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Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in maniera tale che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero mai morire e muoiono come se non avessero mai vissuto. Dalai Lama

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Copertina Internazionale

Tre parole e un nome, José Pepe Mujica, classe 1935, quarantesimo Presidente dell’Uruguay dal 1 marzo 2010 al 1 marzo 2015. Un uomo che ha fatto parlare di sé, anche se non se ne è mai scritto abbastanza, per uno stipendio da presidente, all’epoca del mandato, di circa 8.000 euro al mese, di cui il 90% donato a organizzazioni non governative e persone bisognose; per il viaggiare alla guida di un Maggiolino del 1987; per la scelta di vivere in una piccola fattoria alla periferia di Montevideo, anziché nel palazzo presidenziale. Con un passato da comandante guerrigliero del movimento dei Tupamaros, arrestato e poi liberato per un’amnistia, Mujica è stato prima ministro e poi presidente molto popolare, per la sua vicinanza alla gente, al popolo, alla vita normale. Paladino della sobrietà, concetto per lui ben diverso dall’austerità (termine che considera “prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro” e quindi spesso senza dignità), l’ex presidente uruguayano ammette la necessità di consumare, ma senza lo spreco, terribile piaga. Perché quando si compra una cosa, non la si compra con i soldi, ma con il tempo della vita servito a guadagnarli. Ecco perché oggi, vi riproponiamo due discorsi di Mujica che invocano rispetto per la terra e per il tempo prezioso della nostra vita. Due momenti intensi da riascoltare.

Uruguay's president Jose Mujica waves at the press upon his arrival at La Moneda presidential palace in Santiago, on March 10, 2014.
Jose Mujica, 10 Marzo 2014.

Il primo discorso è quello fatto al Summit Rio+20, il 5 luglio 2012 (vedi), quando Mujica sfidava una platea attonita (e impettita nella sua rigida uniforme diplomatica) dicendo che: 
”…. la sfida che abbiamo davanti è di dimensioni colossali e la grande crisi non è ecologica, è politica! L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma queste forze governano l’uomo… e la vita! Perché non veniamo alla luce per svilupparci solamente, così, in generale. Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta.

Però loro devono generare questo iper consumo, producono le cose che durano poco, perché devono vendere tanto. Una lampadina elettrica, quindi, non può durare più di 1000 ore accesa. Però esistono lampadine che possono durare 100mila ore accese! Ma questo non si può fare perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e dobbiamo sostenere una civilizzazione dell’usa e getta, e così rimaniamo in un circolo vizioso…..”. Un messaggio ai governi per ripensare le loro priorità. Inascoltato? Non da tutti, qualcuno sta riflettendo, noi per primi. Consumare meno e meglio, senza che questo significhi tornare all’età della pietra, un invito a non sprecare il nostro tempo e a passare la nostra corta vita a pagare rate continue per beni spesso inutili, case e macchine sempre più di lusso. Solo nella nostra infanzia, non poi tanto lontana, le cose si riparavano, con cura a attenzione. Oggi si butta, tutto. Il mercato fa sì che costi meno ricomprare che riparare. E montagne di rifiuti ci sovrastano.

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Green report

Il secondo discorso di Mujica, di soli 45 secondi, manda lo stesso identico messaggio, con semplicità: una critica che cerca di dare soluzione, in un piccolo video realizzato quando il regista Arthus Bertrand lo ha intervistato per il suo documentario “Human” (vedi), di cui abbiamo parlato (leggi). Anche qui si invita ancora a pensare a una sola cosa, a non sprecare: “Quello che stiamo sprecando”, spiega Mijuca, “è tempo di vita perché quando io compro qualcosa non lo faccio con il denaro, ma con il tempo di vita che hai dovuto utilizzare per guadagnare quel denaro. L’unica cosa che non si può comprare è la vita. La vita si consuma. Ed è da miserabili consumare la vita per perdere la libertà”. Quella libertà oggi toltaci da un mercato concorrenziale spietato, che non abbiamo saputo domare e che oggi ci governa come vuole. Abbiamo perso il controllo della nostra stessa creatura. Come l’ex presidente uruguayano ricordava anche a Rio, non è povero chi possiede poco, ma veramente povero è chi necessita infinitamente tanto, chi desidera e vuole sempre di più. Bisogna rivedere il nostro modo di vivere, lo sviluppo non può essere contro la felicità, ma deve essere in suo favore. In favore dell’amore per la terra, per le relazioni umane, a cura dei bambini, l’avere amici e tempo per loro, il possedere l’indispensabile, tutti, perché il primo elemento dell’ambiente è l’uomo e la felicità umana. Io ci sto pensando, sempre di più.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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