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Vorrei proporre una riflessione sull’ansia da web, cercare – anche personalmente – qualche spazio per una sorta di ecologia del web, si potrebbe dire riprendendo il vecchio e autorevole titolo di Bateson “L’ecologia della mente”. Non mi riferisco tanto alla perpetua connessione, al fatto che controlliamo di continuo i messaggi ricevuti, che rispondiamo alle mail di lavoro anche la domenica mentre stiamo parlando con amici, non mi riferisco solo al senso di spaesamento che avvertiamo se il nostro operatore ci disconnette momentaneamente. Sarebbe relativamente facile trovare una disciplina per tutto questo.
Mi riferisco, soprattutto, all’ansia da prestazione che ci prende quando navighiamo in rete, al senso di inadeguatezza sollecitata dall’abbondanza di articoli interessanti relativi al nostro campo di interesse, alla sensazione continua di non essere abbastanza aggiornati, di avere perso questa o quella importante ricerca, e così via. Eppure è un enorme vantaggio poter consultare articoli scientifici dalla propria postazione, scorrere i titoli dei più prestigiosi giornali internazionali, verificare lo stato dell’arte nel nostro ambito di lavoro. Ma poi, quando leggiamo tutto questo? Dove mettiamo la carta stampata sui contenuti che ci sembrano irrinunciabili? Dopo quanto tempo dimentichiamo il nome del file in cui abbiamo archiviato il succulento frutto di una fortunata ricerca di nuovi materiali? Il Web si muove ad un ritmo incredibile e media un numero crescente di servizi; enfatizza la velocità e la volatilità di ogni informazione, diffusa e bruciata nello stesso tempo. Gli utenti si aspettano in tempo reale (o quasi) le risposte. Siamo sommersi da notifiche e ci pentiamo di avere chiesto informazioni perché non ci liberiamo più delle proposte che ne seguono.
Tutto il sovraccarico che ne scaturisce non è sano e allora emerge l’idea dello “slow web”. Su questo obiettivo nasce il sito theslowweb.com [vedi] che propone idee per non essere sopraffatti dalle tecnologie. La pagina intende fornire buoni esempi, tentare di elaborare linee guida, esplorare ulteriormente la psicologia e le ragioni per una lentezza del web.
In definitiva, la filosofia che anima il movimento Slow Web non è improntata a nessun rifiuto, ma propone una sorta di autodifesa da rischi di schiavitù. D’altra parte, rapidamente una pratica così pervasiva diviene un’abitudine che può essere malsana e che forse limita, piuttosto che accrescere, la nostra capacità di informarci, di metterci in relazione, di capire meglio il nostro tempo e così via. Un’abitudine che forse abbassa, piuttosto che elevare, la nostra efficienza e produttività, poiché le ore spese in rete sono sottratte al lavoro, allo studio, al sonno e al riposo. Ognuno lamenta questo problema rispetto al proprio lavoro: il fatto di essere sommerso da un flusso costante di informazioni e di essere sotto pressione per rispondere immediatamente. Alcuni software stanno cercando di risolvere il problema di questa sovrabbondanza di informazioni, per evitarci tra l’altro le improbabili risposte che talvolta capita di dare a chi ci scrive, come “la mail non funziona bene”, o “forse il messaggio è finito nello spam”. Ma al di là dei dispositivi, sarebbe meglio riflettere sulle ragioni che inducono dipendenza e magari trovare il modo di trovare il modo migliore di sfruttare un’opportunità, senza che diventi un vincolo. Ciò vale per le persone come per le organizzazioni.

Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing, Marketing del prodotto tipico. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand. maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

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Francesco Monini
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