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Ci sono personaggi femminili di grande fascino che hanno lasciato un’impronta profonda nella letteratura: donne coraggiose, deboli, vittime o artefici del loro destino, forti, innamorate, tradite e traditrici, malvage e generose, geniali, perdenti, sognatrici, ribelli o sottomesse, libere, combattive, acculturate o ignoranti, sensibili o ciniche.
Un universo femminile che abbiamo amato o detestato a seconda degli eventi, parteggiando per l’eroina di turno o aspettando impazientemente pagina dopo pagine che la colpevole espiasse. Un mondo dove ciascuna donna vive intensamente la propria condizione e ciò che la vita le riserva, donando a noi lettori emozioni di ogni genere e di ogni sfumatura fino a diventare vere e proprie icone nell’immaginario collettivo. E quando lasciamo questi personaggi perché hanno esaurito la loro funzione narrativa, ci rammarichiamo che la lettura del romanzo sia terminata e con essa il contatto che avevamo stabilito con la protagonista di turno.

Hester Prynne, la presenza di spicco in ‘La lettera scarlatta’ (1850) di Nathaniel Hawthorne, è una delle figure della letteratura americana più amate. Siamo nel 1642 a Boston, Nuova Inghilterra: Esther commette adulterio e mette al mondo una figlia, Pearl. Il marito è lontano da anni e la donna si rifiuta di rivelare il nome del padre per proteggere l’amante, il giovane reverendo Dimmesdale, teologo e predicatore molto rispettato nella comunità. Alla peccatrice viene imposta l’umiliazione di portare per sempre una lettera scarlatta sul petto, la lettera A come adulterer. Al ritorno del marito, prigioniero per anni degli indiani, seguono momenti concitati che vedono l’uomo in preda al desiderio di vendetta e gli amanti lacerarsi tra sensi di colpa, bisogno di confessare, tenere vivo il loro legame, crescere bene la bambina. Dimmesdale muore su quello stesso patibolo, mentre tenta di affermare la verità davanti ai suoi fedeli e la protagonista del romanzo partirà con la figlia, lontana dalla gogna sociale. Tornerà a Boston solo in vecchiaia, per morire ed essere sepolta accanto al suo amante e la loro lapide recherà la scritta: “In campo nero, la A scarlatta”. Una donna contro corrente in un’epoca di caccia alle streghe, che difende fino alla fine la propria diversità e il proprio amore.
Vicende differenti ma stesso epilogo toccano a Nora, la protagonista di ‘Casa di bambola’, il testo teatrale drammmatico scritto da Henrik Ibsen nel 1879, che fece notevole scalpore. Nora appare come una creatura allegra e vivace, capricciosa e volubile, creduta puerile e superficiale dal marito Torvald Helmer che la chiama ‘allodola’. In realtà la donna non è mai stata una evanescente bambola irresponsabile e nel passato ha contratto un debito con lo strozzino Krogstad, falsificando la firma del padre sulle cambiali, per aiutare di nascosto il marito in un periodo di difficoltà. Dopo una serie di eventi, l’usuraio racconta tutto a Helmer che si scaglia contro Nora, preoccupato di vedere rovinata la sua rispettabilità. Su intervento di un’amica, Nora viene perdonata, ma si renderà subito conto che ormai il rapporto col marito è compromesso. La donna dimostrerà tutta la sua determinazione e consapevolezza rifiutando di rientrare nel ruolo stereotipato di prima e lascerà marito e figli per andare incontro a una nuova dimensione, dove poter esprimersi e realizzarsi liberamente con coraggio e forza.

Molte ‘eroine’ vivono, soffrono e combattono, a volte muoiono, nei romanzi di Jorge Amado e nel fantastico mondo sudamericano: storie di “peste, fame e guerra, morte e amore”. ‘Teresa Batista stanca di guerra’ (1972) è una raccolta di cinque storie ambientate nel ‘sertão’ e sui moli del porto di Bahia, dove la bella Teresa Batista risorge a nuova vita dopo ogni difficoltà. Venduta tredicenne a un signorotto, ben presto prostituta, poi ufficiale sanitario improvvisato durante un’epidemia di vaiolo e quindi amante di un potente dottore che la sottrae al carcere, la donna riesce a ricrearsi e reiventarsi ogni volta senza soccombere. Fino a innamorarsi del marinaio Janu che la porterà sulla sua casa-barca. Una donna che balla tra i colori di un eterno carnevale, sfidando anche gli eventi più tragici con quella leggerezza che permette di non affondare mai. Un’indimenticabile e affascinante personaggio femminile è Trudi Montag che ci conquista nel romanzo ‘Come pietre nel fiume’ (1994) di Ursula Hegi. Trudi nasce in Germania, in un villaggio sulle rive del Reno nella prima metà del XX secolo. Quando alla sua nascita la madre scopre che è nana, viene travolta dalla disperazione che la condurrà alla morte. Trudi cresce col padre Teo, proprietario di una piccola libreria, costretta ad affrontare la propria diversità. Nello sfondo della Seconda Guerra Mondiale, la piccola donna infelice, desiderosa di uniformarsi agli altri e frustrata dalla realtà, diventa pian piano la depositaria di libri sottratti alla brutale distruzione nazista e la testimone preziosa di racconti e storie che custodisce gelosamente. La grandezza di Trudi sta nel riuscire a ‘crescere’ malgrado tutto, nella sua intelligenza acuta e nella sua conquista della libertà di pensiero, rifiutando irrigimentazioni e coercizioni. La sua silenziosa sfida al regime nazista la eleverà a quella dimensione a cui ha sempre anelato.
Una potente protagonista femminile creata dallo scrittore e giornalista svedese Stieg Larsson è Lisbeth Salander, che troviamo in ‘Millenium’, una trilogia poliziesca pubblicata tra il 2005 e il 2007 (Uomini che odiano le donne – La ragazza che giocava col fuoco – La regina dei castelli di carta) e continuata da David Lagercrantz nel 2015, dopo la morte di Larsson. Lisbeth è una giovane ed eccentrica ricercatrice e hacker di fama mondiale, sopravvissuta a un’infanzia di abusi e violenze di ogni genere che la inducono ad affinare geniali strumenti di autodifesa e a diventare un’asociale. Collabora in modo criptico con il mensile Millenium, specializzato in grandi scandali politici, economici e sociali. Vive perennemente su un terreno minato, coinvolta in inchieste pericolose, animata da desiderio sviscerato di azione. Una duplice anima di eroina e antieroina insieme, che persegue la giustizia con coraggio e lealtà, ma si serve sistematicamente di modalità discutibili rasentando spesso la violenza, assetata di vendetta nei confronti di chi rappresenta una qualche minaccia per la sua stabilità e integrità. Un esempio di sopravvivenza in condizioni estreme che il lettore vive insieme a lei con il fiato sospeso.
Ecco le nostre eroine che ci fanno sognare, riflettere, arrabbiare, impressionare, ciascuna con i propri tratti e le proprie vicende, sia che sia Ida, Fosca, Clara, Emma Bovary, Anna Karenina, Penelope, Elizabeth Bennett, Jane Eyre, Carlotta, Pippi Calzelunghe o Hermione Granger.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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