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Passano i giorni del terremoto e la tristezza, come un velo opaco, s’impadronisce dei festanti bagnanti. La musica sguaiata si placa, le voci assumono toni meno assertivi e perfino il cantante da spiaggia non prorompe più a chiusura del suo show notturno nel fatidico grido “Siete bellissimi!”.
Gli immondi proprietari di pelosi che evitano come la peste di raccogliere le cacche degli innocenti animali si lasciano convincere dal rosso brillante delle nuovissime pattumiere che indicano in modo suadente di prestarsi come “contenitore per deiezioni di animali”. Molto chic. Il retro spiaggia sembra finalmente assumere una dignità sconosciuta nei mesi della follia bagnereccia: esili alberelli appena piantati e innaffiati con cura, panchine di legno che voltano le spalle all’orrenda sky line delle torri e dei palazzotti di chiara fattura popolare spacciata a prezzi altissimi come appartamenti d’affitto per la saison e che al massimo permettono di vedere spicchi di mare, aiuole fiorite; insomma, quasi un paradiso.

Mentre dal balcone contemplo uno struggente tramonto del sole tra i pini mi sorge un primo dubbio; ma è davvero così brutto il Lido/Laido?
La risposta mi viene dalle parole del vescovo che celebra i funerali delle vittime del terremoto riprese con forza e coraggio da papa Francesco. Non è la natura che di per sé è ostile, ma le opere dell’uomo, la sua fame di guadagno, l’invidia che prova nel distruggere la bellezza della natura, il ‘giardino’ come mi hanno insegnato i miei maestri, per renderlo di nuovo hyle o meglio wilderness la natura selvaggia, ostile e insensibile alla ‘consolazione’ delle illusioni, come scriveva il contino Giacomo.

E nel frattempo la perfidia s’impadronisce anche di chi è stato oggetto della malvagità dell’uomo e osa nel nome della brillantezza della satira pubblicare la terribile vignetta che schernisce le vittime del terremoto. Non mi definirò mai più ‘ Je suis Charlie’ non solo per la disgustosa vignetta sul terremoto che ha colpito il centro Italia ma per l’altezzosità dimostrata dai vignettisti che non hanno avuto l’umiltà di capire quanto fosse sbagliata. Spesso credendosi intelligenti gli uomini compiono delitti morali inconcepibili. Ma mi proclamerò nella mia lingua: ‘Io sono Leo’ il fantastico labrador che ha salvato Giorgia e ha permesso al suo amico umano Angelo di estrarla dalle macerie. Leo che ha ricevuto la carezza di papa Francesco e a questo punto ha scalfito la mia corazza di protezione contro tutto quello che può apparire mélo.

La vendetta del Lido si è però consumata in questi ultimi giorni.
Un cielo blu da far invidia a quelli che ho visto nella mia amatissima Lipari o nella Versilia della mia giovinezza per cui tornando bambino ho raccolto conchiglie sulla battima; frotte di pesciolini che per la gioia dei bambini nuotavano vicino a riva. Perfino la temibile medusa si spiaggiava e accuratamente veniva segnalata per impedire agli incauti di calpestarla. E la felicità dei pelosi che nuotano spavaldamente ubriachi di felicità sotto un sole da tropici.

Così osservo con indulgenza la carne tremula delle ultime ostinate palpeggiatrici della mercanzia esibita dai dannati della terra che al contatto con l’oggetto hanno spasimi di piacere. Alcune ormai immuni da improbabilissime multe convocano, imperiose, sotto l’ombrellone il ‘negro’ per dagli le ultime commissioni.

Infine, trotterellando accanto alla pigra Lilla sotto il tappeto di aghi di pino, incontro miracolosamente uno stupendo gatto persiano (o soriano. Mi confondo sempre) tenuto al guinzaglio che guarda la stupefatta Lilla con sufficienza.

Subito la memoria corre ad uno dei Mottetti delle Occasioni montaliane che più amo: La speranza di pur rivederti:
(a Modena tra i portici, / un servo gallonato trascinava / due sciacalli al guinzaglio)

Ecco dunque la vendetta del Lido. La natura perfetta, l’evocazione della poesia che sempre ha saputo anticipare il vissuto.
Resta ahimè la bruttezza di ciò che l’uomo ha creato e che lo rende Laido, ma alla fine è riuscito a presentarsi come Lido: una bellissima spiaggia.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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