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“Il “popolo” si abbuffa di tartufi (iva al 10 %), e considera le mestruazioni roba dell’élite (assorbenti: iva al 22 %).” Così Roberto Escobar esibisce una tra le mille curiosità della legge appena varata. Spero ardentemente sia una Fake News, ma sembra veritiera. Certo che son proprio singolari gli ‘editti’ governativi!

Comunque la serata (secondo Eduardo de Filippo saggissimo ‘Ha da passà à nuttata’) si svolge dopo deliziosa cena a tre, noi due +Lilla tra coquilles Saint-Jacques e Champagne (in offerta) e ‘pastine’ dell’Europa davanti al televisore. Dapprima un film duro e angoscioso, Tre manifesti a Ebbing, Missouri che ben riflette quell’America triste, violenta e angosciosa di cui Trump è divenuto presidente fatta di lavoro, birre a volontà, raduni di maschi, puritanesimo di facciata e noia esistenziale. E sesso sempre più in azione meccanica.

Per scrollarci di dosso il freddo interno ‘zappiamo’ tra Matera e Ferrara per veder come si diverte il ‘popolo’ ormai nell’evoluzione della specie dotato di un prolungamento degli arti superiori chiamato telefonino. Non si guarda più quel che accade ma lo si fotografa secondo la più smaccata volontà di esserci, di partecipare. Naturalmente in modo virtuale. Braccia e braccine si levano mentre il ‘divo’di turno arringa il popolo a cantare con lui offrendo il microfono. Allora muggiti di applausi s’alzano tra sventolio di bambini in precario equilibrio sulle spalle di genitori infoiati e il bum bum raggiunge vertici inauditi. La bellezza di Matera assiste impassibile al sommovimento umano.

E infine m’arrischio a guardare l’incendio del Castello. Vengo accolto da una selva di berretti sopra i quali s’apposta il braccio sbarazzino pronto alla ripresa. Sul palco un signore in pelliccia e dall’accento romagnolo saltabecca invitando il popolo e usando una parola magica che non è la classica Salagadula megicabula bibbidi-bobbidi-bu, ma un ritornello condito da ‘gin gin’. Ho pensato fosse un invito a ristorarsi dal freddo con un po’ di bevanda spiritosa del resto saggiamente proibita nella piazza ma gli esegeti mi dicono che è il ritornello con cui l’impellicciato condisce le canzoni. Infine allo scoccar del tempo il Castello s’incendia. Sicuramente suggestivo ma…

E qui la mia anima ‘radical shit’ – e sono il primo ad ammetterlo- pensa con apprensione alle scosse anche minime che il monumento subisce; poi non si può commentarlo con un arruffio di temi ariosteschi e/o da Brancaleone alle crociate finendo con una atroce esecuzione dell’Inno alla gioia. Ma va bene se produce economia se Ferrara può competere con altre città d’arte e di cultura traendone profitto. Attenzione però a non esagerare. Si lascino fare i dovuti restauri poi se la moda resiste ancora lo si incendi, sigh!

In sottofondo mentre scrivo queste note il paffuto David Oistrakh suona il Larghetto del Concerto per Violino di Beethoven. Lo conobbi negli anni’80 a palazzo Guicciardini a Firenze dopo un favoloso concerto e mi sorpresi a pensare come la sua guancia potesse accarezzare con infinito amore lo strumento. Ma gli auguri che voglio inviarvi vengono da queste righe scritte dal grande Amos Oz nel suo ultimo libro ‘Finché morte non sopraggiunga’: “Qualche volta, sul far dell’alba, prima che il campo fosse risvegliato dal clangore delle stoviglie di ferro e dal tintinnio degli speroni e dal nitrito dei cavalli, capitò che Claude venisse travolto dall’amore del Cielo e svegliasse il suo padrone per la preghiera mattutina. Allora, durante la preghiera, l’universo si svelava e neutralizzava tutto con la sua incredibile pace. Era una pace triste, era mestizia delle colline deserte che non erano neanche più colline ma anima delle colline, era spasimo delle nuvole verso le quali la terra s’inarcava con un gesto di seduzione che nessuna sazietà avrebbe mai placato.

E sotto, sotto, in fondo al silenzio, era il corpo stesso a desiderare per un attimo di annullarsi. Il vapore trasparente, così pareva, era la vera consistenza solida. E la preghiera toccava l’orante”.

Il laico vi affida queste sublimi parole per augurarvi tempi migliori, cose migliori, un mondo migliore. All’utopia bisogna sempre dare uno spazio.

Buone Feste.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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