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Un bus semivuoto mi accoglie ancora avvolto dal velo onirico della calda notte. Facendomi la barba ascolto Stefano Folli che ancor più addormentato di me legge a scatti le tremende vicende che corrompono il mondo e l’Italia. Parla di barbuti per connotare i seguaci del Califfato e un pensiero improvviso mi attanaglia. Che metaforicamente tutti – o quasi – i politici italiani si facciano crescere la barba che li rende indistinguibili per mandare un minaccioso messaggio subliminale sulla loro determinazione a perseguire i fini che si sono posti? Resta il mistero del rasato Renzi.

Più facilmente spiegabile il velo nero che si stende sulla faccia del ministro Franceschini condannato come Dorian Gray a un eterno viso di ragazzino.
Un po’ da commiserare i barba-rada che dopo giorni e giorni di faticoso allevamento producono guance a chiazze.

Nei giorni di maggiore attacco politico il sindaco Tagliani esibisce una spazzola dura come le parole che pronuncia. Di pura imitazione quelle che adornano i visi di quasi i tutti i sindaci della Provincia.

Arriviamo frattanto alla volta di piazza Verdi. Una macchinetta sbarra la strada all’ansimante bus. Dopo un’attesa di qualche minuto la bella e brava autista senza alzar la voce dichiara il suo intento di chiamare i vigili. Lasciandoci arbitri di una scelta non facile: scendere e perder il treno oppure sperare in un miracoloso intervento?
Naturalmente i vigili non rispondono ma ecco affannata una giovanetta s’avvicina timorosa e rivela il peccato: “Ebbene sì! La macchina è mia. Ero andata a far colazione al bar”. Dalla mia ugola esce uno strozzato lamento pensando che forse avrei perduto il treno, ma la brava autista non inveisce e professionalmente riprendendo la strada chiama un collega e annuncia il ritardo. Poi sparlano del servizio pubblico!

All’altezza del ponte di via Bologna una bellissima donna vestita con abito lungo e spacco vertiginoso fa danzare un grande cane bianco (forse pitbull) tra l’ammirazione dei presenti. Immediato il ricordo di Montale e a quei versi misteriosi che generazioni di critici non hanno mai saputo spiegare fino in fondo:
“(a Modena, tra i portici, / un servo gallonato trascinava / due sciacalli al guinzaglio).”
Che c’entrano nel Mottetto delle “Occasioni” un servo che trascina al guinzaglio due sciacalli sotto i portici di Modena?
Che c’entra a Ferrara alle 8 di mattina una ragazza dal lungo e nero vestito che trascina un pitbull al guinzaglio?

Sale una signora velata con bambino e sollecitamente porge al secco taglio della macchina “obliteratrice” (per chi non lo sapesse questa è una parafrasi di una bellissima poesia di Carducci) il suo biglietto. Invano. La macchina si rifiuta,quella macchina che fino a poc’anzi funzionava regolarmente.
Tutti tentano di farla funzionare , io compreso, ma invano e la bella conducente tace forse perché stressata da un viaggio così periglioso.

Miracolo! Lo sportello dei biglietti è privo di clienti. Con la felicità dovuta ad un fatto così straordinario mi lancio in un’orgia di prenotazioni; Roma fra due giorni? “Vuole lo sconto che lo inchioda però alla impossibilità di recuperare il biglietto se non partisse?” MAI! è la pronta risposta. E se mi viene il raffreddore? Chi parte più.

All’annuncio di due ricchi biglietti andata e ritorno rigorosamente corridoio per Firenze, la maga buona si scioglie in un sorriso e mi dice che posso fare una prenotazione speciale con risparmio di ben 6 euro a tratta e per biglietto. Che felicità! Pago e saluto accompagnato dal sorriso dell’addetta.

Che importa poi che il sole bruci e ti faccia sciogliere se mentre t’appresti all’attesa una classetta di bambini (terza elementare) in maglia verde parte schiamazzante tra il sorriso trepido dei genitori e la fiera e materna protezione della giovane maestra. Chiedo a uno di loro dove vanno “A Bologna, al museo egizio” e immediatamente si mette in posa come una nuova Iside.

Come per l’Esterina di Montale io prego per loro un destino di visi glabri e di poter mantenere una parte di quella vivacità che ora li accompagna alla scoperta della Bellezza.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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