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Saranno stati i crostacei, saranno state le chiacchere inaugurali, sarà stato il clima dell’un contro l’altro armati… ho fatto un sogno, anzi un incubo. Correvo sulle mura e improvvisamente queste hanno cominciato a restringersi, tanto che persone, cose, monumenti sono stati strizzati fuori come palloncini a cui erano legati e portati in alto i politici di ogni ordine e grado. Una immensa foto di Ezio Raimondi corrucciato sovrastava il tutto, mentre un pensoso Cacciari scuoteva la testa accennando un sorrisetto tipo quelli che sfoggia a ‘Otto e mezzo’ accarezzandosi l’incolta barba.
Come nel film ‘Baària’ di Tornatore son piccolo e corro, corro, inseguendo i miei privati vizi e forse alcune mie virtù.

Ferara’ frattanto è investita da uno tsunami senza tempo e motivazione, causato dall’uso sempre più frusto di un piatto indigesto che si chiama cultura. Ondate apocalittiche secondo il metro di giudizio della città s’abbattono sui cittadini sballottati da un’impresa all’altra come narra il buon Lodovico. Si baratta una mostra ai Diamanti con i burraco di beneficenza, si visita una Fondazione, ma non si può esimersi anche dal Centro; val bene una messa andare alla libreria degli ‘eventi’, ma puoi rifiutarti di vedere la dotta esposizione dei libri di una delle più belle biblioteche d’Italia (una volta tanto non d’Itaglia)? Le Associazioni culturali da par loro organizzano incontri: fino a cinque per pomeriggio.
I 400-500 in cui consiste la folla – sempre uguale – dei migranti della cultura assistono alla eterna rappresentazione. Assessori e sindaci compunti annunciano di voler avvolgere in veli bianchi tutta la città colpita dal terremoto. Si svuota e si riempie; si trasferisce e si solidifica. Si cerca di porre barriere e freni a una catastrofe annunciata,
E al punto di non ritorno mi sveglio.

La vita riprende il suo corso tranquillo tra sagre sempre più numerose, locali da ‘apericena’ i cui nomi si collegano a glorie letterarie d’ieri e di oggi tra cui svettano per numero quelli di Ariosto e Bassani, mentre splendide ninfe esibiscono tacchi 20 e lucori di bianche carni e i loro compagni barbe, mustacchi, sciarponi in stile Spal.
Ma il gossip corre e produce ansie e risatine. Ciò che si ha e si esibisce diventa una gara tra figurine Panini: “Io ho i piatti di mio zio Augustino”, “Ma io ho il disegno a punto croce della nonna Adalgisa”. “Riesci a collocare il patrimonio librario dell’illustre italianista?” No? “Va bene allora non ti do i locali per i cataloghi d’arte”.
Quello che però sconcerta e che forse è stata la causa di un tracollo politico gravissimo specie per quella parte della città che credeva – e ancora spera – nei valori della cultura (ah! Poveri radical-chic imbevuti di ideologia…) è la convinzione da parte della politica politicante di non ammettere l’errore o le sviste o l’opportunismo che ne sono, si badi bene, patrimonio ereditario. Così dall’alto degli Anta si assiste, per non voler essere trasformati in icone che un giorno vengono esibite e il giorno dopo doverosamente calpestate, alla incongruenza di scelte e di motivazioni.
E questo va detto con l’ansia di chi con ‘angst’ freudiana teme un domani che rifletta lo stesso terremoto nazionale e si trovi sepolto in una ancor più grave imperizia del trionfalismo affidato alla parola ‘popolo’: sacra parola che non va usata come giustificazione.
Se si fossero ammessi errori sostanziali commessi nel campo della cultura forse ci si sarebbe risparmiati l’onta di vedersi poi sbertucciati.
Dire di sì non sempre ripaga.
Queste considerazioni sono il prodotto di una mente sconsolata. Ma come mi hanno insegnato i miei Maestri non cedo e per quel che resta del giorno m’impegno a lottare nella città e per la città ingrata.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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