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Esistono, nella storia di una città o di un territorio, occasioni importanti di trasformazione o crescita, alle volte dovute ad accadimenti imprevedibili, anche esterni ai fatti della comunità locale, di fronte alle quali è necessario farsi trovare pronti, per non correre il rischio di perderle. Emblematico l’esempio del Progetto Mura, ultima grande realizzazione a scala urbana che ha profondamente e positivamente inciso sulla vita della città.
L’amministrazione comunale di allora, siamo negli anni Ottanta del Novecento, capì l’importanza di una idea capace di modificare in modo sostanziale il rapporto tra centro e periferia in questa città ed ebbe il coraggio di investire in un progetto, preceduto e garantito dai lavori di una commissione scientifica di altissimo livello. Quando si presentò l’occasione della legge nazionale sul Fondo Investimenti e Occupazione Ferrara si fece trovare pronta e presentò il progetto già predisposto che fu finanziato perché ritenuto tra i migliori a livello nazionale. Per il bene della città arrivarono e furono spesi oltre 80 miliardi di lire.

Oggi  si presenta l’occasione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma l’impressione è che Ferrara si sia fatta trovare sostanzialmente impreparata.

Da tempo mancano occasioni di confronto, di dibattito e di elaborazione sul futuro di questa città. Sembra mancare una visione strategica di lungo respiro, capace di concretizzarsi in progetti da mettere sul tavolo quando si presentano le, rare, occasioni giuste.
Ciò di cui si legge sulla stampa come progetti finanziabili col PNRR sono certamente cose utili o auspicabili, ma come parziali aggiustamenti della realtà attuale. Nulla a che vedere con una visione strategica complessiva della città futura, di quali scelte sarebbero necessarie per una città migliore.

Nulla a che vedere con la portata dell’occasione che si presenta. Preoccupa il ritardo col quale sono state affrontate le scadenze imposte dalla nuova legge urbanistica regionale (la legge 24 del 2017) che prevedeva la scadenza di tre anni, poi prorogata a quattro, per impostare la revisione degli strumenti urbanistici vigenti attraverso la redazione del nuovo Piano Urbanistico Generale (PUG).
Preoccupa perché la nuova legge urbanistica contiene novità importanti (come lo stop alle nuove espansioni e quindi all’erosione di suolo agricolo) ma estremamente delicate se non affrontate nei tempi e con gli strumenti adeguati (come il possibile stravolgimento di parti di città esistente, se le spinte di interessi immobiliari non sono incanalate e guidate all’interno di una pianificazione pubblica forte e di una progettualità adeguata). Solo in questi giorni è in scadenza il bando per la scelta dei tecnici che dovranno redigere il nuovo piano (dopo un primo bando andato, non a caso, deserto). Il piano vigente costituisce certamente una buona base di partenza, ma con limiti e difetti evidenti. Momenti di confronto tecnico e politico negli anni trascorsi dall’approvazione della legge avrebbero potuto fornire indicazioni preziose a chi sarà chiamato ad elaborare il nuovo strumento urbanistico, ma avrebbero anche potuto produrre progetti concreti pronti per essere presentati nell’occasione del PNRR.

Spero che, in questo quadro di sostanziale assenza, almeno a livello urbanistico, di approfondimenti e stimoli (fatta eccezione per la proposta, a livello territoriale, di “Metropoli di paesaggio”, tanto affascinante quanto realistica, portata avanti da Sergio Fortini con la cooperativa Città della Cultura/Cultura della Città) possano essere utili alcune riflessioni riguardanti possibili progettualità per un migliore assetto della città esistente, premettendo la convinzione che, oggi più che mai, ogni piano urbanistico debba partire dal presupposto della identificazione e della difesa della qualità preesistente, soprattutto nell’edificato storico, ed in particolare in una città dichiarata Patrimonio dell’Umanità.

Ricordo anzitutto che un grande progetto pronto a scala urbana esiste già: il ”Progetto finalizzato al restauro, recupero e valorizzazione delle mura e del sistema culturale-museale della città”. Il progetto Mura infatti fu in gran parte realizzato, ma restò incompiuto in due parti molto importanti:
1 ) le nuove connessioni tra le varie parti della cerchia muraria, oggi interrotta in più punti,
2 ) il completo recupero degli edifici che definiscono il Quadrivio dei Diamanti.

Quanto sia stato importante, per la vita dei ferraresi, recuperare il sistema terrapieno-mura-vallo che circonda la città è chiaro e noto a tutti.
Ma sarebbe ancora più importante completare il progetto realizzando nuovi collegamenti in quota dove le mura sono state, nel tempo, interrotte da parziali demolizioni per ricreare quella continuità di percorso che, oltre a non costringere i numerosissimi utenti e frequentatori a pericolosi attraversamenti, eviterebbe l’isolamento di zone diventate nel tempo, a fasi alterne, soggette a frequentazioni ed interessi socialmente pericolosi o potenzialmente tali. In questi casi sono convinto che la frequentazione dei cittadini e l’uso comune degli spazi possano contare più di qualsiasi recinzione. Il progetto mura propone soluzioni che possono essere riprese, approfondite, modificate ma soprattutto realizzate.

Per i palazzi del quadrivio dei Diamanti il Progetto Mura prefigurava, già negli anni Ottanta del Novecento, l’inserimento organico nel sistema culturale e museale della città con pinacoteca a palazzo dei Diamanti, ampliamento delle strutture della pinacoteca e strutture espositive permanenti a palazzo Prosperi Sacrati, strutture espositive (temporanee, aggiungo io, con spazi finalmente adeguati per le grandi mostre) a palazzo Pallavicino (attuale caserma Bevilacqua), dando per scontato l’uso espositivo per le collezioni dell’Università a palazzo Turchi Di Bagno.

La seconda riflessione riguarda quella che ritengo potrebbe essere, nei prossimi decenni, la parte di città maggiormente soggetta a trasformazioni: la zona ad ovest del centro storico. Dando per scontato che la città non potrà più espandersi  a scapito del territorio agricolo, anche perché finalmente le leggi urbanistiche vanno in modo più deciso in questa direzione, quindi che il lato a nord della città (il patrimonio inestimabile del Parco Urbano) rimanga sostanzialmente inedificato e che ad est e a sud, in assenza di espansioni,  l’edificato sarà oggetto semplicemente di aggiustamenti e miglioramenti localizzati.
La parte di città che meglio si presta a trasformazioni profonde, perché oggi in buona parte caratterizzata da un tessuto urbano sfrangiato e casuale, è quella che dall’irrisolto nodo viario delle barriere di porta Po, attraverso il grattacielo, la stazione e comparti di strutture produttive in buona parte dismesse
 giunge al canale Boicelli  e oltre, con gli immobili, in parte di grande qualità, della ex distilleria Alc.Este. Si tratta di un brano di città da ripensare completamente, carico di potenzialità,  ricco anche di spazi verdi da conservare e valorizzare, soprattutto lungo il Po di Volano ed il canale Boicelli, con alcune presenze architettoniche contemporanee di qualità, in parte già con funzioni pubbliche o aperte al pubblico, che sembrano precorrere i tempi della rigenerazione di quella zona: il complesso dell’ex Eridania, gli edifici che ospitano gli uffici finanziari dello stato, un supermercato all’inizio di via Modena e altri minori.

Solo in questa prospettiva sembra può avere senso concreto il cospicuo investimento della Conferenza Episcopale Italiana per la nuova chiesa di San Giacomo, con le annesse opere parrocchiali. Questo comparto costituisce l’occasione, in una città storicamente cresciuta per addizioni programmate, per una nuova addizione di qualità che però sarà attuabile solo attraverso una forte iniziativa pubblica di guida e di programmazione.
Va completamente ripensato il collegamento con la città storica trasformando, con approfondimenti progettuali adeguati, la ferrovia (con stazione): da barriera ad opportunità permeabile. E il grattacielo, da presenza ingombrante ed incongrua, oggi totalmente fuori scala,  ad isolato di edilizia di qualità integrato nel tessuto urbano (trovo a questo proposito sbagliata, se non raccapricciante, l’idea di recente prospettata di attingere  ad oltre 4 milioni di euro di fondi pubblici, attraverso le detrazioni fiscali del 110%, per “efficientare” e rendere più gradevole l’aspetto di quello che rimane e sempre rimarrà, se non drasticamente ridimensionato, un eco-mostro).

Questa grande parte di città che dalla darsena arriva al Boicelli  potrebbe dunque nei prossimi decenni essere determinante per l’equilibrio futuro della nostra realtà urbana.

Terza riflessione riguarda il superamento dell’ingorgo veicolare permanente che mortifica il borgo di San Giorgio, una delle parti più belle e storicamente più importanti della città. E’ necessario dare uno sbocco ad est alla strada di scorrimento posta a sud della città (la via Wagner)  con investimenti pubblici adeguati. Solo in questo modo il borgo san Giorgio, ridotto da decenni a spartitraffico, con l’aggravante recente della piccola assurda rotatoria al servizio di una struttura commerciale la cui collocazione mai avrebbe dovuto essere approvata in quel luogo, potrà rientrare organicamente e a pieno titolo a far parte del centro storico della città, centro storico il cui futuro meriterebbe una lunga riflessione a parte.

Sarebbe dunque il momento di pensare e di progettare in grande per consentire alla città esistente di essere anche la città del futuro,  sciogliendo i principali nodi che ne condizionano oggi il buon funzionamento.

Nota: questo articolo, esce su periscopio con il consenso dell’autore. Il medesimo testo è già apparso in precedenza sulla Nuova Ferrara.

In copertina: veduta aerea di Ferrara, particolare,

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Andrea Malacarne


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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