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Ho atteso -invano- che qualche autorità, ente, associazione, singolo cittadino, un giornalista sportivo esprimessero, a Ferrara, uno straccio di opinione sulle incredibili vicende dell’ormai -a detta di tanti- impresentabile candidato alla presidenza Fgci, Carlo Tavecchio. Fiumi d’inchiostro e tantissime dichiarazioni prima di incredulità poi di condanna hanno stigmatizzato le ripetute gaffes del Nostro. Persino la Fifa ha chiesto chiarimenti. Molte società calcistiche , le associazioni dei calciatori ed allenatori, intellettuali, hanno manifestato la propria indignazione per dichiarazioni irresponsabili che oggettivamente incentivano fenomeni di discriminazione razziali.
Anche il Coni ha fatto capire a Tavecchio che non è il caso di insistere sulla sua candidatura. E Ferrara? Rien de rien. La città è preda di nebbie sempre più spesse. Siamo stati puntualmente informati delle gesta dei nostri eroi domenicali e degli angoscianti interrogativi che ci tolgono il sonno; 4-4-2 o meglio il 3-4-3? Nessuno che abbia chiesto al mondo sportivo ferrarese , all’assessore allo Sport e sopratutto alla Spal cosa ne pensavano e come ci si schierava nella assemblea di Lega Pro. Purtroppo ora sappiamo come è andata: la società biancazzurra si è unita al carrozzone pro Tav(ecchio) sostenendo dirigenti che sono da decenni incollati col mastice alle loro poltrone (magari strepitano contro quei politici che non “mollano mai”) e sono i responsabili della crisi del calcio italiano sempre più ai margini in Europa e nel mondo. Delle scelte sciagurate di costoro hanno soprattutto sofferto proprio la serie C (uno e due) -un inferno calcistico- ed i settori giovanili.
Cosa sperino che cambi con Tavecchio e Macalli (alle prese con la magistratura per vicende calcistiche) i Colombarini, gente seria e onesta a cui Ferrara deve gratitudine, è un mistero. Qualcuno in cerca di giustificazioni per conservare lo statu quo sostiene che è una lotta di potere tra società impegnate solo nella difesa di gretti interessi. Se cosi cari signori il calcio, lo sport, i suoi valori bla-bla… sono finiti. E se credo ancora in quei valori e voglio che si affermino su Optì Pobà mangiatore a tradimento di banane non posso glissare fingendo di non aver sentito.
L’altra obiezione forte che si propina ai gonzi (sempre meno) è che lo sport è autonomo. Una stupidaggine che la storia smentisce da sempre. Fatti? Le olimpiadi di Berlino nel 1936 volute da Hitler furono prima di tutto una manifestazione politica per mostrare la “forza” della Germania e la possanza della “razza Ariana”. Mussolini ai campionati del mondo di calcio nel ’34 e nel ’38 impose agli atleti il saluto fascista. I generali golpisti, Videla in testa si pavoneggiarono ai mondiali del ’78 vinti dall’Argentina. Chi non rammenta le epiche sfide tra Urss e Usa , tra Germania dell’Est e dell’Ovest che dallo sport cercavano una primazia che voleva essere anche di sistemi. Persino la Primavera di Praga trovò nella sfida di Hockey tra Urss e Cecoslovacchia (vinta da quest’ultima) una spinta verso il cambiamento poi tragicamente soffocato.
E’ risaputo, per venire a tempi più recenti che i mondiali in Brasile e le prossime Olimpiadi sono state volute da un governo traballante che puntava alla vittoria dei carioca per sperare di sopravvivere. E da noi? Nel Bel Paese? Beh, il monarchico Lauro vide sempre nel Napoli una protesi elettorale. Il duo Andreotti / Evangelisti usarono ed abusarono politicamente della loro “fede” romanista. Lo stesso Berlusconi “sperava che le vittorie rossonere gli portassero qualche voto in più.” E si potrebbe continuare smentendo l’ipocrisia dello sport “autonomo dalla politica”. Del resto quando un evento coinvolge milioni di persone, se non miliardi, è impensabile che non diventi un fatto politico, un dato culturale, di costume, economico, espressione di popoli talvolta avversi l’un contro l’altro, o anche solo collocati a nord o sud del pianeta. Mi dolgo dell’insensibilità della mia città su questi ed altri argomenti. Alberto Sordi canta nel film Polvere di Stelle “dove vai se la banana non ce l’hai”. Le sortite dell’impresentabile Tavecchio rischiano che nei prossimi campionati di A, B, e C che i fruttivendoli vengano presi d’assalto prima delle partite per far partire dopo il classico buu… il lancio delle banane. Prossimo sport olimpico.

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Paolo Mandini


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di Piermaria Romani

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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