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Le radicali trasformazioni in atto nel lavoro per effetto delle tecnologie digitali rappresentano una difficile sfida per il sindacato. Non da oggi è in atto una crisi di rappresentanza derivata da imponenti trasformazioni sociali e organizzative. Gli iscritti ai sindacati sono il 25% dell’insieme dei lavoratori; tra gli iscritti i pensionati sono il 40% e i giovani solo il 10%. Bastano questi pochi dati per comprendere la serietà della crisi di rappresentanza. Le trasformazioni del lavoro toccano l’identità, la natura, la funzione e la missione sociale del sindacato.
Rispetto alle comprensibili difficoltà di riposizionamento è ancora lontana la consapevolezza della discontinuità con il passato indotta da questa fase dell’innovazione tecnologica: il lavoro si riduce e cambia in modo radicale. I settori più colpiti sono: banche e finanza, manifatturiero, commercio, metalmeccanica, servizi pubblici, costruzioni, logistica e trasporti. Se consideriamo i profili, i più esposti alla riduzione sono gli addetti ad attività bancarie, gli operai non specializzati, gli addetti ad attività manifatturiere e commerciali e all’amministrazione.
McAfee e Brynjolfson in “Race against the machine” avevano calcolato che il 47% dei lavori erano a rischio di sostituzione: impiegati d’ufficio, assicuratori, commercialisti. Ma al di là dei numeri è in atto una riconfigurazione profonda. Cambieranno le mansioni e le competenze richieste: per esempio, un addetto di un punto vendita di ricambi auto, che oggi colloca scatole sugli scafali sulla base di codici, con l’arrivo delle stampanti in 3d dovrà produrre anche i pezzi richiesti. La fabbrica digitale resterà una commistione di processi automatici e di intelligenza. Avranno la meglio i lavoratori che “sapranno lavorare con le macchine”, che sapranno esprimere attitudini creative e sociali.

Le soluzioni a questa crisi del lavoro non sono affatto semplici. I problemi sono di due ordini. Il primo riguarda l’effetto di sostituzione e il secondo le implicazioni organizzative e la qualità delle competenze. Sul primo punto – cosa fare in risposta alla riduzione della quantità di lavoro – le proposte avanzate variano dal reddito di cittadinanza, alla costruzione di atelier in cui gli individui possano coltivare competenze e trasformarle in attività lavorative, alla promozione di lavori di servizio sociale finalizzati all’integrazione delle parti più povere della popolazione e così via. Si sottolinea che, al di là delle coperture economiche dei costi di forme di salario sociale, nessuna soluzione monetaria, ancorché praticabile, può sostituire il senso di identità che deriva dall’essere inserito in un contesto lavorativo.
Sul secondo punto, invece, è indispensabile guardare ai numerosi cambiamenti organizzativi senza pensare che questi riguardino un futuro lontano. Molti cambiamenti sono già in atto: per esempio l’era delle postazioni fisse è al tramonto: ad esempio le distinzioni tra front office e back office sono meno rigide. Inoltre la possibilità di lavoro a casa renderà più controllabile l’attività dei singoli e il potere di mercato sarà sempre più legato a caratteristiche individuali. Questo e molto altro manda definitivamente in crisi l’idea di rappresentanza che aveva attraversato la lunga fase della crescita del lavoro di massa.
Si aprono nuove questioni di regolazione. Basti pensare alla cosiddetta ‘uberizzazione’: a forme di impresa in cui le posizioni lavorative non rientrano né in quelle classiche del lavoro autonomo, né in quelle del lavoro dipendente. Basti pensare alla crescente difficoltà di legare la remunerazione ad un orario uniforme e definito contrattualmente. Non da ultimo, l’introduzione per legge di un salario minimo a livello nazionale per i lavoratori che non sono regolamentati da un contratto nazionale come inciderà sulla capacità di rappresentanza sindacale? Non è semplice individuare soluzioni, ma certo non è possibile ignorare l’urgenza di affrontare uno scenario che è profondamente cambiato.

Maura Franchi insegna Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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