le individuano sono ‘malate’.
Alla rinfusa, tra argomenti nazionali e locali: i discorsi di Berlusconi analizzati in un superbo articolo da Francesco Merlo, ‘Berlusconi e la maschera del martire’, i reportages della sconfitta della Spal a Roma, le mostre d’arte e il loro significato, la catastrofe dell’invecchiamento della popolazione, le dichiarazioni dei politici affidate ai media, i commenti degli ‘umarels’, che dalla loro privilegiata angolazione di osservatori attenti e consapevoli dagli angoli strategici delle loro postazioni commentano, ingrandiscono, rimpiccioliscono a seconda del punto di vista l’esatta proporzione del fatto.
Comunque la parola che li rende consapevolmente attuabili è soggetta a un trattamento assai discutibile.

Parto da un dato personale. Chi non subisce l’attrazione di essere gradevolmente accetto al pubblico che lo ascolta? E nel caso particolare chi, avendo svolto per tutta una vita l’insegnamento, non subisce fatalmente il pericolosissimo desiderio di porsi allo stesso livello del pubblico, specie quando esso è formato dai giovani?
Così, rivolgendomi agli studenti dell’Accademia di Venezia nel simposio su Cicognara organizzato per celebrare l’opera e l’esperienza didattico-culturale del grande intellettuale ferrarese, trascinato dalla foga e dall’insana voglia di giovanilismo ho usato il termine “paraculo del potere”. Apriti cielo! Piovono le reprimende dei colleghi, e forse a ragione, poiché la mediazione della parola dovrebbe essere corretta, seppure a mia discolpa c’era la necessità di farsi intendere da giovani il cui linguaggio non corrisponde a quello che di solito usiamo scrivendo. L’uso della parola è adeguata al tempo, ma con discrezione e scelta per cui la necessità del termine inglese per descrivere oggetti e situazioni è pericolosa quando non è necessaria. E’ una materia che molto spesso nasconde una falsa preoccupazione. Se analizzo, per essere equanime, i discorsi di Grillo, Berlusconi, Salvini e Renzi oltre alle scelte politiche che le giustificano e che posso condividere o meno, ciò che mi rende intollerante è l’esposizione scritta o detta che dimostra la totale discrepanza tra fatto e detto.

Un errore colossale che mi delizia è avere preso proprio un granchio commentando un titolone che campeggiava sulle pagine dei giornali locali. Ho scritto su fb commentando la sconfitta della Spal a Roma: “Non voglio affondare il dito nella piaga anche per la mia denunciata incompetenza in materia, ma credo che anche a livello linguistico i toni dovrebbero essere più sommessi e aprendo il giornale oggi mi sembra un pochino esagerato leggere: “La Spal cade nell’Abisso” con la A maiuscola! Nemmeno Dante percorrendo il vero abisso infernale ha mai messo l’A maiuscola per definirlo”. Tutto fiero aspetto le reazioni quando con una valanga di irrisioni mi si fa capire che Abisso è il nome dell’arbitro. Ma può uno fare l’arbitro portando quel nome? Esempio lampante il necessario cambiamento di nome di una notissima casa d’arte i cui proprietari si chiamavano Falsetti immediatamente corretto in Farsetti. Così l’arbitro Assassino potrebbe cambiare nome in Misericordioso. E al giornalista, che perfidamente godeva dell’errore e che mi chiedeva di fare ammenda, così ho risposto: “Ma Certo!!! Vedi come sono fantastici i disguidi del possibile? Chi l’avrebbe mai pensato che un nome terrificante come Abisso possa divenire metafora dell’Abisso??? VOLENTIERISSIMO FACCIO AMMENDA!!!! Però allora diventa banale la metafora: o l’uno o l’altro”.
La cosa risulterebbe performante.
Scrive un lettore indirizzando la lettera a Corrado Augias: “Non ce la faccio a sentir pronunciare la parola performante ( dall’inglese performance), invece che veloce, potente, di grandi prestazioni”. Allora i giocatori della Spal, poveretti, non sono stati abbastanza performanti e per questo sono caduti dentro l’Abisso?
Questo termine era stato usato fino alla saturazione da un grande critico letterario quando frequentava l’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara. E questa parola ha portato male perché non solo si è sospesa la pubblicazione dei testi pubblicati dall’Istituto, ma la ‘performance’ ha attecchito anche in altre città dove svolgo il mio lavoro.
Così il comune di Bassano senza interpellarci, noi dell’Istituto canoviano, ha deciso che basta pubblicare testi attorno e su Canova e il Neoclassicismo che hanno invaso le biblioteche pubbliche di tutto il mondo: un inutile dispendio di denaro visto che ormai chi legge più i testi? E senza avvertirci, zac! Con il secco taglio delle forbici montaliane, ha reciso il rapporto con i testi, con i libri, con la memoria. Ma ora usa il “crossover” e chi volesse saperne di più legga lo splendido libro di Tomaso Montanari e Vincenzo Trione, ‘Contro le mostre’ (Einaudi 2017), specie il capitolo V, ‘Crossover senza senso’

La lettura dei testi, la necessità di leggere, la sua fine splendidamente illustrata in un saggio apparso sul Repubblica di Adriano Olivero che intervista Philip Roth. Per il grandissimo scrittore, che constata il lento spegnersi della scrittura artistica a confronto di altri mezzi di rappresentazione del mondo, si arriverà al punto che leggere romanzi di fronte al fascino dello schermo si ridurrà a questa condizione: “La setta dei lettori di narrativa non sarà più numerosa di quella di chi oggi legge poesia latina per svago”.

Tornando all’articolo di Merlo, la parola, l’immagine e il fatto si mescolano in una splendida sintesi. La nuova immagine che B. vuole dare di sé, scrive Merlo illustrando la sua tesi con una terrificante foto del personaggio, non è quella di un giovane che parla a un’Italia speranzosa e giovanile come fece un tempo, ma si rifugia nell’Italia dei vecchi, illustrando la sua nuova facies di vecchio: “ormai Berlusconi esibisce con compiacimento non solo la maschera di una vecchiaia esagerata, dalla quale non si vergogna più: pelle increspata e rughe arrampicate su quella collina che gli stampa in faccia il cerone, e che gli blocca il viso in un sorriso raggelato”. Qui le parole corrispondono al fatto. E le conclusioni sono altrettanto reali quando le parole non si ammalano (per esempio quelle di Trump affidate a twitter) per cui si può concludere ancora una volta citando il grande giornalista Merlo che osserva come nelle tv di B. si parli da mane a sera di vecchi e di prodotti per i vecchi (e qui le parole del giornalista si saldano con lo spettacolo di Crozza del 1 dicembre) perché ora dalla liberalità al libertinaggio B. “si avventa sui brodini e sogna di avere le stroncature che tutti noi gli dedicammo… La stroncatura bisogna meritarla. Berlusconi vuole addirittura esibirla”.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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