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Mentre mi appresto a partire per vedere mostre: Freud e Bacon, Frida Kahlo, Canova, continuano come in un meraviglioso caleidoscopio i contatti tra vita e opere, tra arte e incontri umani. Così vedendo il magnifico Pinocchio di Matteo Garrone ricordo la lunga collaborazione con Roberto Benigni a Firenze: lui che leggeva Dante nella piazza di Santa Croce, io che lo insegnavo a centinaia di studenti in Facoltà. E il suo carisma divenne tale da sostituire la comprensione totale del poema per gli studenti che seccamente mi opponevano al tentativo di indurli a spiegare un verso o in canto della Commedia il loro aver assistito alla lettura di Roberto in piazza. Mi lamentavo un po’ ai pranzi organizzati da Daniele Olschki nella trattoria vicino a Piazza della Signoria ma Benigni rispondeva con un abbraccio mentre sorrideva malizioso a vedere la nostra presentazione in un importante convegno a Palazzo Vecchio dove il mio cartellino era finito sotto la figura dell’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi e il suo sotto la mia faccia compiaciuta (vedi foto).

Quella foto ha girato per tutto il gruppo degli amici i quali sapevano dei non idilliaci rapporti che intrattenevo col sindaco M.R. Ora la rilettura del libro meraviglioso di Collodi e la scoperta mai testimoniata nei film (quello di Comencini e quello di Garrone) dell’impressionante rapporto tra la parrucca di Geppetto color ‘polendina’ e quello dei due mattatori americano e inglese che esibiscono una uguale parrucca polendina senza avere la qualità umana e morale e politica del nostro Geppetto. Sicuramente la scarruffata polendina che esibisce Johnson è più vicina a quella che maestro Ciliegia si trova in bocca dopo essersi azzuffato con Geppetto ed è adattissima da esibire per concludere la Brexit. Quella di Trump è più azzimata e ben s’attaglia al padrone delle Americhe che liscia la sua polendina per far gli occhi dolci ai cinesi.

Ma l’incontro più straordinario si è svolto quando, appena edito, m’impossesso di un racconto di Virginia Woolf pubblicato da Feltrinelli, Flush. Biografia di un cane con le illustrazioni di Iratxe López de Munáin provocando la delusione dell’amico Fiorenzo Baratelli che già l’aveva acquistato per regalarlo a mia moglie e a me. Certo mi provoca strizzoni sentimentali tremendi. Flush, lo sciacquone, è il cane di Elisabeth Barrett che sposerà il poeta Robert Browning. E’ uno spaniel come la mia Lilla che non c’è più, di pelo rosso a differenza della mia pezzata bianco e rosso. Un cane nobile di cui la meravigliosa Woolf racconta la vita e il suo rapporto con Elisabeth e Robert.
E allora ecco i ricordi di Bellosguardo nei 25 anni trascorsi là nel paesaggio più bello del mondo dove un viale univa il giardino della mia madre adottiva a quello della nobile amica di Vita Sackwille-West, la cosiddettà ‘bastarda’ reale, Violet, raccontata da Alvar González-Palacios a cui nella grazia e nell’amore successe Virginia. E basti rileggere di Vita il bellissimo Legami (il Saggiatore, 2006) pubblicato dal figlio Nigel Nicolson avuto dal marito Sir Harold Nicolson. La Barrett poi che passeggia nel chiostro della mia Facoltà in via del Parione ricalcando gli stessi luoghi dove mi sono formato o che compone le sue opere a Casa Guidi tra via Maggio e via San Felice dove, scrive la Woolf, Flush trovò la felicità totale.
E nelle biografie dei pelosi stupendi non poteva mancare, di Edmondo Berselli, il romanzo Liù. Biografia morale di un cane (Mondadori 2009) sicuramente quello più vicino, quasi un clone, a Flush.
Ecco allora che la vita si rispecchia nell’arte e le occasioni si trasformano in racconti ma soprattutto in memorie per cui ringrazio ancora chi mi ha permesso di poter accumulare una così lunga serie di ricordi, tanti quanti i peli di Flush.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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