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Un ritorno triste a questo Diario non solo per le brutte vicende cittadine e nazionali ma perché ci ha lasciato la compagna di vita, la mia pelosa Lilla.

Cominciamo da quelle belle che si riallacciano alla settimana della memoria. Le testimonianze di Liliana Segre e di Lia Levi nel bel docu-film di Muroni poi, in un momento, un vertiginoso ritorno al passato. A Porta a Porta la testimonianza di Edith Brook, vedova di Nelo Risi con i quali ho passato un tempo pieno di speranze .Il suo ultimo romanzo La rondine sul termosifone racconta la tragica vicenda del declino dell’amatissimo marito Nelo Risi, fratello di Dino, poeta, regista, artista, colpito da una malattia inesorabile. Edith Bruck, di origine ungherese, è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen fino a transitare per sette campi di concentramento. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito trae l’omonimo film.
La sua bellezza è rimasta intatta e dopo averle telefonato abbiamo ricordato una curiosa vicenda che forse potremo risolvere come un ulteriore apporto culturale. A Roma, Nelo ebbe la possibilità di girare un film L’uomo col sacco di cui si è persa traccia ma che se verrà ritrovato negli archivi Rai presenteremo al Meis assieme al romanzo di Edith.
Che orgoglio essere amico di così meravigliose donne, Liliana, Lia, Edith e la carissima Simonetta!
Questo rende ancor più imbarazzante la polemica sul Palazzo dei Diamanti puramente strumentale e politica che tanta enfasi ha prodotto specie in chi tra i contendenti avanza a colpi di “Lei non sa chi sono io”. Senza quel momento risolutorio dato dalla leggerezza calviniana e dalla ironia. E veramente per dirla alla ferrarese “am scapa da ridar” pensando alla vicenda della preservazione dell’architettura rossettiana di cui il cosiddetto Palazzo di Ludovico il Moro è l’esempio più illustre. Nei restauri del secolo scorso il Palazzo di cui si giurava sull’identità rossettiana venne trasformato da grandi e illustri architetti in un palazzo fiorentino come trionfalmente dimostra la elaborazione della sequenza delle finestre: due-pausa-uno pausa- due che danno sul cortile e tipica del Rossetti che venne trasformata in quella di un palazzo fiorentino rinascimentale senza cadenze in muratura. E il giardino? Bellissimo manufatto degli anni ’30 del secolo scorso.
E un monumento indubbiamente secondario quale è la cosiddetta casa di Biagio Rossetti in via XX settembre è stato manomesso quando, abitato dai fratelli Bonora , venne affrescata all’interno da Mauro e qui ci si recava per le nostre indimenticabili festine della domenica pomeriggio?
Insomma, lascerei a una ‘civil conversazione’ il dibattito che non deve divenire romanescamente ‘dibbattito’ sul tema politico-culturale che infiamma la città silente.
La tristezza si fa poi più profonda quando si pensa alla campagna elettorale che continua inesorabile da quando un ministro in divisa ha deciso di dettare le leggi del governo del cambiamento.
Lilla dal suo giardino dei cani mi esorta: “Ma lascia perdere!”. Ma non ce la faccio a mollare.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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