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Ho appena visto un orrendo film Mamma o papà?, in cui un criceto viene martirizzato dalla immonda madre di tre altrettanto orridi figli. I due genitori in via di separazione (Paola Cortellesi e Antonio Albanese) cercano in ogni modo di non venir scelti dai figli, per scaricare sull’altro la responsabilità della convivenza. La madre non sopporta il criceto, che appartiene al figlio più piccolo, e lo vuole uccidere, ma non ci riesce. L’animaletto si stufa e provoca un incendio, che distrugge la casa, ma riporta uniti i genitori. Dopo questa visione il mio criceto ed io abbiamo deciso di darci invece a ricordi leggeri e vaganti, che hanno messo in agitazione le mie cellule mentali e provocato una serie di incontri/scontri.

Tutto comincia con una pianta e un luogo. Mi trovo ad un  grande convegno sui giardini, che si svolse in Sicilia presso la Fondazione Lucio Piccolo d’Orlando, il cugino di Tomasi di Lampedusa, nella sua meravigliosa casa a Capo d’Orlando. Necessaria se non obbligatoria la visita a un grande vivaio di Milazzo, dove acquistai una pianta di cui, fino a pochi giorni fa, non ricordavo né il nome né il modo con cui arrivò all’Orto Botanico di Ferrara. L’unica traccia certa e stampata nella memoria: l’arrivo all’aeroporto di Bologna della pianta tenuta saldamente in braccio dall’amica Margherita Visentini.

Laboriosi contatti nel frattempo mi permisero di ricostruirne la storia, grazie a chi la consegnai che, a sua volta, la ricoverò all’Orto Botanico di Ferrara: il professor Filippo Piccoli che, con non del tutto celata ironia, mi ragguagliò sul nome e sulla specie: un Frangipane, che schiude i suoi profumatissimi fiori in questa stagione. Nome scientifico Plumeria. Così diligentemente registro da Wikipedia:  “Le Plumerie sono i fiori con cui nelle isole del Pacifico si usa preparare grandi collane da regalare agli ospiti; si tratta di arbusti di dimensioni medie o piccole, strettamente imparentati con gli oleandri, la carissa, gli adenium”.

Esattamente i fiori metaforici, con cui uno scatenato Vittorio Sgarbi su Il giornale incorona noi che abbiamo condiviso le osservazioni del professor Ranieri Varese con uno straordinario inanellamento di metaforici fiori in quanto – e cito – “gli argomenti di Varese sono acidamente condivisi da un piccolo gruppo di frustrati ringhiosi (Alessandra Chiappini, Gianni Venturi, Giuliana Ericani, Francesco Giombini), e da altri tristi e ignoranti chattanti….” .
Wow!!! Fantastico! Mi metto immediatamente a cantare: “La fleur que tu m’avais jetée/Dans ma prison m’était restée/Flétrie et séche, cette fleur/Gardait toujours sa douce odeur.” Mi sembra che nell’occasione il ricorso alla Carmen sia d’obbligo. Purtroppo per l’incontenibile mattatore i fiori che ci getta gli sono egualmente restituiti, poiché in quanto a ignoranza civile e umana giustamente nulla ha da insegnarci.

Allora, m’incalza il criceto, lasciamo le maledizioni sgarbiane e torniamo al Frangipane che ha bisogno di un clima particolarmente adatto in quanto “può essere coltivata all’esterno solo nelle zone con un clima invernale mite e completamente privo di gelate. In tutte le altre regioni, la pianta deve essere coltivata in vaso, in modo da poterla proteggere senza difficoltà e spostarla in un luogo riparato nel periodo invernale.” Così il mio frangipane probabilmente vive ancora nel mondo incantato dell’Orto botanico, oppure una pianta simile ne avrà preso il posto. Tuttavia mi rassicura il professor Gerdol docente di Plant Ecology: “Tutti gli esemplari di Plumeria sp. (cosiddetti frangipani) presenti in Orto e acquisiti in diversi momenti sono vivi. Non c’è però in alcun caso il riferimento alla località di acquisto o al donatore. In ogni modo, seppure in maniera indiretta, possiamo essere ragionevolmente certi che la Plumeria di cui mi chiedeva sia viva e vegeta”. Si recupera dunque l’esistenza del fiore e della sua vita all’Orto botanico ferrarese.

Ma il frangipane riporta alla memoria altri e più complessi ricordi legati a un luogo speciale, Villa Vigoni sul lago di Como, vicino a Menaggio, che è un pezzo di Germania incastonata nello stato italiano. Come ci informa la Fondazione: “Villa Vigoni è un laboratorio di idee, un punto di riferimento del dialogo e della collaborazione tra Italia e Germania nel contesto europeo. Convegni accademici, conferenze internazionali e manifestazioni culturali rendono Villa Vigoni un luogo d’incontro e di confronto, in cui si promuovono progetti e si approfondiscono conoscenze in ambito scientifico, politico, economico e artistico.[…].Il Centro costituisce anche un nodo centrale di una rete che, attraverso molteplici collaborazioni e momenti di incontro tra ricercatori, rende possibile il consolidamento dei rapporti internazionali”.

Ad un ennesimo incontro sui giardini partecipammo ad un Convegno che si tenne a Villa Vigoni, dove il presidente (il “ringhioso” che qui scrive), a differenza degli altri partecipanti, venne ospitato nella Villa che raccoglie immensità di tesori; ma solo all’ultimo venni avvertito che, dopo essere stato accompagnato in stanza, mi sarebbe stata proibita l’uscita, se non al mattino seguente. Troppo tardi per rifiutare gentilmente questo onore, per cui mi ritrovai rinchiuso in quel luogo da favola e fui invaso da pensieri cupi, come se all’improvviso si fosse spalancata la porta e dovessi sottopormi all’esame dell’onorevole V.S., che mi avrebbe gettato sul muso le mie inutili 300 e passa pubblicazioni, frutto del mio passato di “frustato ringhioso” e di comunista mangiator di bambini. Passai la notte trepidando e nella gloriosa e soleggiata giornata seguente nel parco finalmente vidi il grande frangipane, che non aveva bisogno di essere coltivato in vaso o ricoverato in serra ma protendeva i suoi rami fioriti e profumati ad accogliere la bellezza e il sapere.
Senza bisogno di urla e minacce, ma pacificamente, come qui ora a Vipiteno fanno i tigli, alleviando le pene umane con profumi e ombre.

Cover: plumeria frangipane, fioritura

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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