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La crisi del ’29 e la grande depressione che ne seguì lasciarono due insegnamenti che cambiarono la storia economica del mondo:
– la legge di Say che aveva imperversato nelle università per circa 120 anni fu messa in discussione, l’offerta non creava più la domanda, si potevano produrre tutte le merci che si voleva ma serviva qualcuno che le comprasse altrimenti sarebbero rimaste invendute
– la politica doveva governare l’economia, servivano leggi che tenessero a bada banchieri, finanziari e speculatori.

Si cominciò allora a invertire il paradigma e a studiare la domanda relegando a microeconomia tutto il dibattito sulla produttività delle aziende e la determinazione di prezzi e salari. Keynes inventò finalmente la macroeconomia. E figli di questa intuizione furono il new deal roosveltiano, che prevedeva anche la svalutazione dell’oro, e nel secondo dopoguerra il piano Mashall che gettò le basi per la ripresa post bellica europea. Gli americani infatti capirono che per riavere indietro i prestiti fatti durante la guerra c’era bisogno di ricostruire, spendere, creare le basi del benessere.

Il processo di miglioramento delle condizioni della domanda andò avanti fino agli anni ’80 quando forze opposte e che guardavano al passato non riuscirono a trovare degli uomini che potessero invertire di nuovo il processo e li trovarono, da Reagan a Khol, da Ciampi e Amato a Junker, da Monti a Obama e Draghi, ognuno ha fatto la sua parte e continua a farla. Bisognava abolire leggi come il Glass-Steagall Act e tutte quelle leggi che limitavano la capacità della finanza di guidare le scelte dell’economia nella direzione del profitto a scapito della produzione e del progresso reale. Fu fatto un gran lavoro per promuovere prodotti derivati e di finanza sfrenata che portò guadagni miliardari ad una ristretta cerchia di persone mentre le università furono invase dalla propaganda neoliberista perché venissero accettate pratiche medievali di libero mercato.
Bisognava far arretrare lo Stato dai processi decisionali, ritornare al potere dei privati e soprattutto fare in modo che tutte le energie degli economisti di mestiere fossero dirette non a correggere il sistema ma ad intavolare discussioni di microeconomia che lasciassero intatto il sistema in modo da distrarre il pubblico.

Oggi più nessuno stato applica politiche keynesiane o forse no. C’è un Paese che fa dell’intervento statale la sua forza ed è non a caso la seconda economia mondiale: la Cina.
La Cina oggi è un competitor con cui bisogna fare i conti sempre, ed ha un grande vantaggio nei confronti degli Stati Uniti e soprattutto dell’Europa. Oltre ad utilizzare le armi della moneta di proprietà statale attraverso il controllo della sua Banca Centrale e la direzione politica dell’economia, non ha mai applicato quei criteri di giustizia sociale che i paesi occidentali avevano imparato a difendere e quindi procede a suon di bassi salari e poco stato sociale. Ultimamente alcune riforme si sono imposte a causa della crisi e del calo della domanda esterna, quindi stanno procedendo ad un innalzamento dei salari e delle condizioni di lavoro, nonché all’abbandono della regola dell’unico figlio, al fine di aumentare la loro domanda interna. Insomma l’esperienza cinese ci dovrebbe far riflettere sull’importanza del controllo della moneta e del governo dell’economia keynesiano, che indubbiamente sta funzionando meglio del nostro orientamento liberista, ma anche sull’importanza del nostro stato sociale e delle nostre conquiste salariali che non possono essere sacrificate sull’altare della competizione.

I Paesi occidentali quindi si sono indeboliti perché hanno abbandonato ogni controllo statale e lasciato tutto in mano ai privati, che quindi hanno guardato a ciò che ovviamente guardano i privati: il loro interesse.
Se guardiamo alle aziende italiane che hanno fatto del piccolo e familiare la fortuna della loro nazione e sono state sempre più lasciate a se stesse, vediamo tanti Davide combattere da soli contro Golia. Ma il racconto biblico dà la vittoria a Davide mentre nella vita reale la seconda economia mondiale supportata da una Banca Centrale statale ha già vinto.

Oggi la Cina sta investendo miliardi in Italia e sta comprando tante aziende che lo Stato italiano ha lasciato senza tutela. Le acquisisce e inizialmente magari paga stipendi più alti e impiega qualche persona in più perché ha bisogno nell’immediato di acquisire soprattutto il know how italiano, la genialità, il saper fare e innovare. Ma cosa succederà poi? Hanno forse qualche obbligo i cinesi di lasciare le loro conquiste in Italia e di dare benessere al nostro Paese? Non credo proprio, quando avranno acquisito ciò che avranno voluto potranno spostarsi in qualsiasi altra parte del mondo aumentando i loro profitti.
Potrebbero mai fare quello che stanno facendo se non avessero un piano statale di aiuti, di direzione economica alle spalle? E altrettanto avrebbero potuto farlo se da questa parte ci fosse stato un Paese pronto a difendere le proprie aziende e i propri lavoratori?

Lo smantellamento delle istituzioni occidentali è proseguito persino dopo la crisi del 2007-2008, paragonabile per intensità a quella del 1929. Agli inizi del ‘900 gli Stati capirono il pericolo e agirono di conseguenza, in questa invece non si è fatto assolutamente nulla. Ci sono state interrogazioni, audizioni al parlamento statunitense dove sono stati chiamati ed ascoltate agenzie di rating, amministratori di grandi banche ed è venuto fuori in tutta la sua chiarezza che il sistema economico era stato manipolato, falsato ad uso degli operatori di finanza e contro i cittadini che persero soldi e case. Ma niente. Nessuna conseguenza, anzi i contribuenti sono stati chiamati a ripagare i danni provocati dalle banche mentre coloro che avevano causato il disastro furono impiegati nella nuova amministrazione Obama a continuare la loro opera di controllo della politica.

L’Europa segue e si impoverisce sempre di più. Il continente che ha inventato il mondo ora è diventato terra di conquista, ha ceduto qualsiasi arma di difesa aderendo a trattati che ne impediscono qualsiasi forma di difesa dagli interessi finanziari eliminando ogni tutela e intervento statale. E non solo aziende ma vendiamo anche pezzi di storia, come l’antico Palazzo della Zecca che diventerà un albergo di lusso a guida ovviamente cinese. E mia figlia di 11 anni mi ha chiesto se arriveranno a comprare anche il Colosseo, domanda alla quale non ho saputo rispondere ma forse se ne dovrebbe occupare il mondo accademico se non fosse, purtroppo, che è stato plasmato per lasciare tutto com’è e forse, quando il politico di turno chiederà a loro consiglio su come trattare una eventuale richiesta di acquisto, risponderanno che sì: data la crisi, la mancanza di soldi, il debito pubblico, potrebbe essere una buona idea farlo. Venderlo alla Cina o alla McDonald’s non farà differenza, l’importante sarà far quadrare i conti e non una questione di dignità o di etica. L’importante sarà rimanere all’interno delle regole e dei trattati, del fatto che siano sbagliati non si può discutere.

Insomma, per essere politicamente corretti ed economicamente accettati, dobbiamo continuare a pensare a che colore dare alla tende in un palazzo con le fondamenta di cartapesta.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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