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UN FUTURO SCRITTO NEL PASSATO PER LE DONNE AFGHANE ?

Le immagini del 15 Agosto scorso in cui si vedono milizie talebane sfilare per le strade di Kabul hanno scaturito lo sdegno e la riprovazione della comunità internazionale, a molti sono tornate in mente le terribili immagini dell’ultimo governo talebano e la domanda che tutti avevano sulle labbra era la medesima: cosa ne sarà ora delle donne afghane ? La loro condizione tornerà esattamente come
quandoi talebani sono stati al comando dell’Afghanistan l’ultima volta ? I talebani sono stati al potere per l’ultima volta con un tremendo regime tra il 1996 e il 2001, un governo del terrore e della paura che aveva nella figura della donna il proprio bersaglio principale.
Infatti, alle donne erano negati i diritti umani basilari: esse non potevano uscire fuori di casa se non indossando il burqua e accompagnate da un uomo, non era loro concesso studiare o lavorare, non potevano rivolgere la parola ad un uomo o ridere, ogni cosa era loro preclusa. Basti pensare al fatto che una legge del 1997 vietava alle donne di utilizzare calzature che potessero produrre rumore, perché
questo non fosse fonte di disturbo per gli uomini. Le immagini di donne lapidate in pubblico per essere uscite a fare shopping senza la compagnia di un uomo, le immagini di donne vittime di percosse di fronte ad ampie folle sono state una costante maledetta di quegli anni di controllo esasperato sulla vita delle donne. Le condizioni di vita delle donne afghane nei venti anni successivi alla caduta del
regime talebano in Afghanistan sono leggermente migliorate. Ciò che risalta maggiormente è l’aumento della speranza di vita, che per le donne nel 2001 era solo di 56 anni mentre oggi si situa a 66 anni, il fatto che sia stato possibile ridurre drasticamente il livello di mortalità al parto da 1.100 donne morte ogni 100 000 nati vivi nel 2000 a 396 morti ogni 100 000 nati vivi nel 2017. In generale, la costituzione post – talebana del 2004 ha permesso al 33,4 % delle giovani afghane di ricevere un’istruzione primaria e a 100 000 di esse di poter frequentare l’università, essa ha anche portato un numero di donne impiegate nella pubblica amministrazione pari al 21 % del totale dei dipendenti pubblici nel settore e un abbassamento del gender inequality index, l’indice che segnala il livello di differenza di genere. Successi significativi che rischiano di venire cancellati rapidamente dal regime islamista che ha appena conquistato il potere.

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I vari rappresentanti talebani, tra cui la voce principale è quella di Suhail Shaheen, hanno a lungoparlato del tema delle donne e delle loro condizioni di vita, del loro futuro in Afghanistan e hanno più volte affermato che non hanno intenzione di fare delle donne delle vittime e che verranno tutelato al di sotto della Sharia, la legge religiosa islamica. Molte donne stanno già denunciando violazioni gravissime e
soprusi continui, segno che il regime talebano sta solo cercando di mostrarsi maggiormente presentabile agli occhi occidentali, ma la sostanza non è cambiata rispetto al passato. Secondo diverse testimonianze, riportare dal Guardian, in alcuni distretti i talebani stanno cercando di redigere liste di donne nubili tra i 12 e i 45 anni per darle in spose ai soldati, mentre invece il Washington post riporta la notizia di padri e madri che vedono figlie 14enni portate via da miliziani talebani verso destinazioni ignote.
Se è vero che l’Organizzazione delle Nazioni Unite ( ONU ) ha nella propria agenda il raggiungimento della parità di genere per tutte le donne entro il 2030, questo fatto rischia di far precipitare la situazione. Già nei giorni successivi all’insediarsi del regime si è sviluppato un movimento di protesta forte e coeso nei confronti del neo costituito emirato islamico: cortei di protesta, spesso e volentieri repressi nel sangue, hanno sfilato a Jalalabad, Herat, Kabul e in numerose altre città. Al loro interno è da segnalarsi una forte presenza femminile, una forte e coraggiosa presenza femminile, che non è intenzionata a retrocedere sul processo di equità e parità intrapreso negli ultimi decenni e che non si è rassegnata a fare marcia indietro dalle conquiste faticosamente ottenute.
A loro che guardiamo con speranza e con amore.

Camillo Modena

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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