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In tempo di celebrazioni ariostesche evocare l’Ippogrifo è d’obbligo, anche se il mitico animale non staziona più nel castello d’Atlante, ma giace soddisfatto, anzi felice, in una trafficatissima via dove si è scelto un posto al sole.
Per chi fosse, invece, abituato ai paragoni con celebri film, allora l’evocazione sarebbe di un altro spaventoso mostro: King Kong, lo scimmione che terrorizza la città con la sua mole e la sua violenza ma che è invece delicato con la giovanetta che ama.
Fuor di metafora, la storia ha inizio quando appare su una via della città estense un grande camper, che si posiziona placidamente in una trafficatissima strada nei pressi di un incrocio. Nulla di male, direte voi, peccato però che quello che doveva o poteva essere una sosta rimovibile si diventato un posto fisso. Le strategie sono state subito messe in atto. Le macchine dei proprietari s’insinuano abilmente a tenere il posto nel ‘loco/ Fatto per proprio dell’umana spece’ come direbbe Dante: il camper ha trovato il suo Paradiso Terrestre e da lì non se ne vuole andare.
La novità corre per la via, fermenta, s’ingigantisce. La mattina il primo sguardo è per la mole inconfondibile: ci sarà? Avrà trovato pascoli verdi dove stazionare in pace? E come si sa ‘la calunnia è un venticello…’ cantava Rossini. Si fanno nomi ma immediatamente si smentiscono coinvolgimenti con importanti parenti.
Ormai è un punto di riferimento: come un pinnacolo, come un paracarro che sigla un luogo. Una meridiana, in altri termini.
E’ legale? Certo! Vien spiegato da pazienti vigili che sentenziano che non c’è nessun divieto allo stazionamento. Basta che non intralci. E su quello ci sarebbe da discutere sentendo i borbottii e gli urletti che escono dalle gole strozzate di chi entra nella via e non vede il flusso disinvoltamente allegro di chi la percorre senza mai rallentare.
Ma placidamente il cavallo d’acciaio continua a brucar spazio e a siglare il panorama estense.
Non è un fatto grave e nemmeno suscettibile di commenti, se non fosse che viene in un certo senso messo in dubbio il diritto d’espressione di una comunità, di un quartiere. Il nostro individualistico principio di appartenenza a una comunità che, come ha spiegato un interessante incontro tenutosi lo scorso martedì alla Biblioteca Ariostea – “Populismo, un vizio che conquista: la politica dei pifferai” – è ora gestito in modo che ciò che è proprio vale molto di più dell’interesse comune. E per fare un esempio molto più serio: il populismo attecchisce nel momento in cui affida al carisma di un leader la gestione non solo delle insoddisfazioni, ma anche delle pretese del singolo.

Ben più grave il caso di chi usa insulti e urla per affermare le proprie convinzioni o i propri desiderata. E’ esplosa sui giornali la polemica del critico Vittorio Sgarbi in cerca della collocazione permanente della sua collezione d’arte che offrirebbe alla città di Ferrara. Pur nel pieno rispetto di questa scelta il professor Ranieri Varese ha obiettato altro e diverso uso del palazzo Prosperi Sacrati individuato dal dottor Sgarbi come sede della collezione.
Una furia d’insulti si è abbattuta sull’ordinario di storia dell’arte dell’Università di Ferrara, accusato d’incompetenza, di non capire nulla d’arte, di avere osato esprimere un parere senza aver mai visto la collezione e, cosa ancor più grave, di aver fatto carriera sotto il “partito comunista” e per l’influenza del padre illustre italianista.
Leggermente disgustoso il tono e ancor più quelle affermazioni, che certamente non scalfiscono la serietà scientifica di Varese, ma piacciono allo stile televisivo di moda e a chi è abituato alle ‘sparate’ del dottor Sgarbi.
Secondo le regole del populismo si porta al patibolo mediatico il condannato tra le urla delle ‘tricoteuses’, che sotto la ghigliottina sferruzzano in attesa che l’ennesima testa cada. L’urlo si estende a coinvolgere innocenti animali come le capre accusate d’ignoranza e di stupidità. Ma ovviamente non parlo di quelle che beatamente brucano nel sottomura della città estense con soddisfazione e piacere di cittadini e turisti.
Sembra quasi che il rispetto per l’individuo, ma ancor più per la comunità, venga sconfitto dall’esigenza del populismo, si tratti di parcheggiare un camper o di ottenere l’uso di una sede prestigiosa per esporre le mirabilia del proprio tesoro artistico.
Siamo al punto di non ritorno oppure è possibile reintrodurre una serietà etica che il populismo sembra negare o avere sconfitto? Siamo sicuri che sia questo lo stile che ci accompagnerà nelle scelte future?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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