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La ‘Pasqua con chi vuoi’ nei bei tempi andati era una minaccia che tentavo di esorcizzare ogni anno ricorrendo a trucchetti simil-ignobili che si riflettevano sulla scelta di sollecitare (figurando entusiasmo) ai miei parenti il prestito di un appartamento ai Lidi Comacchiesi. Loro, ben consapevoli della mia falsità, mi bloccavano, dandomelo generosamente  e pregustando quale sarebbe stata la mia débacle. Quello situato al sesto o ottavo piano del più alto edificio del Lido estense  aveva il vantaggio di non essere umido e bagnaticcio come l’altro, ficcato dentro la pineta, ma poteva riservare la sorpresa che l’ascensore si bloccasse e fosse necessario farsi il tragitto a piedi (oggi però, le scale al posto dell’ascensore, è un’ottima precauzione).
La meta più agognata era quella di potersi recare a Ravenna, a fare l’ennesimo giro delle basiliche o sostare presso la tomba di Dante leggendo qualche brano della Commedia. Non proprio entusiasmante specie per chi sedeva al fianco della mia bianca 124. Mentre l’universo mondo s’ingozzava tra merende, pranzi, festini caserecci, consumando enormi quantità di cibo, noi avevamo già prenotato i nostri ristoranti top tra Comacchio e la laguna. Scelta che permetteva di trascorrere ore su ore per essere serviti, condensando il tempo non in un brunch ma in un pranzo-cena. Altro che i giovanili e insulsi aperi-cena! Poi, mentre le ombre si allungavano, tornavamo al silenzio lidesco tanto simile a quello che oggi ci circonda.

E ben che vada che non piovesse o la festività cadesse presto nel calendario!! Allora, muniti di ombrelli, trascinavamo gli stanchi passi per il viale: su e giù. Giù e su. La nota più eccitante era il mercato del sabato (e pensiamo adesso cosa significa quell’irraggiungibile luogo!) dove compravamo le cose più inutili, e che si concludeva, carichi di merci, al caffè. In tempi felicissimi c’era ancora il cinema, che ovviamente programmava i film più melensi della stagione, e talvolta, se mia madre era con noi, rivisti di seguito almeno due volte. Un evento clamoroso talvolta ci premiava. Poteva essere la presenza a Ravenna di Riccardo Muti, allora la festa era assicurata, nel suo salotto a parlare di Firenze e dei nostri amici. Ma l’occasione era sempre più rara, proporzionale alla fama mondiale del direttore.

Ora mi domando, dalla immobilità della mia postura di criceto, se il rifiuto dei Lidi fosse spiegato proprio  a causa di questo tempo sospeso, sonnolento, quasi inutile dovuto o  alla mancanza di ‘dané’, o perché le gite pasquali mi procuravano quel senso di tristezza dovuta proprio alla constatazione che Pasqua significava doversi divertire a ogni costo.
Nel ricordo però s’insinuano momenti dolcissimi: il borbottio di Eleonora amata amica/sorella che con me condivideva l’insofferenza del mare o l’arrivo di Romano con tutta la sua carica ed energia da scaricare in pranzi e cene nei luoghi più ‘buoni’ da lui conosciuti. Mi ricordo poi che dalla campagna avevo trasportato al mare l’intera collezione dei gialli di Agatha Christie, che venivano delibati tra l’umido delle lenzuola, avvolto in felpe mostruose.
Sono i ricordi che si fanno più vivi man mano che il tempo passa e il presente o il passato prossimo si sfumano e si falsificano, restituendo un passato remoto vivace, fresco, luminoso.

Quando poi arrivammo a permetterci i viaggi di lusso o a Parigi o in Egitto o negli States nei giorni prescritti, il silenzio si accordava al rumore delle città, alla grandiosità dei monumenti, alle notti bucate dalle stelle. Sarà vero, allora, che la pandemia ci obbligherà a ricostruire un presente/futuro che cancellerà quel passato a cui si rifà la vita di tutti noi? Mah!

Così mi compro la colomba pasquale, faccio l’ennesima telefonata alla farmacia per reclamare le introvabili mascherine, compio  una visita veloce al negozio di pesce in taxi per procurarmi le delizie ittiche, e… un colpetto di tosse mi mette subito in apprensione, ma passa presto e allora, scodinzolando a mo’di criceto, continuo il mio walk about  girando intorno, intorno al giardino, tra il prato fitto di margherite e le camelie trionfanti che se ne infischiano ormai delle ‘regolate’ del giardiniere ed esplodono selvaggiamente come un fiore dei tropici.
AVGURI come diceva la nonna.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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