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Qui a Pontalba siamo tutti dispiaciuti della morte di Dora, la signora anziana che abitava in via Santoni Rosa a pochi isolati di distanza da casa nostra. Dora era simpatica, ci piaceva tanto. Alla mattina usciva a spazzare davanti al suo grande portone di legno e se mi vedeva, diceva: “Ecco Rebecca, una delle tre meraviglie di via Santoni”  (le altre due meraviglie sono i miei fratelli: Valeria e Enrico). Amalia, la sorella di Dora, è rimasta da poco sola in quella vecchia casa. Ha  novant’anni. Il suo cervello funziona ancora bene, le sue gambe molto meno.

Quando la zia Costanza era piccola, Amalia e Dora erano giovani e arzille. Portavano dei cappellini vivaci con fiori e piume e cantavano come due sirene. La zia se le ricorda sedute vicine nel banco in chiesa, mentre intonavano le canzoni della Messa di Natale. Anche la nonna Anna se le ricorda.
Quando la zia Costanza aveva quattro anni, la zia Rachele tre e mia madre non era ancora nata, la nostra casa in via Santoni Rosa andò a fuoco.
C’era una caldaia a nafta posizionata in uno stanzino tra la cucina e un’ala diroccata dello stesso stabile, proprio lì si scatenò l’incendio.  Alcuni anni dopo quell’ala in disuso fu restaurata ed è diventata  la mia casa attuale. In quella drammatica notte, un grumo di combustibile  intasò la caldaia e causò l’incendio che si propagò per buona parte dell’abitazione e distrusse il fienile. Le esalazioni di nafta fecero morire Lisa, il collie delle zie.

Io sono nata molto tempo dopo, ma di quella vicenda ne ho sempre sentito parlare. Le fiamme erano altissime, i pompieri non arrivavano, né quelli della centrale più vicina, né quelli della città. Si erano persi con le loro autobotti nella notte d’autunno che, nella pianura lombarda, sa essere insidiosa e quasi priva di visibilità. Il fuoco imperversava. I nonni e i bisnonni, tutti ormai svegli e usciti in cortile col solo pigiama addosso, non sapevano cosa fare.

La zia Costanza e la zia Rachele furono portate a casa di Dora e Amalia e là si addormentarono, mentre gli adulti continuarono ad aspettare i pompieri. Le fiamme erano violente, rosse come i tramonti di Luglio, bollenti. I nostri vicini trebbiatori provarono a fermarle  con gli estintori in dotazione a chi lavora con le macchine agricole, ma fu inutile. Quelle bisce di fuoco si abbassarono per un attimo e poi ripresero vigore e si innalzarono nel cielo della notte come draghi inferociti. Un po’ alla volta si svegliò tutto il paese. C’era una strana luce e uno strano calore ovunque. Suonarono le campane a martello per avvisare che c’era un dramma in corso.
Poi finalmente arrivarono i pompieri e spensero il fuoco. La casa rimase bollente, piena di schiumogeno, cenere e resti di nafta fuoriuscita dalla cisterna e parzialmente bruciata, per giorni. Quel nero bruciato si era appiccicato alle pareti e si riuscì a liberarsene definitivamente l’estate dopo, quando con l’intonaco nuovo si risistemarono i muri martoriati.
Mentre tutto questo succedeva  le zie dormivano nel letto di Dora e Amalia. Entrambe, seppur piccole, ricordano di essersi svegliate in quel letto “diverso” e di aver avvertito che la situazione era anomala, ma non ricordano molto di più.

Quando sento parlare di incendi ripenso sempre a quel che le zie e la nonna Anna raccontano di quel fuoco violento che devastò parte della nostra casa, per la precisione la parte che poi è stata ristrutturata e dove noi abitiamo adesso. Ho rischiato di perdere la mia abitazione prima ancora di averla trovata. La nostra grande casa di campagna è divisa in due appartamenti: in uno abita la zia Costanza con la nonna, nell’altra abitiamo io, Valeria, Enrico e i nostri genitori. La zia Rachele abita a Torino perché lavora là.

Anche la signora Amalia ricorda bene quella notte. Una volta mi raccontò che era stato un grande spavento, avevano avuto paura che della nostra casa non restasse nulla, tanto l’incendio era alto e autoalimentato (la nafta continuava ad uscire dal bruciatore e nessuno sapeva come fermarla). Nella caldaia c’era trenta quintali di nafta che bruciavano con ardore.
Un amico della nonna tagliò i fili della corrente elettrica che si stavano surriscaldando e i pompieri iniziarono a bagnare con acqua ghiacciata i muri interni della casa che stavano diventando bollenti. Un dramma che ha sfiorato la tragedia.
Dora e Amalia sono state tempestive, ci hanno aiutato, hanno avvolte le zie in coperte e poi le hanno portate a dormire, hanno costretto i nonni a bere un po’ di grappa.
In quel dramma improvviso si è risvegliato, di notte, un intero paese. Insieme alle fiamme si è riaccesa la solidarietà. Insieme al calore del fuoco, via Santoni Rosa è stata invasa dalla bontà di tanti cuori. Si è riscoperta improvvisamente la fratellanza.

La mattina dopo nella mia casa devastata e nera come il carbone, arrivarono diversi piatti di frittelle fumanti, segno inequivocabile di solidarietà e di partecipazione al damma. Non centrava proprio più la politica, le riunioni condominiali, le candidature a Sindaco del paese, la gestione della cassa dell’oratorio e tutte quelle vicende che allertano gli animi in tempo di pace. Una notte sola aveva spazzato via tutti questi piccoli risentimenti di una vita un po’ banale e un po’ ripetitiva. (Soprassederei sull’effettiva utilità di ingurgitare dolci fritti dopo essere stati una notte al freddo e aver provato un forte stringimento di stomaco causato dalla paura e dalla preoccupazione. Là bontà dei cuori va oltre.)

Credo che sia in momenti come quelli che si riscopre la differenza tra l’abitare in un paese  e nella periferia di una grande città. Tutti gli abitanti di via Santoni Rosa si ritrovarono quella notte per strada, senza vestiti, senza scarpe e cercarono di dare il loro aiuto a seconda delle loro possibilità, della competenza, dell’età e della preoccupazione che, a volte, impedisce di vedere le soluzioni più ragionevoli.
Il papà di Camilla andò sull’angolo della via ad aspettare i pompieri, Amalia chiamò il medico di guardia per il nonno che stava male, gli zii che abitavano in piazza si misero a pregare e accesero delle belle candele suoi loro comodini.
Il parroco arrivò in bicicletta, la farmacista in vespa, il segretario comunale a piedi perchè la sera prima aveva bevuto e vinto a carte all’osteria e, i postumi della sbornia, gli permettevano di fidarsi solo delle sue gambe.
Il giorno dopo a scuola le maestre fecero fare ai bambini della elementari un tema sull’incendio di via Santoni Rosa, mentre quelli delle medie studiarono come funzionava la combustione della nafta.

Tutto il paese partecipò al dramma e la cosa che sollevò gli animi di tutti è che non morì nessuno, né la casa cadde a pezzi, anzi si salvò e venne ristrutturata. Amalia e Dora raccontarono per anni questa storia con molta fierezza come se l’esito positivo della vicenda fosse, almeno un po’, merito loro.  Forse in parte lo era, come lo era di tutti coloro che in quella notte, rossa come il fuoco e accesa come il sole di mezzogiorno, parteciparono al dramma e provarono a dare il loro contributo allo spegnimento dell’incendio.
Ben diversi sono stati gli eventi a causa dei quali, proprio in quegli anni, sono bruciati fienili carichi di fieno e legname. In quei casi  il dramma assumeva proporzioni rilevanti e i danni economici potevano portare alla rovina dei malcapitati colpiti dal fuoco. A volte  gli incendi erano di natura dolosa, ma di questo a me non è mai stato raccontato nulla.

I bisnonni, i nonni, le zie devono ringraziare  Dora e Amalia che, con la loro solerzia e il loro proverbiale altruismo, si sono precipitate a prendere le due bambine della casa che stava bruciando. Ora Dora purtroppo è morta, ma lei è una nostra defunta, fa parte della nostra tomba di famiglia.
Nei paesi di campagna le storie di incendi sono tante, hanno tante cause, tante conseguenze, tante chiacchiere posticce e a volte anche tante polemiche.

Ma Dora  e Amalia hanno sempre ringraziato il cielo che ai  miei parenti non sia successo niente e che alle due bambine di via Santoni Rosa (la zia Costanza e la zia Rachele) sia continuata ad essere garantita una vita serena e protetta. Le due bambine sono infatti cresciute sane e per nulla traumatizzate dal brutto e pericoloso incidente. Le zie sanno quante candele hanno acceso Dora e Amalia per loro. E di questo non si possono dimenticare. Adesso che Dora è morta di Covid-19, ogni tanto, piangono.  Credo ripensino a tutte le volte che Dora le ha cordialmente salutate, ha sorriso loro, regalato qualche caramella e indicato loro i rondoni pronti a spiccare il volo.  Ripensano a quando, in quella notte di terrore, lei e sua sorella Amalia le hanno fatte dormire nel loro letto perché la casa bruciava. Le zie sanno, perché l’hanno provato sulla loro pelle, che è la presenza  di persone buone che cambia il corso della vita, è il loro amore, la loro forza, la loro fiducia e anche un po’ della loro temerarietà.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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